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Recensioni di libri

Il vizio della curiosità di Philippe Daverio

Rizzoli, 2020 - Curato dalla moglie Elena Gregori, il volume restituisce nella sua intatta verve espressiva e comunicativa una summa della visione concettuale e artistica del grande critico Philippe Daverio, recentemente scomparso.

Adriano Napoli
Adriano Napoli Pubblicato il 04-01-2021
Il vizio della curiosità

Il vizio della curiosità

  • Autore: Philippe Daverio
  • Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Rizzoli
  • Anno di pubblicazione: 2020

Coltissimo e dandy, e al contempo pop. Capace di leggerezza, coltivando la profondità. Anche quando parlava dei cessi. Il suo “Passepartout”, con le inchieste di Zavoli, Soldati, e “Controfagotto” di un altro genio irregolare della cultura, Ugo Gregoretti, è stato uno dei programmi più meritori e formativi della tv di Stato (per chi come me si sintonizzava sul terzo canale agli orari più astrusi per assicurarsi il godimento di imparare divertendosi), prima che se ne cancellassero improvvidamente le tracce dai palinsesti. Era un sapiente, Philippe Daverio, e non lo faceva pesare, dimostrando con la sua signorile sprezzatura che si può fare civiltà e trasmettere cultura anche attraverso il più inutile degli elettrodomestici. La sua vastissima produzione di critico e studioso dell’Arte a tutto tondo si arricchisce ora di un volume postumo, curato dalla moglie Elena Gregori Daverio, e che si intitola, felicemente, Il vizio della curiosità (Rizzoli, 2020).

Il libro, fin dal formato eccentrico ed elegante come il profilo del suo autore, appare come un almanacco da consultare giorno per giorno nel corso di un anno, ricercandovi a ogni data del calendario "365 storie/opere d’arte/invenzioni/curiosità/uomini e santi" (come riportato nella quarta di copertina). Si comincia il primo gennaio con la marcia di Radetsky e si arriva al 31 dicembre con un gustoso medaglione dedicato ad Henry Matisse nel giorno della sua nascita:

“Matisse, nato nel Nord più settentrionale dell’esagono francese, se ne va come molti suoi contemporanei nel Meridione. Resta in Provenza a dipingere boccali coi pesci rossi anche mentre i suoi compatrioti vengono portati ad Auschwitz. Lui porta alle estreme conseguenze il precetto ottocentesco di Gautier, “L’art pour l’art” e anche il “Luxe, calme et voluptè” di Baudelaire, che diventa il titolo di un suo quadro del 1904”.

In queste poche righe c’è un compendio di stile, dell’uomo, dello studioso e dello splendido divulgatore di cultura che è stato Philippe Daverio: leggerezza ed esattezza calvinianamente declinate; humor e chiarezza di un dettato accessibile a tutti; preservando l’eleganza della ricercatezza espressiva, ma con il dono di saper custodire intatto l’elemento dell’oralità, di una voce autentica e inconfondibile che la scrittura non disperde ma nobilita nella sua sensibilità, per così dire, "gastronomica". Nel senso di un talento innato, e insieme educato negli anni con pazienza e studio, in grado di comunicare al lettore la consistenza e la fragranza delle opere descritte, riportandole con un ritmo narrativo vivace e affabulatorio dal dominio astratto di estetiche e poetiche ad uso degli specialisti, alla dimensione concreta e universale dei beni primari, in cui la cultura può essere ancora un convito, dantescamente, un banchetto del sapere aperto a tutti coloro che abbiano fame di sapere.

Di questa curiosità onnivora per ogni fenomeno culturale questo nuovo libro (nuovo, anziché postumo come in precedenza ci era sfuggito, ché sarebbe un modo incongruo e difettevole di definire queste pagine così nutritive e vitali) ci offre una testimonianza suggestiva, dal momento che in esso vi possiamo ritrovare modulati in una vastità di toni espressivi, i contrassegni di una lunga e appassionata elaborazione concettuale e artistica, che ha il suo centro di irradiazione in una non comune capacità di vedere, di farsi sguardo. Daverio amava ripetere che per capire l’Arte, e la pittura in particolare, non bisogna mai saziarsi di guardare. Ed ecco che anche queste nuove pagine che sembrano concentrarsi nel ciclico spazio temporale della durata di un anno solare, ci sorprendono ancora una volta con l’esperienza di uno sconfinamento, di un vedere oltre (o, si potrebbe dire, evocando la poetica di Cezanne) “dentro il proprio vedere”, come se le parole del critico, compenetrandosi alle immagini nello stesso spazio della pagina, spostandosi con la stessa libertà e leggerezza di uno stormo di uccelli, da un luogo all’altro, da un manifesto pubblicitario a un affresco pittorico; da un oggetto di design a una foto d’epoca, componessero il disegno impareggiabile di un’unica grande visione, che è per l’appunto la visione dell’Arte.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il vizio della curiosità

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