Cesare Pavese è un torinese. Noi leghiamo fortemente Pavese a Santo Stefano Belbo perché lui ci è nato, e probabilmente, ha dedicato gran parte – se non la maggior parte –, della sua opera alla narrazione di un mito agreste, ma Pavese non ha mai vissuto a Santo Stefano Belbo. Pavese era un cittadino, ma un cittadino con il cuore pulsante delle Langhe.
Così dice Pierluigi Vaccaneo in un’intervista rilasciata a ArtsLife, quando uscì il suo saggio A Torino con Cesare Pavese. Un arcipelago interiore edito da Giulio Perrone Editore nel 2020 nella interessante collana “Passaggi di dogana” che da tempo propone abbinamenti tra città e autori che hanno fatto la storia della letteratura del Novecento: A Parigi con Colette, A Lisbona con Antonio Tabucchi, A Praga con Kafka, A Roma da Pasolini a Rosselli, per citarne alcuni titoli.
Il titolo del saggio è fuorviante perché il lettore si aspetta di passeggiare – come ha fatto Gaia Manzini con Bianciardi - con Pavese nella Torino degli anni Venti, quando Cesarino abitava con la madre vicino a Piazza Solferino e frequentava l’Istituto dei Gesuiti e il liceo Massimo D’Azeglio, per poi trasferirsi fino al suo penultimo giorno di vita nella casa della sorella Maria in Via Lamarmora 35.
La Torino dei suoi amori adolescenziali, come quello per la cantante ballerina Pucci, a cui Pavese dedica la poesia O ballerina ballerina bruna (1925), conosciuta nel cafè - chantant “La Meridiana”, o come quello per l’attrice Carolina Mignone in arte “Milly”. La Torino del Po e del Sangone dove si bagna e va a remare in compagnia di Tina Pizzardo, la donna dalla voce rauca, e la Torino dei caffè, delle trattorie e delle piole. La Torino degli anni Trenta dove nasce la casa editrice Einaudi, la Torino durante la guerra e del dopoguerra. La Torino di Bobbio, di Ginzburg, di Mila.
La Torino dell’albergo Roma dove Cesare Pavese il 27 agosto del 1950 compie il tragico gesto del suicidio.
Il viaggio interiore di Pavese nel saggio di Vaccaneo
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Il saggio di Vaccaneo è altro, gli itinerari pavesiani sono diversi. Infatti, rispetto agli altri libri della collana “Passaggi di dogana”, questo è “un viaggio non solo nei luoghi, ma anche e soprattutto, un viaggio interiore nello scrittore” sostiene Vaccaneo, che è il direttore dal 2010 della fondazione Cesare Pavese e autore di alcuni saggi sullo scrittore delle Langhe: Pavese scopre il mito nel 1931 (rivista “I quaderni del ‘900”). Intervista a Fernanda Pivano (rivista “Sincronie”, n.15, 2004); Qualcosa di molto serio e prezioso. Il modello americano nell’opera di Cesare Pavese (rivista “I quaderni del ‘900”).
Il registro narrativo di Vaccaneo è stato quello di percorrere il viaggio esistenziale dello scrittore che amava le colline e le donne difficili e di approdare simbolicamente in cinque isole interiori e letterarie: il mito, l’America, la donna, la città e le Langhe. Queste isole ci dice Vaccaneo:
“Sono state passioni che Pavese ha coltivato e rincorso senza averle mai possedute, se non attraverso la finzione letteraria o intellettuale ”.
Scrive Vaccaneo nell’Introduzione:
Isole di un viaggio omerico senza ritorno, senza regno, senza Itaca su cui Pavese come un naufrago è approdato per cercare qualcuno che fosse restato ad aspettarlo. Se Ulisse, dopo le sue peregrinazioni, ritrova la sua terra, il suo regno e la sua famiglia, Pavese invece è stato: “un anti Ulisse, per aver immaginato un’Itaca che non è mai esistita, per aver tentato di costruirla con la letteratura, popolandola di passioni, di desideri, di vita mai realmente vissuta”.
Vaccaneo ci ricorda che:
“Tutta la vita di Pavese saranno un continuo e inquieto viaggio nel quotidiano, e mai trovato nell’animo, fortemente presente nel sangue dello scrittore”.
Vaccaneo cita spesso Il mestiere di vivere e, se utilizziamo il registro di Vaccaneo, con la lettura del Diario che Pavese scrisse dal 1935 al 1950 ci s’imbarca insieme allo scrittore in un viaggio pieno di marosi e pure di scoperte, esplorazione - seppur faticosa - che ci aiuta a rileggere le sue poesie e i suoi romanzi con una diversa attenzione, qualcosa di più profondo e misterioso per comprendere il destino dell’uomo e dello scrittore.
“Questo libro – scrive Vaccaneo – vuole ricordare lo scrittore, invitare alla lettura delle sue opere”.
Il mito nella letteratura di Pavese
La prima delle isole proposte da Vaccaneo è quella del Mito. Vaccaneo ha selezionato alcuni stralci di opere di Pavese, tra cui il capitolo “Del mito, del simbolo e d’altro” in La letteratura americana e altri saggi (Einaudi, 1990).
“Il mito è una norma, lo schema di un fatto avvenuto una volta per tutte, e trae il suo valore da quella unicità assoluta che lo solleva fuori dal tempo e lo consacra rivelazione”.
“Raccontare è sentire nella diversità del reale una cadenza significativa, una cifra irrisolta del mistero, la seduzione di una verità sempre sul punto di rivelarsi e sempre sfuggente”.
Queste sono parole di Pavese riprese da Vaccaneo che poi utilizza la felice metafora dello scrittore-nuotatore:
Scrive Vaccaneo:
“Raccontare significa dunque lottare contro la resistenza di quel mistero che caratterizza non solo l’esperienza artistica del poeta, ma anche quella umana . Raccontare è nuotare in una massa indistinta di acqua che oltre a sostenere la narrazione ne determina i movimenti, gli stili dando loro un senso e un fine”.
Per Pavese - commenta Vaccaneo - il poeta sarebbe dunque un nuotatore e il mito il fondale marino che determina il movimento e lo stile del nuotatore – narratore.
Come non ricordare poi che Pavese tradusse La Teogonia di Esiodo e tre inni omerici e nel 1947 scrisse I Dialoghi con Leucò – dedicati a Bianca Garufi - con i personaggi presi dalla mitologia greca e l’avvio della “Collana Viola”, la Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici ideata con l’antropologo Ernesto De Martino e pubblicata a partire dal 1948.
Cos’è l’America per Pavese
L’America, scrive Vaccaneo, è una terra che:
“Pavese avrebbe voluto vivere... ma che ha potuto solo immaginare, attraverso i testi letti, studiati e tradotti e quelli ideati e scritti”.
Dobbiamo ricordare che il giovane Pavese preparò nel 1930 la tesi di laurea sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman e poi il suo lavoro di traduttore delle opere di autori americani: Lewis, Melville, Anderson, Faulkner, Steinbeck, Stein. L’America per Pavese è tutto quello che il fascismo tentava di negare.
Inoltre, ci racconta Vaccaneo:
“Pavese venne a contatto con il mezzo linguistico aggressivo, anticonformista e graffiante delle periferie americane”.
Lo slang è una scoperta che Pavese inserisce nel suo stile e che caratterizza anche i dialoghi dei personaggi dei suoi romanzi, utilizzando forme dialettali.
Come non ricordare il pathos esistenziale del personaggio Anguilla, ne La luna e i falò, che ritorna nelle Langhe dopo essere emigrato in America o le due poesie scritte in inglese e dedicate a Constance Dowling?
Le donne di Pavese
“Pavese non si è ucciso per amore” è l’incipit del capitolo riferito all’isola della donna scritto da Vaccaneo, “Chi lo pensa non fa onore allo scrittore” come sosteneva anche il sociologo Franco Ferrarotti, amico di Pavese.
Vaccaneo ripercorre gli amori femminili di Pavese: da Olga Casati, la prima sbandata, alle cantanti ballerine Pucci e Milly, dall’insegnante di matematica Battistina Pizzardo all’attrice americana Dowling, la Connie a cui dedicherà le poesie di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Sono loro le donne difficili protagoniste degli amori di Cesare Pavese.
Pavese e la città di Torino
“Il viaggio verso l’isola città non può non essere anche uno sguardo verso le colline, in un’ottica di confronto tra tematiche e significazioni diverse, complementari e, a volte, opposte”
Così commenta Vaccaneo che sottolinea quanto il parlare della città significa confrontare l’universo metropolitano della Torino di quegli anni con quello mitologico delle Langhe dell’infanzia di Pavese.
Continua Vaccaneo nel suo saggio:
“Tutta la vita e l’opera di Pavese saranno un continuo e inquieto viaggio tra la città vissuta nel quotidiano, e mai trovata nell’animo, e la campagna, fortemente presente nel sangue dello scrittore”.
Pavese e le Langhe
Le Langhe e la vita vissuta nella campagna di Santo Stefano Belbo sono l’ultima isola dell’arcipelago immaginato da Vaccaneo.
Lì Pavese c’è nato nel 1908 ma ha trascorso solo i primi anni della sua infanzia per trasferirsi a Torino nel 1915, dopo la morte del padre. Ci tornerà altre volte e dedicherà a quel paese, a quelle colline la maggior parte dei suoi racconti e dei suoi romanzi.
Scrive Vaccaneo che quando Pavese torna a Santo Stefano:
“Avrà l’animo scavato dalla vita e dalla dura esperienza artistica e ci tornerà per tentare di recuperare quel periodo spensierato, per tentare di avvicinarsi sempre di più al centro del proprio labirinto, al proprio mito”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: A Torino con Cesare Pavese: un viaggio nella vita dello scrittore nel libro di Pierluigi Vaccaneo
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