Tra i 27 libri presentati al Premio Strega 2014 è stato segnalato all’attenzione dei lettori “To Jest” di Fabio Izzo, un giovane scrittore di Acqui Terme, una cittadina in provincia di Alessandria. Il romanzo, edito dall’Associazione Culturale Il Foglio, è stato presentato al concorso da due persone di cultura, nello specifico da Predrag Matvejević, scrittore e accademico croato, e Elisabetta Kelescian, ambasciatrice d’Italia a Helsinki. Non a caso sono state queste due persone a far conoscere il romanzo: l’autore, infatti, ha sempre mostrato attenzione particolare per alcuni Paesi dell’Europa nord – orientale, come appare anche proprio da “To Jest” (dal polacco “Questo è”). Il libro fa seguito ad altri dell’autore:
- “Eco a perdere”, definito nel blog di Izzo stesso
“un gioco di virtuosismi, di dialoghi con un alter ego che domanda cose criptiche , che permette che l’autore si specchi, che chi legge si trovi, o si perda per poi ritrovarsi quattro righe più avanti o mai più”
- “Balla Juary”, storia di un giovane meridionale che si sente estraneo all’ambiente del Nord Italia ove si trasferisce,
- “Il Nucleo”, con una parte autobiografica e l’altra di fantasia, ambientato sia nel Basso Piemonte che a Varsavia,
- “Doppio umano”, la storia di un poeta del Camerun che si rifugia in Polonia.
Fabio Izzo si dimostra un autore piuttosto particolare che sicuramente ha tante cose da dire ai lettori. Conosciamolo meglio!
- Ci parli un po’ di lei: chi è Fabio Izzo?
Stando alle mie biografie, più o meno ufficiali, sono un polonista artigiano freelance che nel poco tempo libero scrive anche dei libri, cinque finora. Ho scritto anche due canzoni, una (questa: https://www.youtube.com/watch?v=LODji9XVrZI) collegata ad un mio libro. Nella mia pazza storia artistica si segnalano anche poesie pubblicate all’estero, l’ultima a Liverpool in occasione della scomparsa di Margaret Thatcher e un’opera teatrale.
- Da dove viene la sua passione per la scrittura?
Dall’infanzia, ricordo che riscrivevo, a modo mio i campionati di calcio, cercando di riparare i torti subiti dalla mia squadra del cuore. Ma il mio primo grande amore letterario fu “Cristo si è fermato a Eboli”, lettura estiva scolastica. Quel libro mi ispirò a raccontare realtà umili, lontane, distanti, aliene.
- Nei suoi libri ha mostrato particolare attenzione alla letteratura dell’Europa del Nord e, nello specifico, a quella polacca. Ci sono motivazioni particolari?
Come già anticipato sono un polonista, cioè laureato in lingua e letteratura polacca con il professor Pietro Marchesani (a cui ho dedicato il mio ultimo libro). Ho studiato, vissuto e lavorato in Polonia e ogni volta che posso cerco di tornarci a cercare ispirazione.
- Il suo secondo romanzo dal titolo “Balla Juary. Sferragliando verso Sud” affronta un tema diverso: quello dello sradicamento di un giovane meridionale che si trasferisce al Nord. Perché tale “cambiamento di rotta”?
Potrei dire che non si tratta di un vero e proprio cambiamento di rotta perché alla base di ogni mio libro c’è sempre una ricerca identitaria. Posso dire che, per diversi motivi, ho sempre viaggiato. La mia rotta direzionale è simile al taglio dell’alfiere negli scacchi, per la precisione in direzione sud est. Infatti la mia famiglia ha origini campane e in Campania ho vissuto gran parte della mia infanzia, tra l’altro è lì che ho letto il libro di Levi precedentemente citato. Per me era ed è la terra del ritorno. Durante l’infanzia trascorrevo l’estate in Irpinia dai miei nonni e proprio su quei ricordi si basa il tessuto narrativo dicotomico di Balla Juary, non a caso sottotitolato “Sferragliando verso Sud”
- Veniamo ora a “To Jest”, l’ultimo romanzo candidato al Premio Strega, anch’esso in parte ambientato in Polonia e con molti riferimenti a questa nazione anche attraverso le parole del Premio Nobel Wislawa Szymborska. In realtà, nel libro, si parla di molto di più...
Per scrivere To Jest ci sono voluti tre anni. Un triennio della mia vita molto intenso, con diversi viaggi, prima in Italia, tra Torino, Roma e Acqui Terme e poi Danzica, l’ultimo nel novembre scorso. Tre anni in cui ho accumulato diverse letture su Bruegel il vecchio, sulla Szymborska stessa, sulla Prl, la Repubblica Popolare Polacca, e molto altro , anche se l’idea del libro nasce da una frase di Marchesani:
“La grande poesia riesce a racchiudere in una frase un’enciclopedia”
C’è un aneddoto in particolar modo che si collega al tutto: all’epoca del mio servizio civile l’Università di Genova organizzò un incontro con la Szymborska. Chiesi un permesso ai miei responsabili, cosa che mi venne ovviamente negata perché la Poesia, in questo Paese, seppur sia proveniente da un Premio Nobel, conta poco o nulla. Così leggendo “Le due Scimmie di Bruegel”, la poesia che è poi al centro di “To Jest”, mi incatenai ai versi finali “mi suggerisce col quieto tintinnio della catena.” Chi ha letto il libro sa a cosa mi riferisco perché “To Jest”, in un certo senso, è un libro sulle schiavitù, sulle catene che ci legano al giorno d’oggi.
- A cosa è dovuta la scelta della copertina? Nel libro si è tanto parlato del quadro di Bruegel. Perché un’immagine diversa?
Una precisazione è qui d’obbligo: la bottiglia in copertina riprende il design della Pan Tadeusz, wodka polacca che prende il suo nome dal poema epico nazionale di Adam Mickiewicz, portato sullo schermo anche da Wajda, pellicola che in Italia non è mai arrivata. L’idea di giocare sul significato della copertina mi piaceva molto, “To Jest”, che vuol dire “Questo è”, viene subito smentito dalla copertina stessa.
- Non le chiedo esattamente i suoi progetti per il futuro, ma può dirci almeno se farà ancora riferimento alla cultura dell’Europa del Nord oppure se affronterà altre tematiche?
Una mia novella, short novel se preferite, dedicata al Monferrato è in visione presso due editori, ma per ora non c’è nulla di certo. Il mio percorso letterario è sicuramente “alternativo”. Posso assicurare ai miei affezionati lettori che saranno, anche questa volta, sorpresi. Al momento ho cominciato a scrivere qualcosa su un muro...
- Siccome tutti abbiamo, in un modo o nell’altro, chi ci guida o ci dà un’ispirazione, quali sono gli scrittori che l’hanno accompagnata nel suo percorso e che lei potrebbe consigliare a noi lettori?
Ho amato molto la Beat Generation, Allen Ginsberg e Gregory Corso su tutti, ma vorrei segnalare autori meno noti nel nostro paese colonizzato dalla letteratura americana, ormai onnipresente a ogni livello, vorrei quindi menzionare gli autori che amo di più, come Marek Hlasko, a cui mi sto ispirando, in parte, per il mio prossimo libro, Zbigniew Herbert, poeta che ha amato molto il nostro Paese, Tadeusz Konwicki (Piccola Apocalisse è un libro che ogni aspirante scrittore dovrebbe leggere almeno una volta l’anno), Slawomir Mrozek, anche se i miei preferiti restano Kazimierz Brandys e Bruno Schulz, che cito in ogni mio libro.
- Oltre alla candidatura al Premio Strega 2014, ci sono state altre soddisfazioni personali che lei può condividere con noi?
Nel 2009 un mio testo teatrale fu finalista al Berliner Theater Festival e vinsi anche una sezione, Dialoghi con Pavese, dell’ormai defunto premio Grinzane Cavour, premio mai ritirato per le note vicende accadute.
Un grazie a Fabio Izzo e un augurio per altre mille soddisfazioni attraverso i suoi libri.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Fabio Izzo, in libreria con “To Jest”
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