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Storia della letteratura

Sibilla Aleramo: vita e opere di una femminista ante-litteram

Il 13 gennaio 1960 si spegneva in una clinica romana la poetessa e scrittrice Sibilla Aleramo. Nota al grande pubblico per il suo romanzo più famoso "Una donna" (1906), precursore delle correnti femministe.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 13-01-2022
Sibilla Aleramo: vita e opere di una femminista ante-litteram

Sibilla Aleramo moriva a Roma il 13 gennaio 1960, sessantadue anni fa, eppure oggi è più attuale che mai. La sua figura negli ultimi anni ha conosciuto una fama che ha il sapore di una resurrezione.

Ormai il suo nome è spregiudicatamente associato al prototipo di femminista ante-litteram. Riscoperta dai gender studies che hanno rivalutato lo sguardo femminile in letteratura, il suo libro autobiografico Una donna è diventato l’icona del femminismo italiano. In breve tempo Sibilla Aleramo è stata trasformata in un mito, in una leggenda, in una profetessa dello scandalo, in una donna ribelle.

Il suo romanzo d’esordio, Una donna, è stato esaltato spesso a discapito della sua vasta e altrettanto lodevole produzione letteraria. Hanno fatto di Sibilla Aleramo un’icona rivoluzionaria, una femminista barricadera, mentre lei voleva essere solo una donna libera.
Come scrisse dopo la sua morte il poeta Eugenio Montale:

Sopravvissuta a tante tempeste, portava ancora con sé, e imponeva agli altri, quella fermezza, quel senso di dignità ch’erano stati la sua vera forza e il suo segreto.

Fu fedele a se stessa fino alla fine, ed è forse questo il valore più importante che le ragazze di oggi dovrebbero riscoprire nella grande scrittrice novecentesca.

Ma vediamo più approfonditamente la vita e la produzione letteraria di Sibilla Aleramo.

Sibilla Aleramo: la vita

Sibilla Aleramo è il nome d’arte di Marta Felicina Faccio detta “Rina”, nata ad Alessandria il 14 agosto 1876.
Era figlia di Ambrogio Faccio, professore di scienze, e di Ernestina Cottino, casalinga. Fin dalla più tenera età Aleramo assistette all’infelice sottomissione della madre a un matrimonio che relegava la donna a un ruolo di accudimento di figli e marito. La madre, fortemente depressa, nel 1890 tentò il suicidio gettandosi dal balcone di casa. La salvarono, ma alcuni anni dopo la fecero ricoverare in un manicomio dal quale non uscì sino alla fine dei suoi giorni.

Anni dopo anche Sibilla avrebbe tentato di porre fine alla propria vita, avvelenandosi con del laudano per sfuggire a un matrimonio riparatore infelice. A salvare lei fu invece la scrittura.
Sibilla Aleramo fu costretta a sposarsi giovanissima, dopo essere stata violentata da Ulderico Pierangeli, un impiegato della fabbrica del padre. Sibilla sposò il suo carnefice, obbedendo alle leggi - e alla morale - del tempo, ma non riuscì mai a rassegnarsi a quell’esistenza che le era stata imposta. Dopo il fallito tentativo di suicidio decise che no, non era il sacrificio di sé la strada per sfuggire l’infelicità. Così decise di dedicarsi anima e corpo alla scrittura, nella quale poteva realizzare se stessa e al contempo dare voce alle proprie aspirazioni umanitarie.

L’attività di giornalista

A partire dal 1897 Sibilla Aleramo iniziò a scrivere articoli per la Gazzetta letteraria, L’Indipendente, nella rivista femminista Vita moderna, e nel periodico di ispirazione socialista Vita internazionale. Negli stessi anni iniziò a consolidare il proprio impegno femminista aderendo a collettivi e manifestazioni che rivendicavano il diritto di voto per le donne.
Nel 1899 le venne assegnata la direzione del settimanale socialista L’Italia femminile da Emilia Mariani. Per svolgere al meglio la propria nuova attività di caporedattrice Sibilla Aleramo chiese la collaborazione di alcuni intellettuali dell’epoca, come Matilde Serao, la poetessa Ada Negri, Maria Montessori, Filippo Turati e Anna Kuliscioff.

Lo scandalo di Sibilla Aleramo

Nel 1902 Sibilla Aleramo prese una decisione rivoluzionaria quanto scandalosa per l’epoca: decise di abbandonare marito e figlio e di trasferirsi a Roma per lavorare in una rivista. A Roma intrattenne una relazione con il letterato Giovanni Cena, direttore del periodico trimestrale Nuova Antologia, per cui Aleramo stessa iniziò a collaborare.

Fu proprio Giovanni Cena a motivare Sibilla nella scrittura del suo romanzo autobiografico Una donna. Nel libro Aleramo raccontava la storia della propria vita, dall’infanzia all’età adulta senza tacere neppure l’abbandono del marito e del figlio in nome di una vita più libera e consapevole. Era la prima volta che una donna metteva apertamente in discussione la dedizione materna.
Il libro fu pubblicato nel 1906, sotto lo pseudonimo di Sibilla Aleramo. Il cognome “Aleramo” fu scelto dallo stesso Cena che si ispirò a una poesia di Giosuè Carducci Piemonte.

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Una donna ebbe un successo straordinario, fu subito tradotto in diverse parti d’Europa e persino negli Stati Uniti d’America. Nel libro Sibilla Aleramo denunciava la condizione delle donne e rivendicava la parità tra i sessi. Se ne parlò in Italia e anche oltre i confini nazionali, divenne un caso letterario e un tema di discussione che infiammava i salotti borghesi.
Venne definito il primo libro femminista in Italia, anche se non sempre le donne amavano Sibilla Aleramo, molte vedevano in lei una nemica.
Ma ormai Sibilla attraverso la scrittura aveva avuto il coraggio di ribellarsi, e da quel momento non si sarebbe più fermata.

I tormentati amori di Sibilla Aleramo

Sibilla Aleramo si preparava a vivere i propri anni più spregiudicati. Dopo la fine della storia d’amore con Giovanni Cena, intraprese diverse relazioni con i maggiori intellettuali italiani: Vincenzo Cardarelli, Clemente Rebora, Giovanni Papini, Umberto Boccioni, Salvatore Quasimodo.

Tra i numerosi amanti di Sibilla si conta pure una donna, la scrittrice Lina Poletti, cui furono dedicate le Lettere a Lina e parte del romanzo Il passaggio (1919).

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Ciò motivò Giuseppe Prezzolini ad affibbiare ad Aleramo il famigerato appellativo di Lavatoio sessuale della cultura italiana.

Dopo la prima guerra mondiale intraprese una relazione tormentata con Dino Campana; per lei il poeta improvvisò i suoi versi più belli. Il carteggio tra i due fu pubblicato sotto il titolo Un viaggio chiamato amore. Lettere 1916-1917.

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Dopo pianti, slanci e ardite riconciliazioni la passione tra Aleramo e Campana si spense, fu un amore che giunse quasi a sfiorare la follia come disse la stessa Sibilla. Aleramo parlò della relazione tormentata con il poeta in alcuni passi del romanzo Il passaggio (1919), un’autobiografia sentimentale che racchiudeva i suoi vari amori, giudicata indecente dalla critica del tempo.

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Nel 1927 pubblicò invece Amo dunque sono, un romanzo epistolare (quarantatré appassionate lettere all’amante lontano, Ndr) che mette a fuoco le contraddizioni della società romana nel periodo fascista. È un libro fortemente calato nel panorama culturale dei tempi. In seguito Sibilla lo definì: “La mia unica opera di getto.”

Lo scandaloso femminismo di Sibilla Aleramo

Chi era veramente Sibilla Aleramo? Riassumere i fatti della sua vita non ci aiuterà certo a comprenderlo. Era una donna piena di contraddizioni: convinta anti-fascista non ebbe timore di andare a racimolare il favore di Mussolini e abbracciare la fede nel Duce. Lo fece per fame, ma lo fece. Scrisse numerosi articoli in cui elogiava il fascismo sui giornali, pur di guadagnarsi ulteriori fonti di reddito.
Annotava sui propri diari la distruzione e i drammi della guerra, scriveva poesie drammatiche, eppure ebbe la furbizia di adattarsi prontamente al cambiamento sociale - al regime fascista - pur di sopravvivere.
Nel 1946, a guerra finita, non esitò a chiedere la tessera del partito Comunista.
Negli ultimi anni della sua vita si dedicò principalmente alla poesia, pubblicando le raccolte Aiutatemi a dire (1951) e Luci della mia sera (1956).

Le apparenti contraddizioni - sentimentali e politiche - di Sibilla Aleramo sono in realtà il segno di una esistenza vissuta sempre con passione sfrenata, all’estremo limite tra letteratura e vita.
Forse il fascino che la sua figura emana ancora adesso, oltre sessant’anni dopo la sua morte, deriva proprio da questo: non tanto dal suo femminismo precoce, ma dal suo essere sempre padrona delle proprie scelte.

Visse ostinatamente, cocciutamente, passionalmente. Amò senza misura, ma fu sempre padrona di se stessa e invitò le donne, tutte le donne, a fare altrettanto. Fu la prima donna, a inizio Novecento, a rivendicare il diritto di una donna di dire “Io” attraverso la scrittura.
Emanava quel fascino che aveva colto così bene Montale, dopo la sua morte, definendolo “fermezza”; era quello il suo segreto. O forse lo scandalo di una vita pienamente vissuta.

Recensione del libro

Una donna
di Sibilla Aleramo

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sibilla Aleramo: vita e opere di una femminista ante-litteram

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