Il 12 ottobre 1896 nasceva Eugenio Montale, il “poeta dell’esattezza”, come lo definì Italo Calvino che di lui fu grande estimatore e amico.
L’autore ligure, premio Nobel per la Letteratura nel 1975, tuttavia era solito definire la sua poetica come “una poesia di inappartenenza”. Spesso infatti era solito esprimere sentimenti astratti o sospesi, gli impalpabili moti dell’anima che, soprattutto nell’ultima fase della sua poetica, prendono il sopravvento rivelando un’intensità indicibile.
In occasione dell’anniversario dalla nascita ricordiamo una delle poesie più belle e forse meno conosciute di Eugenio Montale: si intitola Ex voto.
L’autore la scrisse il 9 febbraio 1969 ed è contenuta nella raccolta Satura (1971). La lirica si inserisce nel solco delle poesie dedicate a “Mosca”, la moglie Drusilla Tanzi così affettuosamente chiamata perché affetta da una seria miopia; dopo la sua prematura scomparsa, avvenuta nell’ottobre del 1963, Montale iniziò a scrivere le liriche a lei destinate che sarebbero confluite nelle sezioni Xenia I e Xenia II e, infine, in Satura (1971).
Proprio a lei, Drusilla, era dedicata la sua poesia “di inappartenenza”, come scrive il poeta in Satura:
Dicono che la mia
sia una poesia d’inappartenenza.
Ma s’era tua era di qualcuno:
di te che non sei più forma, ma essenza.
Dobbiamo quindi leggere Ex voto come una poesia che apre un dialogo, apparentemente ininterrotto, con l’aldilà: tramite la sua voce poetica Montale cerca di frantumare la superficie del Reale e raggiungere la moglie perduta, come il canto di Orfeo per Euridice.
Il titolo “Ex voto” rimanda a una locuzione latina che significa “secondo la promessa fatta”. Si tratta dunque di una formula di ringraziamento con cui si rendeva omaggio agli Dei o agli antenati per aver esaudito una preghiera. Lo stesso riferimento ritorna nella premia sezione della raccolta Satura, intitolata per l’appunto “Xenia”, termine che indicava, nella poesia antica, i doni e gli epigrammi votivi offerti all’amico in partenza per un lungo viaggio; in questo caso il poeta dedica i versi alla moglie Mosca, nel mezzo del suo percorso ultraterreno nell’aldilà.
In questa lirica, Ex voto, Montale rende grazie per una presenza che lo conforta pur nel baratro dell’assenza, come una promessa che non si può più sciogliere né negare.
“Ex voto” di Eugenio Montale: testo
Accade
che le affinità d’anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. È raro
ma accade.Può darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l’oblio, vera la foglia secca
più del fresco germoglio. Tanto e altro
può darsi o dirsi.Comprendo
la tua caparbia volontà di essere sempre assente
perché solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell’albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors’era così come mi pareva
o non era.Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l’innocenza è una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.
“Ex voto” di Eugenio Montale: analisi e commento
Ex voto fa dunque parte delle poesie dedicate a Mosca, a Drusilla Tanzi, continua quel dialogo con l’aldilà iniziato nel 1963, quello che fu “l’anno del pensiero magico” per Montale, consacrato con Xenia I:
Mi abituerò a sentirti o a decifrarti
nel ticchettio della telescrivente
In questa lirica il poeta continua a tendere l’orecchio all’opera di decifrazione dei segnali che la moglie gli ha lasciato e conclude che spesso le affinità d’anima non si rivelino attraverso gesti e parole, ma si manifestino attraverso un occulto “magnetismo”. Del resto era proprio stata Mosca a insegnarglielo, come ci ricorda la celeberrima Ho sceso dandoti il braccio: la “realtà è oltre ciò che si vede” e l’unica a vederla realmente era proprio lei, Drusilla, con le sue pupille “tanto offuscate”.
Dacché Montale conclude che forse è “vera solo la lontananza”, poiché riesce ad avvertire vicina la presenza epifanica della moglie nonostante la sua incolmabile assenza. La presenza dei morti, del resto, si manifesta come in un sortilegio compiuto dalla memoria e Montale lo comprende - in questo suo ininterrotto dialogo con la moglie defunta ricorda Joan Didion ne L’anno del pensiero magico. Anche Montale a suo modo riprende l’idea del “pensiero magico”, utilizzato dalle tribù primitive, per affrontare la perdita di una persona amata e associa la presenza della moglie agli oggetti tangibili nel mondo reale - come la telescrivente, il fuscello piegato o gli animali domestici. Commuove soprattutto che il poeta insista nel cercare la presenza di Drusilla “nel vuoto e mai nel pieno”.
Del resto proprio lui ci aveva insegnato di seguire le viuzze impervie che seguono i ciglioni, a cercare la maglia rotta della rete, l’anello che non tiene: e ancora una volta ora sembra chiedersi “il varco è qui?”.
La successione delle azioni compiute ostinatamente dal poeta nel lottare contro il demone dell’assenza è espressa tramite i singoli verbi posti all’inizio di ogni strofa: “Accade”, “Comprendo”, “Insisto” e altri più sfumati incerti “Può darsi”, “Era o non era” che prefigurano il finale “Ignoro”.
Infine il poeta deve arrendersi alla non conoscenza, all’incapacità di capire che viene espressa tramite dei versi strazianti che sanciscono il mistero, la definitiva incapacità di conoscere l’altro. Persino la persona più amata rimane un eterno enigma agli occhi di chi ama.
Di te tutto conosco,
tutto ignoro.
La poesia di Montale procede sempre per antitesi: afferma e nega, in questo continuo processo risiede la sua “inappartenenza”, ma anche la sua strana magia che agisce come un sortilegio facendoci percepire ciò che è invisibile come le “affinità d’anima” che rimangono effuse nell’aria come un magnetismo.
Leggendo questa poesia abbiamo la certezza che la realtà sia oltre ciò che si vede, come diceva Mosca; qualcosa capace di andare al di là dei gesti, delle parole stesse, contenuto in quella dimensione inconoscibile che gli antichi chiamavano “anima”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ex voto” di Eugenio Montale: una poesia di inappartenenza
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