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Premio Campiello

Premio Campiello 2020: il vincitore è Remo Rapino

È Remo Rapino il vincitore del Premio Campiello 2020. Il suo romanzo è un viaggio nella lingua del Novecento, un testo di tradizione orale che va letto ad alta voce o immaginato in un lungo monologo su un palcoscenico.

Giulia Manzi Pubblicato il 05-09-2020
Premio Campiello 2020: il vincitore è Remo Rapino

Vincitore del Premio Campiello 2020 - Leggere Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio di Remo Rapino (minimum fax, 2019) è accomodarsi sul tappeto di una casa di campagna e lasciarsi accarezzare dai racconti di un nonno non istruito, ma con la dialettica corposa della gente semplice. Il sapore è di un altro tempo, di un altro secolo – il Novecento – che perde sempre più consistenza e si dissipa nella nebbia della memoria collettiva.

La storia raccontata da Rapino è un lungo memoir del sedicente Bonfiglio Liborio, in un italiano zoppicante, al limite del dialettale e impregnato di carnalità. Dal 1923, fino al 2010, vengono così narrate le peripezie di un uomo che ha “i segni neri” della sfortuna addosso sin dalla nascita.
Di estrazione sociale povera, alunno modello finché non interrompe gli studi alla fine della quinta elementare e da allora sempre legato, con la memoria, al libro Cuore donatogli dal suo maestro, funaro, barbiere, militare e infine operaio immigrato dal sud alla fredda Milano, dove si ritrova coinvolto nelle lotte sindacali del dopoguerra, Bonfiglio Liborio è un’anima semplice, uno dei “dimenticati” nella grande corsa al progresso del dopoguerra.

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Ciò che stupisce, però, di Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio non è lo sfondo di un’Italia novecentesca, con le sue fabbriche, i suoi errori e il suo mutare in tutto se non nella sostanza facile all’oblio dei suoi abitanti, quanto l’incredibile struttura linguistica del romanzo.
Il recupero di termini dimenticati fuorché in località paesane, di un modo stesso di raccontare in flusso di coscienza, con ripetizioni e forme sintattiche estremamente colloquiali, rendono l’opera di Rapino un testo di tradizione orale, quando ancora le storie non venivano scritte, ma solo tramandate attraverso la premura e il rapporto tra ascoltatori e narratori. È un libro che va letto ad alta voce, o immaginato in un lungo monologo su un palcoscenico. Di certo, non è un testo silenzioso: ha il ritmo delle canzoni popolari, delle carole, delle bande di paese e, come tale, pretende di essere udito, non semplicemente “letto”.

"Ci voleva troppo tempo e io il tempo non ce ne avevo più di tanto, che al mondo di fuori il tempo è più corto del tempo che passa dentro al manicomio, che il tempo mica è uno solo, il tempo è fatto da un miliardo di tempi, che ci può stare il tempo del grano e quello del pane, e poi il tempo dell’uva e quello del vino, il tempo che uno è gioioso e quello che è nuvoloso di sentimenti, che poi ci sta il tempo che c’è la luce e il tempo che ci allegna la notte, e alla fine il tempo che uno si muore e allora il tempo non ci sta più, che è quando il prete fa un segno per aria e dice requiem eternam che vuol dire appunto che il tempo non c’è più, e non ci servono più gli orologi e i calendari, manco quelli colorati di Frate Indovino con i proverbi e le ricette del mangiare dentro."

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Commenti: 2

  • Nadia Iezzi
    3 gennaio 2021, 20:56

    Un romanzo molto particolare non solo per la scelta del soggetto ma, soprattutto, per la forma narrativa adottata. Il protagonista è un cocciamatte”, un escluso dalla società, segnato fin dalla nascita da quelli che lui, Liborio Bonfiglio identifica come “segni neri”. La narrazione è un lungo monologo dello stesso Liborio sviluppato in discorso indiretto libero, senza virgolettati e libero dalla struttura sintattica tradizionale. Premio Campiello della cinquantottesima edizione, ricco di umanità e di dolcezza, da leggere.

  • Nadia Iezzi
    3 gennaio 2021, 20:56

    Un romanzo molto particolare non solo per la scelta del soggetto ma, soprattutto, per la forma narrativa adottata. Il protagonista è un cocciamatte”, un escluso dalla società, segnato fin dalla nascita da quelli che lui, Liborio Bonfiglio identifica come “segni neri”. La narrazione è un lungo monologo dello stesso Liborio sviluppato in discorso indiretto libero, senza virgolettati e libero dalla struttura sintattica tradizionale. Premio Campiello della cinquantottesima edizione, ricco di umanità e di dolcezza, da leggere.

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