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Recensioni di libri

Benvenuto Cellini. Artista, uomo d’arme, occultista di Dalmazio Frau

Mursia, 2022 – Una biografia polemica, motivata dalla simpatia dell’autore per il personaggio: Frau lo colloca tra i grandi del Rinascimento e rivela aspetti conosciuti dell’artista e guerriero e altri meno noti dell’ermetista e alchimista.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 23-06-2022
Benvenuto Cellini. Artista, uomo d'arme, occultista

Benvenuto Cellini. Artista, uomo d’arme, occultista

  • Autore: Dalmazio Frau
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Mursia
  • Anno di pubblicazione: 2022

Il cesello, le lame, il cappuccio. Conosciamo il Cellini scultore e orafo. E che fosse anche svelto di spada e guerriero l’abbiamo appreso dalle cronache del Sacco di Roma. Era meno nota, tuttavia, la sua inclinazione verso i misteri e il soprannaturale. Apprendiamo ogni particolare della vita di un protagonista sopra le righe della storia e cultura del XVI secolo in un saggio di Dalmazio Frau, Benvenuto Cellini. Artista, uomo d’arme e occultista, in prima edizione nel 2022 per i tipi Mursia (210 pagine).

Un lavoro appassionato del cinquantanovenne sardo che vive a Roma, pittore, illustratore e conferenziere, studioso di miti, simboli ed ermetismo. Un libro sull’arte e un libro d’arte, rileva lo storico Franco Cardini nella prefazione: una ricostruzione dell’operato del Cellini finanche “faziosa”, perché difende a penna tratta la figura di un grande del passato, al quale Frau si sente legato.

È impressionante quanto possa risultare in sintonia l’indole del nostro contemporaneo – sarcastico liberopensatore démodé, costantemente controcorrente, oltre che storico dell’arte polemico e cultore della letteratura fantastica – e quella irrefrenabile di Benvenuto. Era “musico, cantante, disegnatore, orafo, forse ladro, certamente assassino”, sostiene, frequentatore di bordelli e probabilmente iniziato ad alcuni misteri, al pari di altri educati a esercitare un ingegno multiforme.

“Una figura corrusca e tenebrosa, capace di allegrie smodate e malinconie rovinose”.

Colloca l’artista fiorentino (1500-1571) tra i più grandi del Rinascimento, per quanto ammirato e apprezzato più all’estero che “nella nostra cerchia”. Non gli ha giovato la damnatio memoriae operata dai detrattori, facilitata da un temperamento portato alla rissa, da un indole intollerante, delle maniere ferocemente sbrigative che tanto lo avvicinano all’altro gigante dell’arte italiana al quale viene attribuita la patente di criminale, il Caravaggio. Nel giudizio dei posteri, la pessima fama di Cellini ha finito per allontanarlo dai due geni coevi Leonardo e Buonarroti, all’altezza dei quali lo eleverebbe invece la produzione artistica, se non fosse andata disgraziatamente dispersa, a parte pochi capolavori, dal Perseo al Ganimede manierista nel 1547 e alla saliera di Francesco I, in ebano, oro e smalto.

In lui, l’uomo d’arte conviveva strettamente con l’uomo d’armi, in una condotta da irriducibile irregolare. Attratto dal passato, Cellini si è anche dedicato a quella forma di sapienza arcaica ch’è l’ermetismo, alla magia e alchimia tanto rilevanti dal secolo precedente.

Smarcandosi dal pensiero unico che vuole Benvenuto attaccabrighe da osteria e fuori dal coro di quanti ne hanno minato la credibilità da allora a oggi, Frau propende per la versione data dall’artista stesso delle proprie avventure. Anche le più fantasiose e improbabili non sarebbero frottole frutto di una spudorata immaginazione, ma la rivelazione di una “verità altra, sovrannaturale, meravigliosa e vera”, alla quale non si sa più credere. Benvenuto non era uomo della modernità, si è sempre rifatto al sapere degli antichi e a quanto lo ha preceduto.

Nel primo dei tredici capitoli in cui è scandito il saggio (Una vita scellerata), Dalmazio condensa la biografia del Cellini, nato a Firenze all’alba del XVI secolo e morto nel 1571, sempre nella città della Signoria, sepolto in Santa Maria Novella. Oltre al patrimonio considerevole trasmesso ai figli avuti da Piera dei Parisi, sposata da pochi anni, ha lasciato dietro di sé la propria leggenda violenta, piena di ombre e di tante luci, messe in risalto dal suo biografo appassionato del XXI secolo.
Curioso il ruolo di Castel Sant’Angelo nella vita del maestro orafo al servizio del Vaticano. Sugli spalti della fortezza papale romana ha mostrato il valore militare e in una cella si è consumata la detenzione nel 1538.

Riparato con Clemente VII nel castello circondato dai lanzichenecchi nel 1527, combatté da archibugiere e bombardiere. Sostenne di avere ucciso il comandante nemico Carlo di Borbone e ferito il secondo, Filippo d’Orange. Benvenuto faceva fuoco con un falconetto, cannoncino di piccolo calibro che padroneggiava grazie alla familiarità con le fiamme e i metalli, acquisita da orafo e alchimista.

Cellini non avrebbe colpito il conestabile dalla Mole Adriana ma nei pressi della sua abitazione ai Banchi Vecchi, dalle mura di Campo Santo, contro cui si affollavano gli assedianti. Un colpo di archibugio verso la figura più alta nella nebbia, poi la fuga verso la sicurezza del Castello.

Durante l’assedio, sarebbe diventata insanabile la discordia con i Farnese, non tanto il cardinale Alessandro, futuro pontefice, quanto il figlio di questi, Pier Luigi, animato da profonda avversione tanto da ottenere dal padre l’arresto dell’artista, nel 1538, per “affari disonesti”. L’accusa era d’essersi appropriato di gioielli appartenenti a Clemente VII. Lo attese una cella nella fortezza che aveva difeso, tentò la fuga, con il classico stratagemma delle lenzuola annodate, ma la corda era corta e saltando si fratturò la tibia. Venne ripreso e condotto questa volta in una segreta umida e buia, piena di vermi e tarantole.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Benvenuto Cellini. Artista, uomo d’arme, occultista

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