La guerra si fa sulla pelle dei civili, spesso giovani uomini mandati al fronte con un elmetto da soldato calcato in testa e la promessa di una medaglia all’onore. Questa è la maledetta gioventù, sconfitta in partenza, ancora acerba e destinata a rimanere tale, che è protagonista della poesia dei War Poets, i poeti di guerra inglesi.
Una lirica fra tutte è esemplificativa del destino di questi giovani uomini, il titolo originale è Anthem for Doomed Youth, letteralmente Inno per una maledetta gioventù, si tratta di una sorta di requiem, una poesia tributo ai soldati morti per la patria, scritta dal poeta di guerra inglese Wilfred Owen.
Le poesie di guerra dei “War Poets”
Si racconta che Wilfred Owen, un giovane inglese nato nel 1893, stesse lavorando come insegnante di francese a Bordeaux, quando si trovò a visitare un ospedale in cui erano ricoverati i soldati feriti al fronte: quella visione, così cruda, raccapricciante, lo convinse a tornare in patria e ad arruolarsi nell’esercito britannico. Anziché arretrare dinnanzi all’orrore, chiamarsi fuori dal baratro che stava inghiottendo un’intera generazione, Wilfred decise di entrarci dentro, perché non avrebbe mai potuto - altrimenti - dirsi “senza colpa”. Vedere quei feriti lo fece sentire coinvolto, più di quanto non lo fosse stato ascoltando le notizie dal fronte: ora - lo sapeva - non avrebbe più potuto chiudere gli occhi di fronte al Male che imperversava ovunque, come un vento oscuro, nel mondo. Owen si arruolò per rendersi utile al proprio paese, l’Inghilterra, ma la sua permanenza al fronte fu breve: nel marzo del 1917 fu ferito da una granata e venne ricoverato presso l’ospedale di guerra di Edimburgo, il Craiglockhart War Hospital. Il suo trauma, in realtà, era tutto emotivo: dopo tre giorni trascorsi solo in una buca, i suoi nervi avevano ceduto. Tra le corsie asettiche del reparto conobbe un altro soldato, Siegfried Sassoon; i due scoprirono, con identica sorpresa, di avere una passione comune, quella per la poesia. Fu proprio Sassoon a incoraggiare Owen a continuare a scrivere i suoi versi, lo presentò ad altri importanti letterati dell’epoca, Robert Graves e Robert Nichols.
Wilfred Owen aveva da poco completato il suo primo libro di poesie, Disabled and Other Poems, quando venne ucciso al fronte da un attacco tedesco nel 1918, appena sette giorni prima dell’armistizio che avrebbe posto fine alla Prima guerra mondiale.
Tra quelle poesie, scritte da Owen, c’era anche Inno per una maledetta gioventù, in cui il giovane soldato offriva un’ardita metafora della guerra, mostrandola come la celebrazione di un funerale. Ogni sparo di cannone suonava come la campana a lutto di una chiesa; però, in questa drammatica ricorrenza funebre, non c’era consolazione né perdono né conciliazione, solo terrore e sgomento e un senso inenarrabile di ingiustizia. Nessuno si salvava alla guerra, neppure chi tornava vivo dal fronte: Wilfred Owen questo oscuramente lo sapeva o, se non altro, lo presentiva, per cui, celebrando quel requiem per i soldati al fronte, stava officiando anche la cerimonia della propria stessa morte. La raccolta poetica di Owen, con il titolo di Poems, sarebbe stata pubblicata in Inghilterra nel 1920: tra quei versi risuonava, come un infausto presagio, Anthem for Doomed Youth. Lo spettro di una gioventù maledetta perché perduta, destinata a non crescere mai né a sperimentare gli acciacchi e le consolazioni rassegnate della vecchiaia. I soldati morti al fronte sarebbero rimasti giovani per sempre; tra loro c’era anche un poeta che scarabocchiava i suoi versi su un taccuino consunto e non aveva mai avuto modo di scoprirsi veramente tale. Anche lui faceva parte di quella maledetta gioventù sulla quale aveva scritto versi carichi di struggimento e di rimpianto.
Vediamone testo, traduzione e analisi.
“Inno per una maledetta gioventù” di Wilfred Owen: testo originale inglese
What passing-bells for these who die as cattle?
— Only the monstrous anger of the guns.
Only the stuttering rifles’ rapid rattle
Can patter out their hasty orisons.
No mockeries now for them; no prayers nor bells;
Nor any voice of mourning save the choirs,—
The shrill, demented choirs of wailing shells;
And bugles calling for them from sad shires.What candles may be held to speed them all?
Not in the hands of boys, but in their eyes
Shall shine the holy glimmers of goodbyes.
The pallor of girls’ brows shall be their pall;
Their flowers the tenderness of patient minds,
And each slow dusk a drawing-down of blinds.
“Inno per una maledetta gioventù” di Wilfred Owen: traduzione
Quali campane suonare per questi che muoiono come bestiame?
— Solo la rabbia mostruosa dei cannoni
Solo il rapido rantolo dei fucili balbettanti
può scandire le loro preghiere affrettate.
Non c’è scherno per loro, non ci sono preghiere, né campane;
Né voci di lutto, se non i cori.
I cori stridenti e dementi delle granate che piangono,
e le trombe che li chiamano da paesi tristi.Quali candele possono essere sollevate per accelerare il loro trapasso?
Non nelle mani dei ragazzi, ma nei loro occhi
potranno brillare i sacri bagliori degli addii,
Il pallore delle sopracciglia delle ragazze sarà il loro pallore,
i loro fiori la tenerezza di menti pazienti,
e ogni lento crepuscolo sarà un calare di tende.
“Inno per una maledetta gioventù” di Wilfred Owen: un’analisi
La guerra è un rito funebre nella poesia di Wilfred Owen che istituisce una metafora sepolcrale e calzante. Le bombe risuonano con il fragore attonito delle campane; il balbettio dei fucili sembra scandire il ritmo sommesso delle preghiere bisbigliate vicino all’altare. Lo squillo delle trombe già annuncia il lungo addio, il congedo del soldato dal suo paese natale e dal mondo dei vivi.
I suoni brutali della guerra - spari, granate, raffiche di proiettili sferzanti - vengono paragonati con un’ironia macabra - ma voluta - alle campane, alle orazioni, alle preghiere. Durante ogni guerra si sta officiando un funerale, suggerisce Wilfred Owen con le sue metafore, le similitudini insistite, le sue poetiche immagini di morte.
Nel finale, però, le immagini cerimoniose del lutto vengono sostituite da figure umane: le ragazze dei soldati al fronte, coloro che, pallide, pongono dei fiori alla memoria degli amati. In quei fiori fragili c’è tutta la tenerezza di un’attesa troppo presto infranta. Questo è l’ultimo pensiero mentre l’oscurità implacabile - come il sole che cala in un tramonto eterno - scende sui corpi dei soldati.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Inno per una maledetta gioventù” di Wilfred Owen: la poesia tributo ai soldati caduti per la patria
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