La storia di Madamigella Emilia Luti (Firenze, 29 giugno 1815 – Milano, 7 gennaio 1882), di cui fino a un anno fa solo pochissimi addetti ai lavori conoscevano a stento l’esistenza, di recente è tornata all’attenzione del pubblico dei lettori grazie al secondo romanzo storico di Emanuela Fontana, insegnante, giornalista e guida escursionistica, dal titolo La correttrice (Mondadori, 2023). Lette per caso poche righe di una storia della letteratura italiana e veduta una foto che ritrae una sconosciuta bambinaia e Alessandro Manzoni seduti a tavolino a fissare un libro, l’autrice si è lasciata contagiare dalla curiosità di scoprire una collaborazione tanto affascinante quanto sconosciuta, che portò alla definitiva versione linguistica dei Promessi sposi.
Emilia Luti è stata infatti la prima vera e propria editor della letteratura italiana, lavorando sulle bozze dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
A 150 anni dalla morte di Manzoni, scopriamo la storia di Emilia Luti e l’avventura della revisione del romanzo degli Italiani, quando l’Italia non era ancora unita, attraverso qualche citazione tratta dal romanzo di Fontana, che permette di immergersi completamente nella sua vita.
Chi è Emilia Luti
La storia inizia a Firenze, nell’ottobre del 1838. Emilia fa la bambinaia in casa del signor Vieusseux, le piace scrivere e ha: uno spasimante, Fulvio, vedovo con figli che vuole che lo sposi e si trasferisca con lui a Siena; una madre e tre sorelle (Olimpia, Adele e Maria).
Emilia, però, non è solo la bambinaia dei nipoti di Vieusseux, si ritaglia spazi da istitutrice e in quella stessa casa svolge anche la mansione di bibliotecaria, nel famoso Gabinetto, frequentato da due sole donne, nel quale è un privilegio entrare.
La giovane fiorentina ha, forse, un’unica certezza che spesso proclama a Fulvio:
«Non voglio lasciare Firenze. Non la lascerò mai».
Eppure, non solo quel proposito si rivelerà un’utopia, ma la giovane donna si troverà a fare delle scelte che la allontaneranno progressivamente dalla sua città d’origine, nella quale tornerà solo qualche volta e per brevi periodi fino alla fine della sua vita.
Emilia ci piace fin dall’inizio: ci piace il suo amore per la scrittura, il suo sorriso, la sua intraprendenza “professionale”. A Firenze era una delle poche donne nel Gabinetto Vieusseux, a Milano si troverà ad essere “l’unica donna in un gruppo di uomini” nella cerchia di esperti che procedono insieme per l’illustrazione del romanzo.
La giovane, infatti, coglie al volo l’occasione di diventare bambinaia e istitutrice di Rina, una bimba di cinque anni, figlia della prima moglie di Massimo D’Azeglio (Giulia Manzoni) ‒ morta prematuramente già da due anni ‒ quando il marchese e la sua seconda moglie, Luisa Blondel, durante un loro soggiorno a Firenze, sperimentano la sua affidabilità e hanno modo di apprezzare la sua parlata fiorentina. Il suo aiuto sarà provvidenziale per l’incauta Luisa, alla quale riconsegnerà sana e salva Rina, sfuggitale in strada quando tuoni e lampi annunciano un temporale. Rina ha paura dei temporali come suo nonno, il già famoso Alessandro Manzoni, e suo padre dichiara che ha proprio bisogno di una istitutrice che non parli e scriva con «l’accento degli Unni» che si sente a Milano.
Emilia decide di partire nonostante tutti le diano contro, soprattutto sua madre, che la rimprovera perché ha il fidanzato che vuole sposarla, lavora in uno studio importante e, poi, lei non è un uomo non può comportarsi come un uomo. Eppure, madamigella Emilia Luti non si lascia convincere e si trasferisce a Milano.
L’incontro di Emilia Luti con Alessandro Manzoni
A Milano, Emilia Luti incontra presto Alessandro Manzoni, frequenta la sua casa, si sente da lui apostrofare con l’epiteto “la fiorentina” e ne lascia vari ritratti nella storia romanzata da Fontana, di cui il primo recita:
«È abbastanza alto, la figura sottile, signorile. Il collo è chiuso da un fazzoletto nero. Appena inquadra meglio il suo viso, Emilia si meraviglia di quanto le ricordi Rina. Hanno entrambi un’impronta indifesa, di chi attende un imprevisto dalla vita. Lo sguardo è cangiante: un lampo di cielo e poi un profondo verde cupo […] Ha una voce incerta ma musicale».
Emilia conosce tutta la famiglia Manzoni, conquista presto la simpatia e la stima della madre dell’autore Giulia Beccaria, della quale l’autrice ci fornisce un convincente ritratto: ha settant’anni ed emana una viva luce dai suoi grandi occhi che sembrano due smeraldi, con uno «sguardo che trapassa le distanze» e che sarà seguita costantemente nel suo rapporto con il figlio.
Emilia viene a sapere che I Promessi Sposi saranno ripubblicati tutti illustrati e viene presto individuata dal grande autore come l’interlocutrice privilegiata della risciacquatura in Arno del suo romanzo; da quando, alla richiesta di conoscere il suo parere sulla lingua del romanzo, dopo averne lodato la storia come la più appassionata e buona e viva mai letta, con umile e candida schiettezza dichiara:
«I dialoghi non sono come si usa a Firenze».
Manzoni le chiede subito di aiutarlo perché la sua penna vuol scrivere solo in milanese e vuole conoscere le parole che si usano a Firenze, per correggere la lingua del suo romanzo: allora, prima a voce, poi con dei bigliettini Emilia apporta le correzioni in fiorentino. Comincia così l’avventura della revisione orale, la meticolosa sostituzione delle parole, sintagmi, espressioni, alla quale ci appassioniamo, perché ritroviamo da affezionate/i lettrici/lettori tutto il guazzabuglio del cuore umano, tanto caro al grande autore e anche l’unica parola che non chiederà mai di cambiare alla sua collaboratrice.
È la stessa Emilia che comincia l’editing, entrando di soppiatto di notte nella libreria di Manzoni e aprendo uno dei tre volumi blu che l’autore le ha mostrato. L’autrice ricostruisce con attenzione storiografica il lavoro sul romanzo, documentato dai bigliettini conservati in originale presso la Sala Manzoniana della Biblioteca Braidense di Milano.
Emilia si accorge ben presto che nelle parole di Manzoni quella strana balbuzie ritorna spesso e nota quella sua ironia, gentile come il suo sorriso, le sue grandi e solide mani, che odorano di tabacco, il viso magro e le convulsioni e altre incertezze del corpo e il “subbuglio dell’anima”. E scoprirà progressivamente le sue fobie, l’amore per il suo giardino e per le parole che «sono come bambini» di cui prendersi cura. E nota le sue difficoltà a occuparsi con costanza dei propri figli e la sua solitudine e le tante affinità con i suoi personaggi: soprattutto Don Abbondio e la sua paura, che è quella di ognuno di noi; Padre Cristoforo con il suo senso di colpa, con il suo smarrimento. Personaggi con i quali arriva anche a parlare, come con le amate piante del suo giardino.
Passano i mesi e gli anni, la revisione e le vite dei protagonisti vanno avanti tra gioie e dolori, disillusioni e speranze. Il rapporto tra Manzoni e Emilia diventa sempre più familiare e amicale, i due arrivano a rivelarsi reciprocamente piccoli e grandi “segreti” che hanno cambiato le loro vite, a parlare di Provvidenza e di Fede. Emilia dichiara candidamente di non credere in Dio, perché non si dà risposta alla violenza del mondo e chiarirà a Manzoni, affettuoso lettore dei suoi diari, cosa significa l’espressione “piccola anima” che lo ha tanto colpito e che volutamente lascio nella penna perché possiate scoprirla leggendo il romanzo di Emanuela Fontana.
“La correttrice”: il romanzo di Emanuela Fontana su Emilia Luti
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Consigliamo la lettura del romanzo di Emanuela Fontana perché non è solo un’occasione di conoscere progressivamente una giovane e coraggiosa donna, che scopriremo diventerà la prima vera e propria editor della letteratura italiana, ma ci fa conoscere meglio anche Manzoni uomo fragile e tenace, Manzoni padre incompleto, Manzoni tormentato da ripensamenti continui, dalle difficoltà di una colossale fatica di revisione, dai costi dei disegni e delle incisioni di Francesco Gonin; tanto che Emilia definisce quello che rimarrà l’unico romanzo del grande autore, come un’avventura di «eroica lentezza».
Ogni lettrice e lettore del romanzo manzoniano si sarà chiesto, almeno una volta, come mai Manzoni non abbia scritto altri romanzi oltre ai Promessi sposi. E Emanuela Fontana fa fare ad Emilia la fatidica domanda:
«Perché non scrive un altro romanzo?
- È la fatica più grande in cui potrei i-incappare. E anche quella che mi provocherebbe maggiore sofferenza».
Procedono talvolta in parallelo, talvolta sfasati, i tentativi di illustrare il romanzo e di rifarne la dicitura, entrambi lavori meticolosi, lunghi, che procedono dando l’impressione di non dover mai finire, anche se Emilia stessa quando il lavoro è ormai quasi concluso esclama:
«Vorrei che il romanzo non finisse mai».
Nel romanzo leggiamo come Manzoni voglia che “il romanzo si veda come un grande affresco” e soprattutto che insieme alle parole anche le illustrazioni contribuiscano a farlo comprendere proprio a tutti:
«Il romanzo deve essere riscritto, e ora sarà anche mostrato. Lo comprenderanno anche i bambini più piccoli, le persone che non sanno leggere che magari saranno i-incoraggiate a imparare proprio dai disegni».
Recensione del libro
La correttrice. L’editor segreta di Alessandro Manzoni
di Emanuela Fontana
Questa storia ci fa anche avvicinare con spirito di rinnovato interesse ad uno dei romanzi che ha contribuito a porre le basi dell’italiano come lingua nazionale, quando l’Italia era da fare. Infatti, Manzoni confesserà a Emilia:
«E quindi, il mio intento è certamente importante, creare con il romanzo una lingua italiana co-comprensibile a tutti, ricca di vocaboli e viva, attraverso la lingua fiorentina dell’uso comune, ma è una fatica di cui da anni non ve-vengo a capo».
E ancora:
«Io voglio che il romanzo non sia soltanto letto in questi anni, ma ricordato. Che entri nel cuore e nella memoria delle persone. Le immagini, i personaggi, la lingua. […] La mia ambizione è che questo lavoro sia utile per chi verrà dopo di noi. […] Vorrei che influenzasse il modo di scrivere, e anche quello di parlare della gente. L’Italia non è ancora unita perché non ha una lingua unita»
Siamo negli anni in cui il clima rivoluzionario era alimentato dalle opere di Verdi. “O mia patria, sì bella e perduta” del coro degli Ebrei echeggia nella parte finale del romanzo, nelle orecchie di un’attenta Emilia che partecipa alla prima del Nabucco a Milano.
E per rendere un doveroso tributo di riconoscenza a uno dei romanzi più letti, più amati e contemporaneamente più odiati, soprattutto a scuola, della letteratura italiana, ci piace concludere con le parole di Emilia:
«[...] una storia che pare vera [...] un romanzo rumoroso, nel quale c’è una consolazione, un bene»
e anche a noi, come a lei, mentre le pronunciamo, salgono le lagrime agli occhi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Emilia Luti, l’editor segreta dei Promessi Sposi di Manzoni
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