Estinzione
- Autore: Thomas Bernhard
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
Estinzione, ultimo romanzo pubblicato di Thomas Bernhard, ha il peso di un testamento. Il romanzo si apre con un’epigrafe di Montaigne, dal sapore luttuoso: “Sento la morte che mi artiglia di continuo ora la gola ora le reni. Ma io non sono come gli altri: la morte mi pervade interamente”.
Nello spazio bianco dell’epigrafe, ambiguamente conteso tra la realtà dell’autore e la finzione del romanzo, è già posto il suggello, la tonalità del pezzo. In essa vi fa capolino la morte che è, altresì, il motore degli eventi narrati, lo sfondo da cui ogni cosa spicca in tutta la sua evidenza e nel suo significato definitivo. Senza la morte, sembra dirci Bernhard con questo romanzo, non c’è memoria, non c’è identità, non c’è libertà.
La vicenda terrena del protagonista, Franz Josef Murau, inizia appunto con un conciso telegramma nel quale lo si avvisa della morte, avvenuta in un incidente d’auto, dei suoi genitori e del fratello. Il telegramma gli giunge da Wolfsegg, il feudo avito nell’Alta Austria; a inviarglielo sono le due sorelle, Cecilia e Amalia. Murau, che è appena tornato a Roma da Wolfsegg, dove ha presenziato al matrimonio di Cecilia con un ridicolo ‘fabbricante di tappi di bottiglie da vino di Friburgo’, accoglie la ferale notizia con freddezza e distacco. Di lì a breve è costretto a tornare a Wolfsegg per celebrare il funerale dei suoi famigliari. Beffardamente quel funerale si sovrappone al matrimonio della sorella appena concluso. Il funerale viene infatti celebrato con la partecipazione commossa dell’intera comunità cittadina, sulla quale il feudo di Wolfsegg svetta come il suo più nobile vessillo. Il funerale, quale rituale collettivo che richiama in patria anche i parenti lontani del nobile casato cui il protagonista è ormai l’erede unico, diventa l’occasione in cui osservare una volta di più, con nettezza e lucidità, i rapporti di forza, le gerarchie politiche e famigliari su cui l’Austria si regge. L’estinzione cui il titolo allude è così quella di un casato, perché Wolfsegg viene ceduta dal protagonista, alla Comunità Israelitica di Vienna, ‘dono assolutamente incondizionato’ che in realtà vuole sanare l’offesa di una famiglia collusa con il nazismo, “Mio padre era un nazista per forza, […] aizzato da mia madre, com’è naturale, che era una nazionalsocialista isterica, durante tutto il dominio nazista, […], una Donna Tedesca, come lei stessa si è sempre definita”.
Morte significa anche memoria, liquidazione di tutte le ipocrisie e dovere di verità. Il protagonista si impegna così alla scrittura di un’opera definitiva – ‘un resoconto’ la chiama lui, parola dal sapore liquidatorio e aspramente burocratico – cui affidare le sue verità sui genitori, su Wolfsegg e su tutta l’Austria, nazione odiata perché fondata sul doppio perno del cattolicesimo e del nazionalsocialismo; e così il protagonista come l’amato zio George, stabilitosi a Nizza, nonché l’unico della schiera dei suoi famigliari a condividere la passione per l’intelligenza, l’arte e il pensiero, fuggono l’aborrita natura austriaca ‘due volte bugiarda, due volte meschina, due volte contraria allo spirito’. Scrivere quel resoconto diventa per il protagonista un imperativo morale da cui dipende la sua integrità psicofisica. Esso si intitolerà Estinzione perché:
“Il mio resoconto e lì solo per estinguere ciò che in esso viene descritto, per estinguere tutto ciò che intendo con Wolfsegg, e tutto ciò che Wolfsegg è”.
È il lutto inaspettato a mettere il protagonista davanti all’evidenza di tutto il suo passato. Le ceneri dei suoi genitori sono lo humus dal quale scaturisce questo immenso blocco di memorie, di rancori, di gesti che ancora bruciano, di calunnie, di offese e umiliazioni subite e perpetrate. Al centro di questa ragnatela di ossessioni si staglia quel ‘complesso dell’origine’ da cui intera la nostra identità è intessuta e che ci porta all’odio, sentimento basico di tutta la vicenda. L’odio permea e attraversa in profondità la scrittura, deformandola e marchiandola con il fuoco dell’ossessione e della ricorsività di temi, parole, sintagmi. Con un atout in più: tra il pensiero e la sua verbalizzazione non sembra esservi stacco, ma una pressoché perfetta contiguità; essa allora carica il linguaggio delle allucinazioni di una psiche che per quanto fredda e rigorosa, ha come propria firma l’eccesso e come fine ideale l’annientamento e l’estinzione (parole ricorrenti con tutti i sinonimi del caso). È una scrittura pensante che sembra incisa nel marmo, prossima cioè alla sfera della morte, delle pietre, delle epigrafi memoriali:
“Da Roma, dove sono tornato, dove ho scritto questa Estinzione e dove resterò, scrive Murau (nato nel 1934 a Wolfsegg, morto nel 1983 a Roma), lo ringraziai di aver accettato”.
L’ultima parola è ancora una volta della morte.
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