Al mare è una poesia potente ed evocativa scritta da un autore insospettabile. Il nome di Edmondo De Amicis si associa sempre al suo maggiore capolavoro Cuore, romanzo pubblicato nel 1886 che divenne uno dei testi più letti della letteratura per l’infanzia, ma in realtà la produzione letteraria di De Amicis fu molto più vasta.
Prima che scrittore De Amicis fu giornalista, iniziò la sua carriera come inviato a Firenze per il quotidiano L’Italia militare nel corso della Terza guerra di indipendenza. Si guadagnò una buona fama grazie ai suoi articoli e in seguito si dedicò ai resoconti di viaggio. Era un grande viaggiatore e delle sue avventure era solito tenere nota in vari diari che narravano di mete esotiche come il Marocco e Costantinopoli.
Per tutta la vita inoltre l’autore di Cuore si dedicò anche all’attività poetica, la raccolta Poesie fu pubblicata dai fratelli Treves a Milano nel 1882 e in seguito riedita più volte.
Nelle sue poesie De Amicis spesso rievocava esperienze militari, lavorative, momenti di vita quotidiana e familiare; ma ve n’è una in particolare che si distacca dai temi morali e biografici e ci consegna un’ode di rara forza espressiva. Si intitola Al mare ed è un canto appassionato allo sterminato azzurro marino che ne esplora la limpida bellezza così come gli sconfinati abissi.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
Al mare di Edmondo de Amicis: testo
Salve, o gran mar! Come un eterno aprile
Al canto sempre il riso tuo m’invita
E mi fa ne la carne invigorita
L’onda bollir del sangue giovanile.Salve, adorato mar! Sgomento al vile,
Tripudio al valoroso, all’egro vita,
Mistero immenso, gioventù infinita,
Bellezza formidabile e gentile!T’amo allor che l’immane ira nei liti
Frangi, dei lampi al funeral bagliore,
Amo i tuoi flutti enormi e i tuoi ruggiti;Ma più assai de’ ruggiti il tuo sussurro
Lento e solenne che addormenta il core,
O sterminato cimitero azzurro.
Al mare di Edmondo de Amicis: parafrasi
Salve, o grande mare. Il mormorio delle tue onde mi invita sempre al riso come un eterno ridente mese di aprile. E sento anche il mio corpo rinvigorito come se vi ribollisse il sangue della gioventù.
Salve, adorato mare. Evochi sgomento nel vigliacco, esultanza nel valoroso, e sei vita per il sofferente. Sei mistero immenso ed eterno, come un elisir di gioventù infinita, una bellezza straordinaria - fuori da ogni limite - eppure sempre gentile.
Ti amo nelle tue tempeste quando sei scosso dall’ira tumultuosa e infrangi il bagliore funereo dei lampi con onde enormi e possenti ruggiti.
Ma più di tutto amo il tuo sussurro, lento e tuttavia imponente che con la dolcezza di una ninnananna addormenta il cuore, o sconfinato cimitero azzurro.
Al mare di Edmondo de Amicis: analisi e commento
De Amicis compie la sua personificazione del mare seguendo lo schema metrico del sonetto suddiviso in due quartine e due terzine. Innanzitutto lo saluta con riverenza quasi si trattasse di un persona nobile da riverire: “Salve, o grande mare”, le parole del poeta sembrano quasi un inchino, un ossequio compiuto nei confronti di un’entità a noi superiore.
Nella prima quartina si concentra esclusivamente sulle proprie sensazioni di benessere dinnanzi alla superficie marina: dinnanzi al mare il poeta infatti si sente rinascere, accoglie in sé una nuova gioventù
Nella seconda quartina invece le sensazioni evocate si trasfondono nell’universale: ecco che il mare è di conforto al sofferente, mentre con la sua vastità atterrisce il vigliacco. Lo sconfinato azzurro sembra farsi specchio riflesso delle emozioni umane e così amplificarle a dismisura.
Seguono infine le due terzine in cui il poeta riflette il proprio sentimento interiore rispetto al mare: l’Io lirico si espone in prima persona e dice “t’amo”, come un amante appassionato De Amicis confessa al mare di amarlo tanto nelle sue furie quanto nelle sue dolcezze. Che sia in tempesta oppure in un attimo di quiete il mare è sempre caro al poeta perché in esso sembra riflettersi l’alterna angoscia del cuore umano.
Nell’infinità del mare, specchio dell’eterno, il cuore sembra trovare pace e finalmente riposo. La conclusione al principio appare quasi disturbante: dopo aver speso tante parole lode il poeta paragona il mare a un “cimitero”. Ma questa metafora in realtà racchiude una ragione più profonda: il mare rievoca un presagio di eternità in cui l’uomo riposa per sempre e, al contempo, ricorda le vicende dei numerosi migranti per cui lo sconfinato blu diventa una tomba, il luogo del riposo eterno.
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Nel 1889 De Amicis avrebbe pubblicato, sempre con i fratelli Treves, il primo libro inchiesta italiano dedicato ai migranti. Si intitolava Sull’oceano ed era il resoconto di un viaggio compiuto dallo scrittore nel marzo del 1884 diretto in Argentina. In quelle pagine il giornalista documentò un fenomeno che nel corso degli anni avrebbe assunto dimensioni spropositate incidendo sulle sorti politiche ed economiche di un intero paese. Quel viaggio diede a De Amicis un’altra percezione del mare che per la prima volta gli apparve come una “immensa lastra di piombo”, un mondo altro rispetto alla terra, un oceano universale.
Nelle sue note di viaggio Edmondo De Amicis scrisse:
È del mare quello che si dice del popolo: che quando si vede in calma, non si capisce in che modo ne possa uscire, come non par possibile che s’abbia mai a racquetare, quando si vede in furia.
Proprio come nella poesia Al mare, lo scrittore seppe cogliere nei moti instabili della superficie marina una stretta correlazione con l’inquietudine che agita l’animo umano. Una metafora perfetta che racchiude un fondo di verità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’ode al mare di Edmondo De Amicis
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