

Zibaldone barese
- Autore: Vittorio Polito
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2025
Un volume graficamente prezioso, fittamente e integralmente illustrato a colori, amorevolmente dedicato alla propria città, alla sua storia, alle tradizioni tradizioni e anche al dialetto e alla cucina. Spicca, si distingue, elegante e lucido nella carta di pregio con cui è confezionato, tanto da far desiderare d’essere barese DOC come l’autore e non ad interim come il recensore. Zibaldone barese, pubblicato da Wip Edizioni (Bari, aprile 2025, 244 pagine), è il nuovo e recentissimo contributo baricentrico dell’inarrestabile Vittorio Polito, novantenne solo sulla carta d’identità. Agiografia del suo borgo del cuore, è aperto dalla prefazione di Rosita Orlando, storica delle relazioni internazionali, e valorizzato dalla copertina dell’artista Marialuisa Sabato, firma di altre opere proposte tra le tantissime illustrazioni.
Bari un borgo? Si fa per dire. È Città Metropolitana, di gran lunga la più popolosa dell’Adriatico, con 315 mila residenti supera di molto Venezia e Trieste, surclassa Ancona. Vanta una storia che risale a età antichissime ed era già municipio romano nel IV secolo avanti Cristo. Un emozionato ma orgogliosissimo Vittorio sorride ai lettori nella foto che lo ritrae in occasione della consegna di un premio. Il Comune lo ha riconosciuto cultore della città, “elegante scrittore della nostra storia, personaggi, miti, leggende cittadine”. Però, il riconoscimento che lo ha più intenerito è certamente il componimento scolastico, in cui uno dei quattro nipoti ha sviluppato così la traccia assegnata: nel riferire del personaggio più originale della propria famiglia, Andrea, 8 anni, scriveva nel febbraio 2015 ch’era senz’altro “mio nonno Vittorio”. Nessun nonno, spiegava, sa scrivere al computer, scaricare i dvd e scrivere gli articoli sui giornali e sui libri. Aggiungeva che il nonno gli faceva sempre scherzi e che lui ci cascava tutte le volte. Aveva settantanove anni, ma sembrava più giovane, perché sempre molto arzillo. “Fa sempre passeggiate, gite e scende a piedi sulle scale. Mio nonno è proprio una forza!”.
Sarebbe interminabile elencare tutte le pubblicazioni o anche fare solo rapidi accenni ai tanti meriti di Polito, che dal collocamento in pensione, quasi tre decenni fa, dalla Biblioteca della facoltà di medicina dell’Università di Bari, ha moltiplicato il tempo dedicato pro civitate sua. È facile invece illustrare il perché del titolo.
Ispirandosi allo Zibaldone di Leopardi, “certamente più importante per genere e argomenti”, Vittorio ha raccolto gran parte della propria attività, della vita, la passione per la propria città e la sua storia. Vi ha riassunto fatti, curiosità, storie della città, aspetti della Baresità, raccontate nei libri precedenti. Aggiunge ulteriori sguardi su Bari, per lasciare traccia ai giovani, “più tecnologici”, ma meno informati sulla storia cittadina. Vi si legge, tra l’altro, dell’antica devozione verso San Nicola e di una dazione dotale maschile matrimoniale, il morgincap.
Lo storiografo locale Armando Perotti cita nozze di mille anni fa, XI secolo, nel suo Bari Ignota (1907). L’unione tra i giovani Russone e Alfarana, di ricche e nobili famiglie longobarde ma di nascita barese, è raccontata in latino antico su quattro pergamene datate 1060, custodite nell’Archivio della basilica nicolaiana, e documentano la formula notarile del dono del morgincap, consuetudine di origine longobarda. Lo sposo versava la quarta parte dei propri beni alla sposa. Una sorta di compenso per la verginità rapita, con la consumazione delle nozze.
Sempre antichi documenti ben conservati attestano che il culto di San Nicola, tra i santi più popolari, conosciuto in tutto il mondo e secondo per venerazione solo alla Madonna, risulta anteriore al 1087, anno del prelievo delle ossa del vescovo patarino di Myra. Secondo lo storico barese di metà Novecento Vito Antonio Melchiorre, è convinzione generale che il culto nicolaiano fosse diffuso nel borgo antico assai prima del maggio 1087, quando i 62 marinai portarono le spoglie dalla Licia, nel Mediterraneo orientale, alla città nel Basso Adriatico. Si evince anche dalle numerose chiese già intitolate al suo nome, ad esempio San Niccolò de Monte, edificata nel 1026 secondo una cronaca dell’Anonimo Barese. Non è dato sapere dove il tempio fosse ubicato, ma probabilmente si tratta dello stesso menzionato in una pergamena dell’Archivio Capitolare. È datata 1073: la chiesetta viene citata sullo sfondo di eventi del 1079, ripresi sempre dall’Anonimo Barese. Il 3 febbraio, tali Passarizzi e Stinizzi avrebbero ucciso in quel luogo un certo Basilium Meli Pezzi. Il redattore precisa che in quella giornata Bari era insorta contro il Duca Roberto.
In conclusione, Vittorio Polito ricorda che per Baresità s’intende tutto quello che riguarda Bari: storia, tradizioni, San Nicola, teatri, folclore, cucina, monumenti, chiese, cattedrali, modi di dire, comportamenti, proverbi, soprannomi, usi e costumi, dialetto, teatro dialettale, poesie, ecc. Uno dei padri della Baresità e del caratteristico vernacolo fiorito tra le mura che circondavano la città Vecchia, può considerarsi Francesco Saverio Abbrescia, canonico, storico, oratore sacro e primo poeta dialettale, tra i padri della cultura barese, pur essendo vissuto solo 39 anni. Un’altra colonna è Gaetano Savelli (1896-1977), che vanta una notevole produzione letteraria anche in lingua e viene ricordato soprattutto per la Divina Commedia tradotta in barese. E poi Vitantonio Di Cagno, maestro di diritto civile e sindaco di Bari dal 1946 al 1952, dotato di una notevole vena poetica e apprezzato da Alcide De Gasperi come miglior sindaco d’Italia. Né va dimenticato Giovanni Panza, alto funzionario del Ministero dell’Agricoltura, poeta novecentesco e attento osservatore di cose baresi, autore anche del volume La checine de nononne, bestseller della cucina tradizionale barese. Oltre ad altri grandi nomi, più vicini negli anni, di scomparsi e ancora contemporanei.

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