

La teoria dei corsi e ricorsi storici compare nelle riflessioni di tanti filosofi italiani dell’età moderna e contemporanea: l’idea che gli eventi o le fasi storiche si ripetano e ritornino ciclicamente, pur essendo ormai abbastanza superata, rimane affascinante e suscita ancora curiosità.
Che la storia sia fatta di corsi e ricorsi, e che gli stessi eventi ritornino sempre non è, però, un’idea solo moderna: questa convinzione riposa su una precisa visione del tempo e anche gli antichi simpatizzarono per questa teoria.
Accanto a questa visione convive, in età moderna, l’idea di progresso, ovvero la convinzione che la storia sia un percorso dove si realizzano non dei ricorsi e dei ritorni ma un passaggio dal meglio al peggio, tale avanzamento, realizzato talvolta dalla Provvidenza, dall’Assoluto o da altre entità metafisiche, è stato per alcuni filosofi lineare, per altri accidentato e connotato da cadute e riprese.
L’anaciclosi e altre premesse
Prima di occuparci dei pensatori che in età moderna e contemporanea hanno difeso con più convinzione la teoria dei corsi e ricorsi storici è opportuno esplicitare alcune premesse e citare alcuni precedenti.
Nel mondo antico era profondamente condivisa una visione del tempo ciclica: dall’osservazione della natura e dei suoi fenomeni si credeva che nel corso del tempo le stesse cose tornassero sempre, come ritornano le stagioni e le stesse posizioni delle stelle nel cielo.
Anche se questa visione si attaglia meglio al mondo fisico e al tempo della natura, tra i greci c’era già chi l’aveva adattata anche al mondo umano. Platone e Aristotele, nelle loro opere politiche, avevano analizzato le varie forme di governo e le loro possibili degenerazioni, affermando che una forma di governo era sempre destinata ad entrare in crisi e a lasciare il posto a una migliore. Platone poi, per quanto riguarda la visione del tempo, è però convinto che nella storia dell’umanità non si realizzi un progresso ma un passaggio dall’età dell’oro alla decadenza, dal meglio al peggio.
Più interessante, per il nostro discorso, risulta la posizione dello storico greco Polibio, che va sotto il nome di Anaciclosi. Analizzando gli eventi della Repubblica romana Polibio nota non solo che ogni forma di governo virtuosa, prima o poi, deve necessariamente vivere una crisi che la porta a un assetto politico degenerato (secondo lo schema: monarchia, tirannia, aristocrazia, oligarchia, democrazia, oclocrazia) ma che tale ciclo di passaggi è destinato a ricominciare e a ripetersi nel tempo. Quando infatti una democrazia degenera, il potere cade nelle mani dei demagoghi e si configura una situazione caotica dalla quale è possibile uscire solo quando uno di essi si afferma sugli altri e instaura un regime dittatoriale, ovvero monarchico.
Niccolò Macchiavelli e l’anaciclosi moderna
Tra i lettori più attenti di Polibio, nel Rinascimento, troviamo Niccolò Machiavelli che riprende la teoria dello storico greco, arricchendola con dei tratti nuovi.


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Nelle Istorie fiorentine Machiavelli ammette che le istituzioni, le province, gli stati, passino dall’ordine al disordine e poi tornino a passare dal disordine all’ordine; alla rovina segue la grandezza che, poi, trascolora in ozio e debolezza, per ricadere nella rovina, perché la natura non consente alle cose umane di star ferme.
Tali passaggi, seppur inevitabili, non sono però, come in Polibio, frutto di una necessità naturale ossia di una legge che oggi non faticheremo a chiamare scientifica, ma avvengono a caso, imprevedibilmente. In questo scenario, per Machiavelli, a poco servono l’astuzia e la forza del Principe: per quanto egli sia politicamente abile, il suo principato è, prima o poi, destinato alla degenerazione.


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Altro elemento di novità nella teoria dei corsi e dei ricorsi storici di Machiavelli è che, pur parlando di un cerchio e quindi di una ciclicità, egli nota, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, che molto raramente ritornano le stesse forme di governo. Se una repubblica degenera e si indebolisce, difficilmente resterà tale e più probabilmente sarà assoggettata da uno stato vicino e meglio ordinato; solo se ciò non avvenisse la repubblica ricorrerebbe nello stesso ciclo di grandezza e decadenza.
I corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico
Giambattista Vico è il primo ad offrire una visione compiuta dell’evoluzione storica e del progresso che si realizza in essa. Convinto che la storia umana sia guidata da una Provvidenza che la orienta verso il meglio, Vico ipotizza che ogni civiltà e ogni società debba necessariamente attraversare tre epoche o età, nelle quali gli uomini usano facoltà conoscitive diverse:
- l’età degli dei, dove i bestioni (non ancora uomini veri e propri) sono in balia delle sensazioni;
- l’età degli eroi, dove gli uomini danno un senso alla realtà attraverso miti e favole;
- l’età degli uomini dove si realizza un uso diffuso della ragione e i fenomeni sono spiegati con leggi scientifiche.
Tale progresso verso il meglio è, per Vico, un percorso necessario ma cosa succede quando si arriva in fondo e un popolo raggiunge la sua maturità? Si può cadere in un ricorso storico dal momento che l’uso diffuso della ragione comporta uno spirito critico che si esercita sui miti, sui valori, sulle credenze e sulle tradizioni; la ragione diventa una forza disgregatrice che mette in crisi tutti gli elementi che contribuiscono alla coesione di una società.
D’altra parte, poi, il progresso porta con sé la soddisfazione dei bisogni, la comodità e, infine il lusso; una società, allora, vive uno stato di decadenza e di disordine che può riportare alla barbarie. Sono tre le fattispecie che possono configurarsi:
- può emergere un singolo particolarmente carismatico che dà nuovamente vita a un regime monarchico o dittatoriale;
- il popolo decadente potrebbe essere fagocitato da un’altra nazione più forte e più ordinata;
- la società in crisi potrebbe “rinselvatichirsi”, perché vittima di un abbrutimento dei costumi e di un ritorno a una situazione caotica: questa barbarie, nuova e seconda, è peggiore della prima (ossia della fase degli dei) perché dispone di conoscenze scientifiche e ritrovati tecnici, è quindi più pericolosa e meno orientata al progresso.
Benedetto Croce e i ricorsi dello Spirito
Lettore attento di Giambattista Vico, Benedetto Croce recupera la teoria dei corsi e ricorsi storici in modo originale. Egli ritiene che tutta l’attività spirituale umana, indagata dalla filosofia, possa essere orientata alla conoscenza o all’azione e che essa si esplichi in quattro differenti gradi, ossia:
- l’arte (la conoscenza intuitiva del particolare),
- la logica o filosofia (conoscenza discorsiva dell’universale),
- l’economia (la volontà di perseguire l’interesse particolare),
- l’etica (perseguimento dell’interesse generale o universale).
Croce afferma, a tal proposito, un nesso dei distinti: seppur distinguibili e diversi, i quattro gradi sono, allo stesso tempo, interconnessi e correlati. Nella vita dello Spirito, della creatività e dell’esperienza umana, questi quattro gradi si susseguono, quindi, in una circolarità dove ritornano incessantemente. L’arte, ad esempio, fornisce alla filosofia il linguaggio per esprimere le proprie teorie; l’azione, sia essa volta all’interesse particolare o generale, fornisce temi e problemi nuovi su cui la conoscenza può concentrarsi, e così via. Questa circolarità, nella quale ogni grado dello Spirito può essere, indifferentemente, inizio o fine, delinea una storia universale eterna fatta, appunto, di corsi e ricorsi storici, lo Spirito ha così un andamento simile a quello di una spirale: con i suoi quattro gradi ritorna sempre su sé stesso, avanzando ma anche arricchendosi e approfondendosi sempre di più.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Teoria dei corsi e ricorsi storici: in che consiste?
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