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Recensioni di libri

Dentro la sala degli specchi di Liv Strömquist

Fandango, 2022 - Un saggio illustrato indaga l’evoluzione culturale del concetto di bellezza nella storia e il rapporto che abbiamo con noi stessi quando ci mostriamo agli altri, in particolare attraverso le fotografie fino ai giorni nostri con l’ingombrante presenza dei cellulari e dei social.

Alessandra Piras
Alessandra Piras Pubblicato il 04-08-2022
Dentro la sala degli specchi

Dentro la sala degli specchi

  • Autore: Liv Strömquist
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Fandango Libri
  • Anno di pubblicazione: 2022

La bellezza ha avuto una sua evoluzione culturale che ha attraversato le civiltà e le epoche. Ma non tutte le civiltà è le epoche hanno dato lo stesso peso e lo stesso valore al concetto di bellezza. In epoca medioevale ad esempio il matrimonio fra due persone era un modo per guadagnare influenza politica a prescindere dalla bellezza degli sposi mentre in epoca bizantina l’imperatore sceglieva la sposa esclusivamente per il suo aspetto fisico.

Nel mondo moderno siamo più portati a pensare che vogliano fare un buon matrimonio solo le donne quando invece in molte società antiche erano gli uomini che cercavano il potere sposando donne che stavano in un grado alto della scala sociale. Oppure ancora già nella Bibbia si trovano riferimenti alla bellezza.

Basti pensare al primo libro di Mosè dove si racconta che Giacobbe si innamorò di Rachele perché piacevole e di bell’aspetto, escludendo invece la sorella Lia che invece aveva uno sguardo spento. Come se avere lo sguardo spento sia sinonimo di bruttezza e come se essere piacevoli abbia consentito l’innamoramento di Giacobbe.

Di questo e di altro parla un saggio illustrato dai colori vivaci e dal linguaggio informale. Il titolo è Dentro la sala degli specchi, uscito lo scorso luglio (2022) per i tipi di Fandango Libri, scritto da Liv Strömquist, una delle più note fumettiste svedesi nonché popolare dj radiofonica. Ha esordito nei fumetti nel 2005 e si interessa in modo attivo di tematiche femministe e politiche di accoglienza. La traduzione è stata affidata a Samanta K. Milton Knowles.

Quanto detto in premessa è da ritenersi ancor più valido nell’età contemporanea, condizionata com’è dalla presenza dei cellulari e dei social network dove questi ultimi fanno leva proprio sull’ego e sulla vanità degli utenti.

Il testo prende in esame diverse storie sia presenti che passate dove protagoniste sono soprattutto le donne perché proprio le donne sono da sempre le più esposte e le più giudicate all’interno della società quando si parla di corpi. Come sostiene la scrittrice femminista, Naomi Wolf, se la bellezza femminile era oggetto di interesse anche nelle epoche precedenti si può supporre che con l’avvento della fotografia si è avuta una esplosione del fenomeno fino a estremizzare il concetto di bellezza femminile stesso. In quanto tutto deve rientrare in un certo canone di perfezione e linearità.

Da qui a legare il fatto che essere belle renda la vita migliore e consenta di trovare qualcuno con cui dividere per sempre la vita con maggiore facilità o che si innamori di noi, il passo è breve. Credere a questo significa banalizzare la tematica oltre che mistificarla.

La bellezza è del tutto casuale e non per forza rende felici, come dimostra il caso di una delle più importanti scrittrici di epoca vittoriana, George Eliot, considerata dallo stesso padre talmente brutta che egli dava per scontato che non si sarebbe mai sposata. Ma ebbe la fortuna di avere un’adeguata istruzione e grazie anche al carisma e al talento letterario divenne una delle scrittrici più osannate con uno stuolo di ammiratori e condusse una vita relativamente serena. In quegli stessi anni visse Elvira Madigan, funambula, che al contrario veniva considerata solo per la sua bellezza. Non fu per niente felice. Anzi, morì tragicamente, uccisa dall’uomo che diceva di amarla e che la trattava come un oggetto.

Il legame bellezza-felicità, nella società in cui viviamo, è forse il legame più intenso della storia del mondo, dice l’autrice.
Esempi di cosa ha prodotto la società dell’immagine dentro La stanza degli specchi se ne trovano tanti. Quella americana degli anni cinquanta è emblematica a riguardo. Dal mito della casalinga perfetta a quello incarnato da Marylin Monroe. Nel giugno del 1962 quando aveva 36 anni la celebre attrice venne fotografata al Bel Air Hotel di Los Angeles per tre giorni consecutivi senza sosta. Le vennero scattate più di 2600 fotografie dal fotografo Berf Stern che ammise la sua ossessione per la bellezza di Maryline che porrà fine alla sua esistenza solo sei settimane dopo quella sessione fotografica.

Adesso le donne se le possono tranquillamente fare da sole queste grandi quantità di foto, grazie alle nuove tecnologie e questo non è di per sé un fatto negativo “perché pensare di essere belle e agire come se lo si fosse è un grande cambiamento culturale”. Il risvolto negativo però è il rischio di giudicare la persona per il suo aspetto. O, per essere precisi, giudicarla per l’aspetto che ha nella foto (e questo appare più rilevante se si pensa al ruolo dei social). Tracce spettrali le chiama la storica e filosa Susan Sontag. Come umanità non siamo bravi a considerare la bellezza fisica come transitoria e dunque con le foto vogliamo congelare il tempo.

A fare in un certo senso da baricentro all’intera opera è la vicenda personale della principessa Sissi da cui nasce il titolo. La sala degli specchi infatti è il nome della Hofburg, il castello dove viveva a Vienna l’imperatrice d’ Austria che aveva sposato a soli sedici anni suo cugino, Francesco Giuseppe. Fu la sua bellezza a renderla nota in tutto il mondo, ma questa bellezza le costava continue rinunce, per prima cosa di cibo, ed enormi fatiche fisiche e morali.
In lei “l’io privato viene tagliato via e nascosto nell’ombra”.
Così il rimanere giovani divenne per Sissi il suo obiettivo primario. Fino a che, all’età di 61 anni, viene pugnalata a morte da un oppositore della monarchia, Luigi Lucheni, che continuava a ripetere durante gli interrogatori la seguente frase: solo chi lavora può mangiare. Se pensiamo alla vita di Sissi però risulta come una terribile ironia del destino e un paradosso che dovrebbe far riflettere.

Per concludere, Dentro la sala degli specchi di Liv Strömquist non è il solito saggio eppure è molto impegnato, civilmente soprattutto. Non propone facili soluzioni e nemmeno risposte ma suscita interrogativi talvolta scomodi per gettare un seme nella società affinché fiorisca, sensibilizzando su argomenti spesso sottovalutati o sminuiti.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Dentro la sala degli specchi

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