Gli illuministi italiani
- Autore: Gaetano Compagnino
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
Gaetano Compagnino (1939-2004) è stato un professore di letteratura dell’università di Catania, è stato un grande critico letterario e ha collaborato anche con Franco Fortini. Ha scritto questo ottimo saggio monografico, Gli illuministi italiani, per la collana “Letteratura italiana Laterza”.
Il libro è originario del 1974, poi ristampato. È curato in ogni dettaglio e ogni capitolo possiede un’ampia bibliografia. Può essere letto sia da studenti delle scuole superiori, da appassionati di letteratura che da ricercatori universitari o da studiosi. Questo bel volume colma una lacuna di molti, che considerano “L’età dei lumi” solo come francese, che pensano all’Illuminismo come movimento culturale prodotto da Rousseau, Voltaire, Montesquieu.
Invece pochi o addirittura pochissimi sanno qualcosa sugli Illuministi italiani, che non contribuirono chiaramente a una rivoluzione e che non scrissero l’Encyclopédie, ma che furono degli ingegni e delle figure di rilievo, pur non toccando i vertici della genialità come in Francia.
I nostri Illuministi erano dei razionalisti ragionevoli, sicuramente più timorati di Dio e più rispettosi delle istituzioni, perché quasi tutti ricevettero una formazione cattolica (niente a che vedere coi francesi che erano deisti, ma che erano anche tutti anticlericali) ed ebbero una cultura giuridica. Forse è anche per questo che osarono molto meno dei francesi ed ebbero minore risonanza e minore fama.
Il saggio inizia con gli Illuministi meridionali, ovvero con Galiani, Genovesi, Filangieri, Pagano, Russo. Viene spiegato il periodo storico dell’Illuminismo meridionale, ovvero tra il 1764 e il 1794. Si accenna al regno borbonico, alla possibile e auspicabile convergenza tra questi intellettuali, potenziali riformatori e la monarchia. Compagnino tratta della lotta antifeudale e al latifondo di questi personaggi, delle loro ipotesi di riforme agrarie (alcuni erano per l’uguaglianza), del fatto che volessero colmare il gap con l’Europa nord-occidentale da cui molti di loro prendevano ispirazione. Ma la sconfitta fu anche inesorabile perché l’alleanza tra borghesia terriera e nobiltà non permise le riforme.
In questo volume agile e leggibile vengono anche riportati dei brani degli illuministi. Ad esempio molto interessanti alcune pagine de La moneta di Ferdinando Galiani, in cui viene spiegato che il valore di una cosa è composto da due ragioni, una di utilità e una di rarità, che anticipa uno dei paradossi dell’economia, ovvero quello dell’acqua e del diamante.
Inoltre Galiani aveva intuito l’utilità soggettiva, perché definiva essa come “l’utilità di una cosa di procurare felicità” (e quindi l’utilità di una cosa varia da persona a persona). Alcune pagine sono dedicate al giurisdizionalismo di Antonio Genovesi. Poi viene considerato importante Filangieri, che cercò di promuovere l’educazione pubblica per tutte le classi sociali.
Quindi, a mio avviso, prioritario è leggere di Vincenzo Russo che disquisisce saggiamente sul merito, sulla schiavitù, sull’uguaglianza, sul fatto che tutti gli uomini devono avere gli stessi diritti e sulla libertà che per lo studioso significava soprattutto indipendenza. Sempre Russo scriveva che gli intellettuali dovevano volgersi al popolo, ai contadini che lavoravano la terra, tollerando la loro ignoranza e cercando di istruirli per raggiungere la cosiddetta sovranità popolare. Quindi un capitolo viene dedicato agli Illuministi italiani più famosi, cioè quelli lombardi. Viene descritta la spinta riformatrice e la rottura con il passato del Caffè, una rivista che trattò gli argomenti più disparati (economia, legge, costume, letteratura, commercio, industria, agricoltura). In particolar modo vengono presentati alcuni brani del Beccaria e di Pietro Verri.
Viene evidenziato che tutti gli Illuministi del Caffè divennero riformatori, amministratori o professori e lasciarono perciò un segno tangibile e concreto nella società. Tra le altre cose sono riportate delle pagine del Verri, tratte da Pensieri sullo spirito della letteratura d’Italia, in cui se la prende con gli “Aristotelici delle lettere” che per lui erano una disgrazia dell’Italia per i loro leziosismi e il loro birignao.
Particolare rilievo è dato al Beccaria, alla sua giusta proporzione tra i delitti e le pene. Per capire Beccaria bisogna tener presente la sua definizione di delitto, ovvero di danno fatto alla società, di “azione opposta al pubblico bene”.
Le stesse pene, poi, secondo lo studioso dovrebbero essere date in modo da far desistere il reo di commettere di nuovo il delitto. Cesare Beccaria fu contro la pena di morte, da evitare perché non si poteva d“istruggere un essere”, tranne che in situazioni eccezionali in cui veniva meno la libertà in una nazione o in cui c’era l’anarchia totale. Beccaria quindi era a favore della mitezza della pena, che doveva anche essere rieducativa.
Si capisce come questo Illuminista fosse particolarmente avanti con i tempi, così come si capisce quanto per lui fossero fondamentali la dignità e la libertà umana. Infine chiude questo bel saggio un capitolo sugli Illuministi toscani, parmensi e del Centro Italia, ma questi intellettuali furono meno significativi e incisero meno nelle loro realtà.
Dopo aver letto questo lavoro così documentato di Compagnino si riesce a capire qualcosa di più su un’epoca storica importante e su degli intellettuali che anticiparono i tempi.
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