Bertolt Brecht affermava di vivere in un “tempo insensibile”, privo di innocenza, ostile e senza rispetto verso i sentimenti. Era il 1939 e in Germania imperversava la dittatura di Adolf Hitler, si addensavano furibondi venti di guerra e il peggio, come sappiamo, doveva ancora arrivare. Cosa significava essere immersi nella coltre oscura di quell’epoca senza futuro?
Quell’anno, il 1939, prefigurava uno dei periodi più atroci della storia recente: nel settembre 1939 la Germania avrebbe invaso la Polonia dando inizio alla Seconda guerra mondiale, un periodo di atrocità inenarrabili nel quale sarebbero stati consumati orrendi crimini, tra i quali un genocidio, e che sarebbe culminato con l’apocalisse dell’era moderna: l’esplosione della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki.
“Davvero, vivo in tempi bui!” scrisse il poeta e drammaturgo tedesco nel primo verso di An die Nachgeborenen (letteralmente: “A chi è nato dopo”), una poesia dal forte significato civile, immersa nel presente storico, che tuttavia si configurava come un appello alle generazioni future. La poesia di Brecht è stata tradotta in italiano come A coloro che verranno sottolineando così il messaggio centrale insito al componimento: nel tempo più buio della storia mondiale Bertolt Brecht parlava al futuro perché, nonostante tutto, sapeva che il futuro sarebbe arrivato.
La poesia si configura come una lettera ai posteri, scritta con l’angoscia e l’urgenza di chi avverte la morte come un presagio possibile, se non imminente.
Dopo aver offerto una panoramica desolante del proprio tempo, segnato dal sopravvento del regime nazista, Brecht descrive la propria misera vita di uomo che cerca di sopravvivere in esilio, lontano dalla propria patria, infine si rivolge agli “uomini che verranno” invocando la loro saggezza acquisita. L’appello finale alle future generazioni non è solo una scelta stilistica precisa, la stessa che ritroviamo in molte poesie ambientate nel tempo della Shoah (tra cui Shemà di Primo Levi, che più che con un’invocazione si chiude con una maledizione); ma è soprattutto dettato dalla consapevolezza che è ormai troppo tardi per rimediare alle ferite del presente, che i contemporanei - cui allude Brecht nella prima strofa - siano troppo stolti e ciechi per comprendere di vivere in un presente perduto, un presente già passato che non ha in sé altra speranza se non rivolgersi al futuro.
Sono versi lapidari quelli di Brecht, segnati dalla lucida consapevolezza di un uomo che sa il suo destino: “chi ride”, osserva sarcastico con un riso amaro, “la notizia atroce non l’ha saputa ancora”. Questa visione quasi profetica - l’annuncio di un futuro prossimo, incombente, di sventura - caratterizza tutte le poesie contro la guerra di Brecht che sono però connotate dall’analogo intento militante, ovvero smuovere le coscienze degli uomini dal loro torpore. Lo scopo della poesia di Brecht è civile e democratico proprio per la sua capacità di proiettarsi verso il futuro e di immaginare un “futuro possibile” in cui gli uomini non ripeteranno gli errori dei loro predecessori.
L’io lirico stesso, in prima persona, si incolpa per la propria incapacità, il proprio fallimento: sente di non essere riuscito a contrastare la sua epoca sciagurata, descrive questa sensazione di impotenza con una ripetizione anaforica che richiama un ritornello:
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Il tempo è uno dei messaggi centrali di questa poesia, imperniata sull’opposizione tra passato (ciò che non può essere cambiato) e futuro (il tempo possibile, che apre alla speranza). Bertolt Brecht si affida a coloro che verranno nella speranza che le generazioni successive possano rimediare agli errori delle precedenti: soltanto allora, come uomo, lui sentirà di non aver fallito nel sogno di una vita migliore, di non aver sprecato il tempo vissuto su questa terra.
Vediamone testo, analisi e commento.
“A coloro che verranno” di Bertolt Brecht: testo
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha saputa ancora.Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell’affanno?È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
di quel che fo m’autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e sono perduto).“Mangia e bevi!”, mi dicono: “E sii contento di averne”.
Ma come posso io mangiare e bere, quando
quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua?
Eppure mangio e bevo.Vorrei anche essere un saggio.
Nei libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar le contese del mondo e il tempo breve
senza tema trascorrere.
Spogliarsi di violenza,
render bene per male,
non soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli, dicono, è saggezza.
Tutto questo io non posso:
davvero, vivo in tempi bui!
Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci all’amore senza badarci
e la natura la guardai con impazienza.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva al carnefice.
Poco era in mio potere. Ma i potenti
posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.Eppure lo sappiamo:
anche l’odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili.Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.
“A coloro che verranno” di Bertolt Brecht: analisi e commento
Giace una domanda inespressa in questa lirica: cosa può fare un uomo che vive in “tempi bui”? In questa poesia composta da tredici strofe, senza rime, dal ritmo irregolare e discorsivo, Brecht dà corpo alla tristezza insondabile dell’individuo schiacciato dalla Storia. Il tempo storico sembra sovrastare l’uomo, lasciarlo annichilito in balia di eventi ostili cui è impossibile porre rimedio.
Narrando l’ascesa del nazismo e il rapido succedersi degli avvenimenti drammatici (stragi che non possono essere passate sotto silenzio), Brecht constata la propria impotenza d’uomo: la poesia An die Nachgeborenen sembra essere scissa in due moti opposti che si muovono paralleli - da un lato c’è il tempo irrevocabile della Storia, dall’altro quello limitato, mortale, dell’individuo. A scandire i versi è un ritornello ripetuto grazie alla ripresa anaforica:
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Attraverso questa ripetizione cantilenante e malinconica, Brecht scandisce l’evolversi del suo destino marcato da un sentimento sterile di smarrimento e impotenza. Giacché per la sua epoca e la sua generazione è ormai troppo tardi, il poeta si affida ai posteri che saranno chiamati alla ricostruzione di un mondo perduto, quando i “tempi bui” saranno finiti. A loro infatti è dato il potere, questo è rimarcato tenacemente dall’autore, di redimere il mondo dall’onta della guerra.
“Noi non si potè essere gentili”, afferma Brecht nelle strofe conclusive, sancendo l’opposizione definitiva tra l’individuo e la Storia: in tempi bui, dove imperversa la violenza, non c’è spazio per la gentilezza. Per rimarcare il proprio “presente perduto”, l’autore lo formula al passato con tempi verbali che già contrassegnano una presa di posizione: non c’è modo di modificare il corso degli eventi, la speranza è riposta in un futuro in cui gli uomini saranno più savi e più giusti. Sconfitto nel proprio desiderio di un domani migliore - in una delle epoche più buie della storia - lo scrittore e drammaturgo tedesco teneva viva la solenne convinzione che un giorno “all’uomo un aiuto sia l’uomo”. Nonostante le atrocità della propria epoca, Brecht non aveva rinunciato a credere nella forza dell’umano e in una visione di fratellanza.
Leggendo ora queste parole di Bertolt Brecht viene da chiedersi se non sia un’attitudine tipicamente umana quella di sperare in “coloro che verranno”: poiché questa poesia, benché scritta nel 1939, parla ancora al presente, segno che gli esseri umani non imparano dal passato, ma, anzi, il più delle volte sono condannati a ripeterlo.
Era il settembre del 1939 quando il drammatico evolversi degli eventi portava l’umanità sull’orlo del baratro, in uno dei momenti peggiori della storia mondiale. Ma in quel settembre ancora era assente il presagio della fine: tutto era appena cominciato. Erano sempre gli uomini gli artefici del loro destino, consapevoli o meno. Brecht, con la lucida consapevolezza che lo contraddistingueva, si augurava di rivolgersi a un’umanità redenta; eppure la lucida folgorazione che apre questa poesia “Davvero, vivo in tempi bui!” può essere declinata al presente con identica efficacia. Brecht in questi versi immortala con efficacia il presagio di un tempo sospeso, in bilico tra ansia e una fragile speranza, in attesa di un epilogo che sembrava non voler mai arrivare.
Quei proverbiali “tempi bui”, in verità, non sono mai finiti, forse spetta all’umanità coraggiosa - nella quale Bertolt Brecht riponeva il proprio appello poetico e militante - trovare il modo di fronteggiarli.
Forse il senso ultimo - e più intensamente lirico - della poesia A coloro che verranno è proprio questo: finché l’umanità sarà disposta ad accogliere parole di coraggio e resilienza che prefigurano uno scenario di fratellanza, la sfida non è ancora finita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “A coloro che verranno”: la poesia civile di Bertolt Brecht che parla al presente
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