Contemporaneo. Alessandro Manzoni e la parola in controluce
- Autore: Matteo Bianchi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Matteo Bianchi vive a Ferrara ed è uno scrittore, giornalista, libraio (non si fa mancare niente) e redattore di Pordenone legge poesia. Conosce benissimo la vita, ma soprattutto le opere di Alessandro Manzoni. Ecco che è uscito Contemporaneo. Alessandro Manzoni e la parola in controluce (Oligo Editore, 2023).
Il libro di Matteo Bianchi inizia con un autoritratto letterario, una poesia scritta da Manzoni a sedici anni, dove l’autore già dimostra di conoscere le figure retoriche, lo stile poetico ed è convinto di avere stoffa dello scrittore.
A questo proposito Alessandro Zaccuri nel libro Poco a me stesso (Marsilio, 2022), dove parla di Manzoni e della sua famiglia, scriveva che l’eccesso di lucidità, che quasi è straniante per l’essere umano, fu il cruccio di Manzoni che si interrogava senza pace sulla sua condizione. Un uomo di grandissima intelligenza, onesto e dedito allo studio fino alla fine, che arrivò a ottantotto anni, quando già erano morti otto figli e due mogli.
Se la data di nascita è certa, il 7 marzo 1785, Manzoni era presumibilmente figlio di Giovanni Verri, dal momento che Giulia Beccaria, la madre dello scrittore, aveva sbagliato matrimonio e persona, sposando Pietro Manzoni, mai amato, tanto da decidere di lasciare Milano per vivere a Parigi, col suo vero amore, Carlo Imbonati. Ma l’infanzia e l’adolescenza del giovane Manzoni trascorsero nei collegi, lontano dalla madre.
Prima, per cinque anni, a Merate nel collegio San Bartolomeo, poi due anni a Lugano e dal 1798, fino al 1801 presso i Barnabiti. Inutile dire il suo profitto scolastico: era bravissimo in tutto, ma in particolar modo in letteratura e francese. Conobbe Vincenzo Monti, Vincenzo Cuoco, Ugo Foscolo. C’è una cosa che va chiarita, pur passando tanti anni in collegio, il ragazzo Manzoni amava molto sua madre, che viveva a Parigi. Non vedeva l’ora di raggiungerla.
D’altra parte Giulia Beccaria era una donna affascinante e colta, ma anche materna e amorevole, a modo suo. E Alessandro la raggiunse nella capitale francese, dove Giulia viveva con Carlo Imbonati, che il ragazzo amava come un padre e che purtroppo morì nello stesso anno in cui lui si trovava a Parigi.
Nel 1807 invece morì il padre e Manzoni rimase l’unico erede di case, terreni e soldi, ma si concesse pochi mesi per fare lo scavezzacollo, inebriato da tanti privilegi e infatti, già nel 1808, sposò la figlia di un banchiere, Enrichetta Blondel, prima con rito civile, poi con rito protestante, come tutta la sua famiglia rigidamente calvinista. Ma poi, per amore del marito, Enrichetta decise di diventare cattolica; mentre Manzoni, di fatto cattolico, aveva in testa una confusione di fede e comportamento morale, che lo portò lontano dal gesuitismo, verso orientamenti meno lassisti.
Questo comportamento non cambiò, nonostante la moglie fosse continuamente incinta, al punto da indebolirsi e morire di tifo. Manzoni perse inoltre sette dei suoi nove figli. E poi venne la seconda moglie, Teresa Grossi.
Nonostante le avversità la fede di Alessandro Manzoni rimase incrollabile, tanto che, in questi giorni di commemorazione c’è chi vuole ricordare in modo capzioso che I Promessi sposi, il romanzo italiano per antonomasia, è finito per diventare il manifesto del cattolicesimo democratico italiano.
Evidentemente molti dei critici letterari dei supplementi libri hanno dimenticato la figura di padre Cristoforo e quella più bassa e squallida di Don Abbondio, che rimane un ricordo indelebile perché ci assomiglia di più delle virtù di altri prelati.
In Don Abbondio c’è tutto quello che Alessandro Manzoni disprezza degli uomini e lo blinda, a detta del critico letterario dimenticato Angelandrea Zottoli, in una cupezza torva, figlia del giansenismo dello scrittore, per cui alla fine è lui il vincitore della storia, tanto che Renzo e Lucia riuniti da un nobile meno scellerato di Don Rodrigo, mangiano insieme ai servitori; mentre Don Abbondio sta a tavola accanto a i suoi bravi e alle persone che sperano di emendare tutti i peccati del precedente signorotto.
Non diciamo oltre, perché forse ci sono pochi lettori che si sono conservati per la rilettura del libro oltre agli adolescenti in classe, per loro manteniamo ancora una sorta di riserbo, almeno sul perché Don Rodrigo avesse smesso di perseguitare Renzo e approfittare di Lucia.
Chi scrive, ai tempi di scuola trovò I Promessi Sposi insopportabile, perché bisognava leggere un capitolo a settimana, se ricordo bene e poi analizzare la lingua e i contenuti. Estenuante, ma soprattutto c’era questo pregiudizio che amare il libro significava essere dei clericali o al massimo dei catto-comunisti.
“Come Dio vuole”, direbbe Manzoni, non riesco a capire come sia riuscito ad arrivare fino a qui e ora, molto criticato, ma ancora molto letto e appunto riletto e molto amato. Questo libro di Matteo Bianchi, poi è prezioso, perché riprende tutti i temi e i pregiudizi su I Promessi Sposi e ci dà la possibilità di acuire in noi una cosa importante come lo “spirito critico”.
Contemporaneo. Alessandro Manzoni e la parola in controluce
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