Lo sguardo di Ungaretti. Visività e influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana
- Autore: Carla Boroni
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Lo sguardo di Ungaretti. Visività e influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana (Grammarò edizioni, 2021, curatela e introduzione di Carla Boroni) è un saggio denso e preciso, il cui fine ultimo non è la solita solfa di forma e contenuto delle poesie, peraltro inscindibili e dunque un pretesto per usare il poeta nell’ennesima tesi di laurea, ma dare maggiore corpo alla visività del poeta e alle influenze che ricevette per i suoi versi dall’arte figurativa.
La studiosa inoltre non ha fretta di chiudere la complessità di Ungaretti, ma, dati per conclusi alcuni studi tra Ungaretti e l’aderenza al futurismo, mette invece in luce la religiosità del poeta. Nelle mani sbagliate, Ungaretti è diventato un "ateo disperato", come se fosse il Leopardi del Novecento, perché una certa critica si abbarbica ancora nel solco del marxismo in letteratura, creando abissi di noia che tengono lontani i lettori del poeta dai saggi scritti sulla sua figura di "Maestro", al punto che si fanno bastare il suo illuminarsi d’immenso, utile nei veglioni natalizi per fare un po’ di poesia prima dell’ennesima partita a tombola.
È un saggio bello da leggere quello di Carla Boroni, che sulla visività di Ungaretti ci tiene a sottolineare che:
"La visività del linguaggio ungarettiano non si costituisce e non trova espressione solo nella sensazione pura. L’arte, quella visiva in particolare, è per il poeta motivo di continuo confronto e approfondimento".
La studiosa trova tre diversi momenti. Il primo sono le impressioni del Barocco (Michelangelo, Bernini e Borromini), ma anche importanti artisti fuori dal Barocco, da Masaccio a Piero Della Francesca e soprattutto la luce intermittente dei quadri di Vermeer; poi c’è il periodo in cui Ungaretti viveva a Parigi dove fece incontri notevoli: Picasso, Modigliani, De Chirico.
Ungaretti oramai sa che la parola è parola storica, relativa, che si avvicina all’assoluto solo a tratti e trova queste contraddizioni nella pittura, come si è già scritto, in Vermeer. Scrive Ungaretti al riguardo del pittore olandese:
"Lo dicono il pittore della luce. Dicono che cercasse la luce. Difatti, cercava la luce. Si veda com’essa vibri, per lui, dai vetri, come essa muova l’ombra ombra della luce, ombra quasi impalpabile di ciglia mentre lo sguardo amato si socchiude, sguardo quasi...(...)...Forse cercando la luce, Vermeer trovava altro, forse la meraviglia sublime della sua pittura è nell’avere trovato altro".
Quale altro? Si chiede Boroni. La studiosa vede nell’altro un percorso di ascesi. Ma sappiamo già da Rimbaud che l’io è un altro, che tutta la letteratura, compresa la poesia, è solo finzione, una bellissima finzione. Il poeta è riuscito a trovare un’immediatezza nuova. Ungaretti ha bisogno del passato, perché tra i vari -ismi (crepuscolarismo, futurismo, ecc) non trova niente di consistente, ma sentiamo le sue poesie sulla nostra pelle, come Mattina, che inizialmente era composta di tre righe in più:
M’illuminò / d’immenso / con un breve / moto / di sguardo.
Torna di nuovo la visività, come nel titolo del saggio.
Le successive poesie danno rilievo alla conversione al cristianesimo, nel 1928. Ungaretti tornò ad essere credente dieci anni dopo il primo conflitto bellico mondiale. In questo magnifico saggio, pieno di notizie e di riflessioni, c’è spazio per le poesie famose e per quelle dedicate al Cristo redentore.
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