Solferino riedita il romanzo Il segreto della Monaca di Monza (2024, pp. 432, euro 17,00) della storica e scrittrice Marina Marazza, che ricostruisce la vita di Marianna de Leyva, divenuta suor Virginia Maria, meglio nota come la Monaca di Monza (Milano, 4 dicembre 1575 - 17 gennaio 1650), protagonista di un famoso scandalo che sconvolse la città di Monza nel secolo XVII.
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La figura centrale corrisponde al personaggio letterario del romanzo I promessi sposi di Alessandro Manzoni, dove con aderenza alla realtà storica ma con intima adeguazione al tono e al significato del romanzo è adombrata la figura di Virginia de Leyva con il nome di Gertrude e narrata la causa della sua forzata monacazione.
Marina Marazza raccoglie la celebre ma misconosciuta vicenda della monaca di Monza e ne fa un sorprendente, modernissimo thriller storico, ricco di atmosfera e di colpi di scena.
L’intervista a Marina Marazza
Abbiamo intervistato l’autrice, specializzata in tematiche di storia, società e costume, che collabora con diverse riviste tra cui “Io Donna”.
- Marianna avrebbe voluto sposarsi, avere una famiglia, indossare bei vestiti e andare alle feste. Invece, che cosa accadde?
Marianna de Leyva era figlia del nobiluomo spagnolo don Martin e della nobildonna milanese Virginia Marino. Venne al mondo, infatti, a Palazzo Marino, che era stato fatto costruire dal suo nonno materno, il ricco banchiere genovese Tommaso Marino. Quando Mariannina aveva meno di un anno sua madre morì lasciandole una piccola eredità, che le sarebbe dovuta servire per la sua dote. Quando suo padre don Martin de Leyva, feudatario di Monza, ricco più di boria spagnolesca che di denari, decise di risposarsi con una nobildonna spagnola, pensò di appropriarsi della dote dell’unica figlia.
Anche i conventi richiedevano all’epoca una dote per permettere la monacazione, ma in misura decisamente minore alla somma che sarebbe servita per un normale matrimonio tra grandi famiglie. In questo modo Marianna fu destinata a prendere il velo nel convento di Santa Margherita a Monza, dove la soddisfazione delle monache per avere nel monastero la figlia del feudatario sarebbe stata tale da ridurre di molto le loro pretese economiche. Il destino della giovanissima Marianna era così segnato e il fatto che lei avesse o meno vocazione per una vita claustrale non era rilevante.
- Il destino di Suor Virginia Maria sembrava già scritto, ma entrò in scena un biondo nobiluomo. Virginia sfidò la propria sorte per amore, dimostrandosi donna moderna?
Il convento di Santa Margherita in Monza confinava con la proprietà della famiglia Osio, feudatari di Usmate e Velate. Il più giovane e il più charmant dei fratelli Osio era Giovanpaolo. Marianna, che nel frattempo era divenuta suor Virginia e rivestiva il ruolo di maestra delle educande, sorprese una delle sue collegiali in tenero colloquio con Giovanpaolo. Da lì iniziò il loro rapporto, sulle prime fortemente conflittuale, che finì per concretizzarsi in una tresca durata dieci anni durante la quale suor Virginia rimase due volte incinta e mise al mondo prima un bambino nato morto e poi una bambina che sopravvisse: la chiamarono Alma e Osio ne riconobbe la paternità.
- Il romanzo di manzoniane atmosfere è tutto basato sugli atti integrali del processo resi accessibili dal lavoro del professor Farinelli e del professor Paccagnini e raccontano nel dettaglio quello che Manzoni riassunse nella famosa frase “la sventurata rispose”. Ce ne vuole parlare?
Gli atti del processo a suor Virginia sono rimasti secretati negli archivi dell’arcivescovado di Milano fino agli anni Sessanta del Novecento. Alessandro Manzoni, durante la stesura del suo romanzo I promessi sposi, ebbe le filze notarili in prestito sulla sua scrivania per una decina di giorni grazie ai buoni uffici di un amico prete.
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In una prima versione del romanzo la storia della monaca di Monza riempiva una decina di capitoli. In seguito, Manzoni decise di dare meno spazio alla vicenda per due motivi, uno letterario, per non scrivere una sorta di romanzo all’interno di un romanzo, e l’altro di natura più diplomatica, perché i protagonisti della vicenda secentesca erano gli antenati delle migliori famiglie milanesi, che ancora Manzoni frequentava, e inoltre le figure del clero non ne uscivano certo aureolate di gloria. Fu così che la lunga vicenda raccontata nella prima stesura del romanzo si riassunse nella famosa frase “la sventurata rispose”. Manzoni decise di cambiare i nomi dei protagonisti e così suor Virginia divenne Gertrude e Giovanpaolo Osio divenne Egidio. Per esigenze cronologiche spostò anche in avanti tutti gli accadimenti.
In realtà quando nei Promessi sposi Gertrude incontra Lucia, il processo si era già svolto, lei era già stata condannata a essere murata viva ed era anche già stata graziata dal cardinal Borromeo; quindi, non si poteva trovare in quel momento nel monastero di Monza dove Manzoni la fa agire. Una licenza poetica, diciamo, che Manzoni si è preso.
Nonostante queste “licenze” storiche, Manzoni è riuscito a tratteggiare con estrema credibilità psicologica il profilo della sua monaca di Monza, che rimane forse il personaggio più interessante e più iconografico dell’intero romanzo. Ha ispirato molti pittori, che hanno cercato di ricostruirne le fattezze: Molteni, Hayez, Bianchi, che ci hanno lasciato delle interpretazioni romantiche e suggestive di come loro hanno immaginato Gertrude leggendo le pagine dei Promessi sposi.
- Gertrude è la monaca di Monza, non per vocazione ma per imposizione. Una monaca non come le altre, dice il Manzoni nei Promessi Sposi; che cosa ne pensa?
Anche se il fenomeno della monacazione forzata era estremamente diffuso in quel periodo, si può senz’altro dare ragione a Manzoni sul fatto che suor Virginia, o Gertrude, come lui preferisce chiamarla, non fosse una suora come tutte le altre. Lei era la feudataria di Monza, un personaggio molto in vista, e probabilmente fu proprio per questo motivo che alla scoperta dello scandalo ci fu un particolare accanimento delle autorità ecclesiastiche nei confronti dei protagonisti di questa vicenda. Lo scandalo, ci tengo a ricordare, non fu soltanto relativo alla violazione dei voti monacali, ma comportò anche altri crimini comuni; delle persone che sapevano troppo furono uccise nel tentativo disperato di Giovanpaolo Osio di mantenere il segreto. Quindi agli imputati furono mosse delle accuse molto pesanti e il parere del giudice (che per garantirne l’obiettività era stato fatto venire apposta da Spoleto e si chiamava Mamurio Lancillotto) fu di piena colpevolezza. Suor Virginia e le sue complici furono condannate a essere murate vive, Giovanpaolo Osio fu condannato allo squartamento, il prete Paolo Arrigone, che era stato complice di Giovanpaolo Osio nella seduzione di suor Virginia, fu condannato ai remi sulle galere di Stato: una vera tragedia.
- Dal romanzo esce uno spaccato di un’epoca e i ritratti di personaggi a tutto tondo, modernissimi, uomini e donne di carne, sangue e anima, nessuno dei quali del tutto buono o cattivo. Una umanità calda e attualissima, dal drammatico destino?
È davvero incredibile la modernità di tutta questa vicenda. Marianna de Leyva, che diventerà suor Virginia, ci appare come una donna che cerca di opporsi a un destino che qualcun altro ha già scritto per lei. Giovanpaolo Osio, un signorotto abituato a togliere di mezzo chiunque osasse porsi sul suo cammino, si rivela in realtà un uomo innamorato e un padre affettuoso. Dopo la sentenza pronunciata in contumacia era riuscito a mettersi in salvo, ma ritornerà a Milano nel tentativo di liberare la sua adorata Virginia e rimarrà vittima del tradimento degli amici conti Taverna, che lo massacreranno a palazzo Isimbardi, dove si racconta che si aggiri ancora oggi il suo spettro. Le suore complici di Virginia sono delle donne che hanno preso il velo senza averne la vocazione, che non sono state capaci di opporsi alla volontà della loro più illustre consorella e saranno come lei condannate a una pena atroce.
I testimoni monzesi della tresca, che resteranno vittime della loro lingua lunga, sono figure a tutto tondo: un fabbro, al quale viene richiesto continuamente di duplicare la chiave con la quale Giovanpaolo si introduce nel convento e che ogni volta Virginia pentita del suo peccato butta in un pozzo (salvo poi volerla di nuovo); uno speziale, al quale le monache si rivolgono per avere dei medicamenti e quindi ha capito perfettamente che Virginia era rimasta incinta e aveva partorito; la suora conversa Caterina, che diventerà la cameriera di Virginia e avrà l’ardire di cercare di ricattarla, provocando la reazione di Osio che la ucciderà per farla tacere; il prete Paolo Arrigone, un sacerdote corrotto, che pur di mettersi in buona luce agli occhi dei suoi amici potenti aiuta Osio a sedurre suor Virginia, addirittura scrivendo di suo pugno delle lettere, che lui le manderà. Davvero un’umanità vibrante, vera, contemporanea, appunto.
- La figlia nata dalla tresca tra Virginia e Giovan Paolo Osio, Alma, è la protagonista del romanzo Miserere?
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Sì, Alma Osio è la protagonista del mio romanzo Miserere. Le tematiche manzoniane mi hanno ispirato tre diversi romanzi: Il segreto della monaca di Monza di cui stiamo parlando oggi, Miserere che ne è il seguito virtuale e Io sono la strega, perché Caterina da Broni, la strega di Milano, è anche lei citata da Manzoni nei Promessi sposi. Del resto, la mia passione per la storia nasce proprio dalla lettura, da ragazzina, della Storia della colonna infame, una delle cose più belle che Manzoni abbia scritto. Quindi grazie mille, don Lisander.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Marina Marazza, in libreria con “Il segreto della Monaca di Monza”
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