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Recensioni di libri

Uomo a mare di John Aldridge e Anthony Sosinski

Corbaccio, 2017 - Anthony non riusciva a trovare le parole per dire alla Guardia Costiera quanto era accaduto: si era svegliato e il suo amico di una vita, John, non era più a bordo, finito in mare, chissà dove, chissà come.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 06-09-2017

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Uomo a mare

Uomo a mare

  • Autore: John Aldridge e Anthony Sosinski
  • Genere: Storie vere
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Corbaccio
  • Anno di pubblicazione: 2017

Si annuncia come “la storia di un salvataggio ai limiti dell’impossibile”, ma senza quel paio di provvidenziali stivali di gomma da pescatore non avremmo mai sentito raccontarla. Galleggiavano, eccome se galleggiavano, svuotati dall’acqua che vi era entrata, capovolti e affondati con le suole in alto, in modo da ricevere una spinta dall’aria rimasta all’interno. È quello che Johnny ha scoperto, rinfrancandosi, dopo aver pensato di non potere che morire, senza speranza, solo nell’Atlantico, a 40 miglia dalla costa, alle 3 di notte del 24 luglio 2013. In “Uomo a mare” viene raccontata la sua avventura a lieto fine, sia pure agghiacciante: un miracolo di resilienza individuale, oltre che di organizzazione collettiva. È un libro (edizioni Corbaccio, giugno 2017, pp. 262, euro 18,60) nato dalle pagine del New York Times Magazine e che presto diventerà un film. Lo hanno scritto due protagonisti di questa storia, John Aldridge e Anthony Sosinski, amici da sempre e armatori in comproprietà dell’Anna Mary, un battello per la pesca di aragoste, della flottiglia di pescherecci atlantici del porto di Montauk, Long Island.

Quando il quarantacinquenne John Aldridge è scivolato nell’oceano buio dal natante, solo un filo sottilissimo lo divideva dal diventare un altro nome sul monumento ai pescatori dell’East End dispersi in mare. Tutto era contro di lui.
Poco prima, era di turno da solo di notte, al timone dell’Anna Mary, in rotta verso le nasse al largo, mentre il socio Anthony e l’unico marinaio, Mike, dormivano nelle cuccette. Inserito il pilota automatico, stava controllando il sistema di refrigerazione delle grandi vasche che occupano gran parte del battello. Una disattenzione, che avrebbe potuto e dovuto evitare, un attimo… e si è ritrovato fuori bordo. Inutile gridare, quelli russano tranquilli e la poppa si allontana inesorabilmente: pochi nodi di velocità ma buoni, impossibile raggiungerla.
In mare, da solo, senza il giubbotto di salvataggio – obbligatorio, ma che naturalmente non indossava per lo snobismo autolesionistico dei marinai anziani – può solo imprecare, per non cedere alla disperazione, inveire contro se stesso e contare sull’arrivo dei soccorsi, stringere a sé gli stivali, poggiare il mento sulla suola e darsi obiettivi parziali da raggiungere. Il primo è arrivare al sorgere del sole.
Tra le 5,30 e le 6 del mattino, Mike Migliaccio, ex marine in Vietnam, si leva e scopre che Aldridge non è a bordo. Sveglia Anthony, che va nel panico: l’amico Johnny è quello che pensava a tutti loro, aveva sempre una soluzione per tutto. Ora invece tocca a lui andarlo a ritrovare. Non può essere morto, è una roccia! Ma dov’è finito, accidenti!

Un uomo in mare si sente insignificante: l’oceano sembra infinito, il cielo sopra ancora di più. Cercando di tenere sempre la testa in funzione ed anche molto alta, per non ingurgitare acqua salata, John Aldridge si dà un nuovo obiettivo, anzi due. Il primo sarebbe uccidere gli squali che gli si sono fatti intorno improvvisamente, ma è impensabile, può tentare solo di allontanarli con quel coltellino ridicolo che si è ritrovato nella tasca dei pantaloncini. Il secondo è cercare una dannata boa galleggiante alla quale aggrapparsi. Ce ne sarà pure una, in zona d’aragoste. Il mare è mosso, senza intensità, una successione morbida ma imprevedibile di salite e discese. Tutto ciò che può fare è assecondarle.
Seguendo la serrata ricostruzione dell’evento, nel tornare a bordo dell’Anna Mary sembra di essere presenti alla concitata telefonata alla Guardia Costiera, sul canale VHF 16 di soccorso internazionale. Ore 6,22, risponde l’operatore appena entrato in servizio a New Haven, ma dalla barca Anthony stenta a trovare le parole, balbetta:

“Uhhhhh, ho perso un membro del mio equipaggio… non so che cosa dire… sono sotto shock”.

Colazione finita. Tutti si mettono all’opera nel centro di comando USCG nel Connecticut.
Come in un film – del resto la storia e il libro lo diventeranno presto – si segue la complessa attivazione della macchina di un’operazione SAR (termine internazionale per search and rescue, ricerca e salvataggio), che ha poco su cui basarsi, per salvare la vita di un brav’uomo, abbandonato a se stesso, in una condizione che ognuno dei soccorritori riesce drammaticamente a immaginare, con tutta la partecipazione umana possibile.
Non è uno spoiler aver rivelato che l’esito delle ricerche sarà positivo, perché l’interesse di questo racconto tanto dinamico è nelle modalità del soccorso e nella forza di volontà con cui il naufrago affronta la situazione.

“Uomo a mare” è dedicato

“Agli uomini e alle donne della Guardia Costiera degli Stati Uniti e a tutti coloro coinvolti da quanto accaduto il 24 luglio 2013 e che dedicarono attenzione, preghiere, buona volontà, tempo e sforzi alla salvezza di un uomo disperso in mare”

Per cercare e salvare John Aldridge vennero mobilitati un bimotore, un elicottero e quattro motovedette della Guardia Costiera, ventidue battelli della flotta dei volontari e un monomotore Cessna privato.

Uomo a mare. Storia di un salvataggio ai limiti dell'impossibile

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Uomo a mare

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