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Storia della letteratura

“Acqua alpina”: l’inno alla gioia di Antonia Pozzi

Nell'agosto 1933 sugli altopiani di Pasturo, il paesino lecchese a lei caro, una giovanissima Antonia Pozzi scriveva versi di pura gioia. Una celebrazione appassionata della vita e della felicità che fa apparire la montagna come una dimensione mistica.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 12-07-2022
“Acqua alpina”: l'inno alla gioia di Antonia Pozzi

Tra le sue care montagne Antonia Pozzi toccò le vette della felicità più pura e incondizionata. Una gioia vivida e tangibile che ci viene restituita tutta intera in una dimensione immortale attraverso le parole che si fanno materia, prendono corpo, e acquisiscono una voce chiara.

La ritraggono come la poetessa tragica del Novecento, poiché la sua triste fine si stende come un’ombra oscurando la sua intera esistenza: Antonia Pozzi morì suicida a soli ventisei anni nel dicembre del 1938; tuttavia non è la tristezza la lente attraverso cui leggere la sua vita. Molte delle sue poesie infatti raccontano la gioia, e l’incanto, e lo stupore e la bellezza del vivere. Antonia sentiva con profondità ogni cosa e attraverso i suoi versi ci restituisce uno sguardo rivolto all’infinito, la complessità di un’anima in chiaroscuro.
Leggendo le sue poesie si può sperimentare la vertigine e l’abisso di un’esistenza inquieta che bruciò in breve tempo come una fiamma che arde e divampa e non è capace di spegnersi lentamente.

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Nella poesia Acqua alpina, scritta nel 1933 a soli ventun anni, Antonia Pozzi canta il suo personale inno alla gioia dialogando con un torrente di montagna.
È una lirica breve eppure fulminante nella sua immediatezza: la felicità traspare in ogni sillaba e si trasmette direttamente al lettore come attraverso un filo conduttore. Brilla di meraviglia e ci restituisce l’intensità di un’emozione travolgente, onnicomprensiva, totale.
Acqua alpina è una gioia anche per chi legge. Possiamo vedere questa ragazza mentre cammina spensierata tra le sue montagne incantate e raccoglie le stelle alpine che poi conserverà nelle teche di casa per ricordo.
Pasturo era il paesino lecchese in cui Antonia si recava per le vacanze estive che trascorreva nella villa settecentesca di famiglia. In quel luogo a lei sacro la poetessa scrive come mai prima: nella casa di Pasturo tra il 1933 e il 1934 completa una serie di poesie dedicate alla montagna che saranno poi raccolte nella prima sezione della sua raccolta poetica sotto il titolo di Nevai.

La montagna rimarrà per tutta la vita una delle più grandi passioni di Antonia Pozzi che dedicherà molte liriche all’incanto delle vette innevate. La bellezza del paesaggio si fa specchio di una serenità interiore. Tra quelle cime sapeva ridere “sentendo nella bocca tutti i denti”. Ci restituisce proprio questa gioia incondizionata in Acqua alpina, scritta nell’agosto del 1933 come riporta la data in calce al componimento.
Scopriamone testo e analisi.

“Acqua alpina” di Antonia Pozzi: testo

Gioia di cantare come te, torrente;
gioia di ridere
sentendo nella bocca i denti
bianchi come il tuo greto;
gioia d’essere nata
soltanto in un mattino di sole
tra le viole
di un pascolo;
d’aver scordato la notte
ed il morso dei ghiacci.

Breil - Pasturo, 12 agosto 1933

“Acqua alpina” di Antonia Pozzi: analisi e commento

La natura nella poesia di Antonia Pozzi diventa un riflesso della dimensione interiore, attraverso lo scroscio dell’acqua del torrente la poetessa fa parlare la propria anima. La concretezza degli elementi naturali si mescola con le sensazioni e le percezioni: la gioia si fonde con la luce del sole e il colore vivace delle viole nei prati, mentre malinconia e solitudine si materializzano nei ghiacci e nell’oscurità notturna.
Il ritmo della poesia si basa su consonanze e allitterazioni come quella tra torrente/denti e una semplicissima rima baciata “sole/viole”. La parola “gioia” ricorre tre volte in una insistita ripresa anaforica. Non servono sinonimi e perifrasi per esprimere la gioia, soltanto la gioia stessa.

Antonia sembra scrivere con l’ingenua spensieratezza dei suoi anni e, proprio grazie a questa genuinità ispirata della scrittura, rende le emozioni che prova tangibili e immediate. Riesce a descrivere la felicità piena del ridere “sentendo nella bocca tutti i denti” trasformando così una gioia fugace in una realtà concreta.
Racconta l’immersione panica nella natura che lei sembra abitare come una sacerdotessa vestale che celebra il proprio sacro rito al dio.

Un incantesimo forse si è davvero compiuto quel giorno sulle montagne di Lecco, se ancora adesso accostandosi a un torrente si può aver la sensazione di “udire l’acqua che ride”. È la risata di Antonia che è rimasta intrappolata tra le cime delle Alpi, custodita in uno scroscio cristallino, in un pomeriggio radioso di sole in cui nessuna ombra sembrava fare schermo alla luce.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Acqua alpina”: l’inno alla gioia di Antonia Pozzi

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