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Storia della letteratura

“La casa dei doganieri” di Eugenio Montale: la poesia di chi va e di chi resta

Una casa situata su una scogliera a picco sul mare è teatro di una delle poesie più evocative di Eugenio Montale, “La casa dei doganieri” (1930). Vi è contenuta una domanda chiave per comprendere la poetica montaliana: “Il varco è qui?”. Scopriamone testo e analisi.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 04-08-2023

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“La casa dei doganieri” di Eugenio Montale: la poesia di chi va e di chi resta

La casa dei doganieri è la più perfetta rappresentazione della memoria: un cronotopo, un luogo del ricordo, in cui tempo e spazio si fondono in un’unica entità.
La poesia fu scritta da Eugenio Montale nel 1930 e pubblicata per la prima volta sul periodico Italia letteraria. Costituisce il nucleo primigenio della raccolta Le occasioni (Torino, Einaudi, 1939) e contiene una domanda centrale, imprescindibile per comprendere l’intera produzione poetica montaliana:

Il varco è qui?

La domanda, come la maggior parte degli interrogativi montaliani, rimane sospesa, senza risposta. Ma nell’immagine del varco possiamo ritrovare il riflesso dell“’anello che non tiene” evocato ne I limoni o “la maglia rotta della rete” di cui il poeta parla In limine: è il punto di fuga, ciò che ci mette nel mezzo di una verità assoluta sull’esistenza.
La casa abbarbicata sulla scogliera ligure, situata a Monterosso, il paese natio di Montale, diventa l’immagine cristallizzata di un ricordo e dunque il luogo in cui l’evasione dal reale è ancora possibile. Sulla soglia della casa dei doganieri è situato il “varco” che il poeta designa come la possibilità di trovare un senso alla propria esistenza; ma il varco individuato da Montale si trova proprio sullo strapiombo, si lega quindi a una visione pessimistica, alla sensazione di precipitare nel vuoto.

In questa poesia viene evocata una donna, Annetta (nota anche come Arletta ai lettori di Montale), che ha molti tratti in comune con Dora Markus, un’altra presenza femminile evocata nella medesima raccolta Le occasioni. Il primo tratto che accomuna Annetta a Dora Markus è l’inquietudine: se Dora Markus ricorda “gli uccelli di passo che urtano ai fari nelle sere tempestose”, in Annetta invece i pensieri sono uno “sciame irrequieto”. Annetta e Dora sono due figure fantasmatiche, evanescenti, lambite dal fuoco fatuo della dimenticanza, da quell’insopprimibile incalzare del tempo “è tardi, sempre più tardi”.

Dietro il nome di Arletta o Annetta si cela la figura di Anna degli Umberti, una ragazza conosciuta da Montale in gioventù e mai più rivista. La sua presenza rimane legata al luogo dei loro fugaci incontri di ragazzi, dove ancora sembra riecheggiare il suo riso: la “casa dei doganieri”.
La casa desolata e ormai in rovina diventa così l’ultimo baluardo della memoria che invano cerca di lottare contro la morte e l’inevitabilità dell’oblio.
Nella casa dei doganieri di Montale è come se ogni cosa dovesse prendere congedo da sé stessa.

“La casa dei doganieri” di Eugenio Montale: testo

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.

Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende ...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

“La casa dei doganieri” di Eugenio Montale: analisi e commento

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La casa dei doganieri sembra muoversi al contempo su due piani temporali: il passato e il presente. Questa dimora desolata, abbarbicata sulla scogliera ligure sferzata dalle potenti raffiche di libeccio, li contiene entrambi tra le sue mura.
A scandire i versi della poesia è non a caso la parola “ricordi”, come un ultimo soffio della memoria, un alito di vento che già se ne va.
L’incipit della lirica di Montale conserva un’eco leopardiana: “Tu non ricordi” rimanda a quel “Silvia rimembri ancora”, l’eterno verso di Giacomo Leopardi. La Silvia leopardiana in effetti ha molto in comune con l’Annetta di Montale: entrambe le donne sono scomparse o comunque appartengono a un passato che non è destinato a ritornare. Se l’incipit di Leopardi è venato dalla speranza che la ragazza possa ancora ricordare il “maggio odoroso” e i giorni lieti, in Montale invece questa illusione viene meno ed è demolita da un’affermazione perentoria che si ripete anche nella formula di chiusura.

Tu non ricordi la casa di questa
mia sera

Montale è consapevole di essere il solo a ricordare: la presenza di Annetta aleggia nella casa dei doganieri come un fantasma, ma è solo il poeta a reggere il filo da cui si dipana l’intricata matassa della memoria. La donna, che sembra vivere in eterno nella casa attraverso il ricordo, appare lontana - forse è scomparsa; oppure è solamente distratta da altre occupazioni, da una vita frenetica e senza posa.
Tutto il paesaggio circostante - la casa stessa - sembra evocare un senso di disfacimento, di rovina: è una metafora della memoria che si sgretola pian piano, minata dallo scorrere del tempo. La casa dei doganieri all’esterno è costantemente minacciata dalle raffiche di libeccio e dalle onde impetuose del mare che lambiscono la scogliera, mentre i suoi interni sono abbandonati in uno stato di desolazione. Il vento sembra farsi allegoria del tempo che scorre e tutto consuma.

Secondo la logica del correlativo oggettivo ogni oggetto evocato da Montale rimanda all’idea di un destino imperscrutabile e incontrollabile: ecco dunque la bussola impazzita, il calcolo dei dadi, la matassa aggrovigliata, la banderuola che vibra al vento, l’orizzonte in fuga. L’impossibilità di domare il caos dell’esistenza e il moto irrefrenabile del tempo si traduce in queste immagini dal forte significato simbolico, tutte sfuggenti, irrazionali, imprevedibili.
Rimane solo il ricordo al poeta per gestire la mancanza di senso insita nella vita: il varco è qui? si domanda allora con sgomento, sulla soglia di un luogo che è al contempo eterno e deperibile, come la sostanza stessa dell’esistere.
La conclusione pare contenere un’altra domanda implicita che però sembra esprimersi attraverso l’alito del dubbio e rifrangersi nella stessa immagine della bussola impazzita:

Ed io non so più chi va e chi resta.

Presente e passato si confondono in questa affermazione che sembra scardinare ogni punto di riferimento spazio-temporale, infrangere le certezze e i riferimenti saldi.
La casa dei doganieri è un luogo di passaggio, ma è anche il riflesso speculare della memoria umana in cui tutto rimane conservato intatto come custodito sotto vetro, eppure impercettibilmente muta e, di conseguenza, fa sì che nulla sia mai uguale nel ricordo.

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