Tutto d’un fiato
- Autore: Maria Jatosti
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2012
Ci sono vite indomate, furenti, che non sanno stare ferme e così, spesso, capita loro di imbattersi nella Storia. Quella di Maria Jatosti ha tagliato la strada a quella del Paese, rincorso lotte, città, passione politica, cultura, in ordine sparso e - se credete al karma - perchè non poteva succederle altrimenti.
Il suo romanzo più viscerale si intitola, non a caso, “Tutto d’un fiato”, ed è ri-editato in questi giorni da Stampa Alternativa (dopo una prima edizione per Editori Riuniti del 1977). Volendo condensarlo per caratteri generali: un flusso di coscienza autobiografica e collettiva nel contesto dell’Italia dal secondo dopoguerra ai primi anni Settanta. Episodi di vita vissuta compendiati per flash back e salti di tempo e luogo, tra pubblico (la militanza comunista, il lavoro presso editori e giornali, i contatti intellettuali, mai amati fino in fondo) e privato (la nascita del figlio, le difficili condizioni economiche degli inizi, il rapporto controverso con Luciano Bianciardi, cui ci si riferisce col solo pronome “lui”), fratti e compattati di continuo, in forza a una scrittura copiosa, poetica, viscerale, capace di alternare toni e registri narrativi. Se è vero, infatti, che l’humus più autentico del romanzo è il realismo, è vero anche che le lucide incursioni nella psicologia dell’io-narrante (riferite in maniera quasi spudorata) si impongono tra i momenti più coinvolgenti della lettura.
Non credendo alla bufala dell’aplomb da critico-modello e nemmeno a quella del giornalista supra partes, confesso che qua e là, ho finanche ricacciato indietro ben più di una furtiva lacrima, e non me ne vergogno: a pag. 16, per esempio, quando la Jatosti si intrattiene sui frammenti di un suo viaggio (pellegrinaggio?, si usava a quel tempo) in URSS; o a pag. 29, quando descrive con dovizia lancinante i sentimenti provati il giorno della sua prima comunione). Madaleinette ideologico-nostalgiche? Malinconie da quasi-anziano? Ritengo piuttosto sia merito del fascino che promana dalla forma di questo romanzo. Non c’entra il sacro fuoco dell’arte: esiste una minoranza sparuta di scrittori veri che sente la “musica” interna alle parole: Maria Jatosti è fra questi, benché abbia, per qualche tempo, frequentato i “bassifondi” della narrazione pornografica. O forse anche per ciò?
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