L’inno al mese di maggio, iniziato da Giovanni Pascoli in un’altra celebre poesia, diventa un ritratto bucolico in Chiesa di maggio, dove il paesaggio si fa atmosfera in una comunione perfetta tra il Fanciullino e la natura in rinascita, dove tuttavia non manca, come in tutte le liriche pascoliane, una nota stridente e insistita di angoscia.
Il poeta della Romagna doveva nutrire un’autentica fascinazione per il mese di maggio, come testimoniano le liriche È maggio e Calendimaggio nelle quali la natura primaverile viene celebrata nel suo momento di massimo rigoglio e splendore. Potremmo nominare maggio, a buon diritto, come “mese pascoliano” dati i ritratti autentici e pieni di luce che il poeta ci ha fornito attraverso le parole. Non dobbiamo neppure dimenticare che la poetica pascoliana è intessuta di trame floreali: i fiori in boccio assumono un preciso valore simbolico, dal Gelsomino notturno alla Digitale purpurea, diventano un’allusione sottile alla sfera ambigua della sessualità o un tacito presagio di morte, mescolando nel segreto dei loro pollini le pulsioni primordiali di eros e thánatos. Questa poesia non è da meno, possiamo notare che nel finale i fiori fanno capolino, come un presagio, e tra essi spicca un fiore di leopardiana memoria: la ginestra.
Chiesa di maggio è tratta dalla raccolta Myricae (1891-1903) e ricorda un quadro dei Macchiaioli, il gruppo di pittori toscani che nell’Italia Ottocentesca rompeva con la tradizione accademica realizzando pitture all’aperto per catturare la luce vera del sole. Sembra davvero che in questa lirica Pascoli abbia colto un fuggevole frammento di luce; ma tra i versi palpita anche una insondabile malinconia, come se il mese di maggio fosse una promessa presto destinata a svanire.
Scopriamone testo, parafrasi e analisi.
“Chiesa di maggio” di Giovanni Pascoli: testo
Sciama con un ronzio d’ape, la gente
da la chiesetta in sul colle selvaggio;
e per la sera limpida di maggio;
vanno le donne a schiera, lente lente.E passano tra l’alta erba stridente,
e pare una fiorita il lor passaggio;
la attende, a valle, tacito il villaggio
con le capanne chiuse e sonnolente.Ma la chiesetta ancor ne l’alto svaria
tra le betulle, e il tetto d’un intenso
rossor sfavilla nel silenzio alpestre.Il rombo de le pie laudi ne l’aria
palpita ancora: un lieve odor d’incenso
spendesi tra le mente e le ginestre.
“Chiesa di maggio” di Giovanni Pascoli: parafrasi
La gente esce, come uno sciame di api ronzanti, dalla chiesetta situata sulla cima del colle selvatico nella serata limpida di maggio. Le donne avanzano a gruppi, con passi lenti.
Nella discesa passano tra l’erba alta che graffia le gambe e il loro passaggio sembra far fiorire ogni stelo, mente il villaggio, tranquillo e silenzioso, le attende a valle, dove le loro umili case aspettano avvolte nel silenzio dell’abbandono.
Ma la chiesa spicca ancora in alto al colle, svettante tra le betulle, mentre l’intenso colore rosso del tramonto si riflette sul tetto nel silenzio alpino del colle.
Si avverte ancora nell’aria l’eco delle lodi religiose cantate durante la messa, mentre un leggero odore d’incenso si sparge tra le piante di menta e le ginestre.
“Chiesa di maggio” di Giovanni Pascoli: analisi e commento
La natura nella poesia di Pascoli non è mai puro idillio; nell’immagine fatata e intessuta di corrispondenze evocata dalla mente del Fanciullino si intrecciano sempre delle impressioni ombrose che fanno emergere l’irrazionalità e il caos che abitano l’inconscio. Anche questo bucolico ritratto di una chiesa di campagna non è esente da un senso impalpabile di angoscia.
Nella descrizione apparentemente idilliaca Pascoli inserisce dei riferimenti quasi gotici attraverso l’uso della sinestesia: “erba stridente”, “tacito il villaggio”, “capanne chiuse e sonnolente”, l’accostamento tra tatto e udito è una costante, a partire dalla metafora iniziale dello sciame d’api ronzante cui si paragona il movimento della folla fuori dalla messa. Viene soprattutto esaltato il senso uditivo e olfattivo della poesia, come si può notare anche nel riferimento all’odore di incenso e alle laudi religiose.
Gli inni sacri sembrano vivere in una perenne eco all’interno della chiesa, mentre le capanne del villaggio, per contrasto, sono da tempo silenziose. La chiesa sembra essere abitata, sebbene i fedeli abbiano da tempo lasciato il sagrato; nel bagliore rossastro del tramonto diventa essa stessa presenza. L’odore d’incenso si espande ancora mescolandosi con il profumo pungente delle piante di menta e delle ginestre. Evocando questi odori pungenti, invadenti e molesti nei confronti dell’olfatto, Giovanni Pascoli sembra innescare una sensazione precisa nel lettore: nella chiesa abbandonata e silenziosa, chiusa nell’immobilità della collina, avvertiamo la nostalgia ineffabile delle cose perdute.
C’è qualcosa che ci angoscia in questo paesaggio che pure dovrebbe essere idilliaco e naturale, un delizioso quadretto di campagna. La chiesa di maggio sembra una presenza fantasmatica, una sorta di castello arroccato sull’alto di un poggio. Per raggiungerla le donne hanno attraversato l’erba alta, selvatica e “stridente” che graffiava loro le gambe. Anche i fiori evocati dal poeta sono lontani dall’idillio: non si tratta di rossi papaveri o margherite, ma di piante di menta dall’odore pungente e di selvatiche ginestre. La ginestra, fiore di leopardiana memoria, evoca infine un senso ineffabile di solitudine e di resilienza dinnanzi alle prove del destino. Le donne si sono recate nella chiesa in cerca di conforto: le loro preghiere saranno mai esaudite? Questa la domanda che aleggia inespressa nell’aria insieme al profumo di incenso delle offerte votive al Signore.
L’incantamento della chiesa di maggio di Pascoli pare evocare una promessa sul punto di spezzarsi; non a caso è immersa nella sera limpida del mese di maggio, il massimo rigoglio della primavera, che già si fa sentinella della torrida estate. C’è una dolcezza che pare sempre sul punto di svanire sfilacciandosi nell’aria in un’inconsistente trama di nuvole e sole.
In questo il bucolico ritratto poetico di Pascoli ricorda un quadro dei Macchiaioli, precursore dell’Impressionismo, dove le macchie di colore evocano i contrasti tra luce e ombra che danno alle forme una connotazione più sfumata e inconsistente, come se le cose fossero perennemente in bilico tra questo mondo e un altrove.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Chiesa di maggio” di Giovanni Pascoli: una poesia bucolica e stridente
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