Nella giornata di oggi, 29 Maggio, ricorre l’anniversario della nascita di Giovanni Gentile, filosofo tra i più profondi del Novecento che nella sua vita acquisì, però, maggiore fama per il suo controverso appoggio al Fascismo e per esserne stato l’intellettuale di spicco e uno dei principali ideologi.
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Più che al suo pensiero, tanto raffinato quanto impegnativo, a sentire il nome di Giovanni Gentile la mente corre soprattutto al Manifesto degli intellettuali fascisti (1925) che egli stilò, e al quale Benedetto Croce contrappose quello degli antifascisti, e a quella riforma della scuola che porta il suo nome e che, nonostante tutto, produce ancora remoti effetti nel mondo dell’istruzione italiana.
Nelle opere di Giovanni Gentile è, però, tematizzata una brillante rielaborazione di alcune fondamentali tesi hegeliane che ci permette di collocarlo nell’alveo del Neoidealismo, oltre a un’originale riflessione politica che disegna un inedito modello di stato corporativo.
A 150 anni dalla sua nascita riscopriamo insieme la vita, le opere e il pensiero di Giovanni Gentile.
La vita e le opere di Giovanni Gentile
di Gianluigi Chiaserotti
Di origini siciliane, Giovanni Gentile (Castelvetrano, 29 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944) studiò filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si formò alla scuola del filosofo Donato Jaja (1839-1914). Jaja era stato allievo di Bernardo Spaventa (1817-1883), il più geniale rappresentante dello hegelismo italiano. Intraprese poi la carriera universitaria: dopo alcuni anni di insegnamento negli istituti superiori, insegnò Storia della filosofia e Filosofia teoretica nelle università di Palermo (1906-1914), di Pisa (1914-1919) e di Roma (dal 1917); a Pisa tornò, poi, come Direttore della Scuola Normale Superiore (dal 1929 al 1943).
Dalla frequentazione di Jaja e dei testi di Spaventa, Gentile trasse la convinzione che era necessaria una riforma dell’idealismo, e specialmente del metodo dialettico hegeliano, per risollevare la sorte degli studi filosofici.
Egli, perciò, iniziò una strenua battaglia contro il positivismo dominante tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, in alleanza con Benedetto Croce (1866-1952).
Agli anni universitari risale la conoscenza con Benedetto Croce del quale fu a lungo interlocutore privilegiato: la loro corrispondenza epistolare durò per oltre vent’anni (fino al 1923). Accomunati dall’interesse per Hegel e dall’avversione al Positivismo, nel 1903 fondarono insieme la celebre rivista La critica con la quale intendevano rinnovare profondamente la cultura italiana.
Il sodalizio tra i due filosofi, dopo varie polemiche, cessò a seguito del delitto Matteotti (1924), e cioè quando Giovanni Gentile, che nel 1922-24 era stato ministro della pubblica istruzione nel governo Mussolini, continuò ad appoggiare il regime fascista (di cui fu uno dei più autorevoli tecnici), mentre Croce passò all’opposizione.
Grande organizzatore degli studi, il Nostro riformò la scuola in Italia e diresse la progettazione e la redazione “dell’Enciclopedia italiana” (la celebre “Treccani”).
Dopo l’armistizio del 8 settembre 1943, Giovanni Gentile aderì alla Repubblica Sociale costituita da Mussolini a Salò. Venne purtroppo assassinato da alcuni membri della resistenza fiorentina il 15 aprile 1944.
Gentile scrisse molte opere di filosofia, di storia della filosofia e di pedagogia, ma si occupò anche di politica, di arte, di religione e di letteratura, trovando un seguito larghissimo nei giovani.
Se l’amico Croce era ascoltato soprattutto dagli storici e dai letterati, Gentile, che fu il massimo esponente del neoidealismo italiano, era il punto di riferimento indiscusso per i filosofi ed i pedagogisti italiani della prima metà del Secolo XX.
Scrisse un Sommario di pedagogia (1913-14), in cui espose per la prima volta in modo sistematico anche le sue vedute speculative generali, poi riprese più volte in numerosi vari saggi di filosofia e di pedagogia.
Vennero subito dopo le sue due opere più celebri: Teoria generale dello Spirito come atto puro (1916) e Sistema di logica come teoria del conoscere in due volumi del 1916.
Minore importanza hanno avuto i suoi interventi su diritto (I fondamenti della filosofia del diritto, 1916), sulla religione (Discorsi di religione, 1920) e sull’arte (Filosofia dell’arte, 1931).
Più duraturo il suo ampio lavoro di ricostruzione della filosofia italiana in una serie di saggi (Rosmini e Gioberti, 1899; Dal Genovesi al Galluppi, 1903; G. Bruno e il pensiero del Rinascimento, 1920), raccolti dallo storico e filosofo Eugenio Garin (1909-2004) nell’opera complessiva Storia della filosofia italiana (1967). Fortemente incisivi, infine, furono gli interventi iniziali di Gentile sulla critica del marxismo (La filosofia di Marx, 1899) e dello hegelismo (La riforma della dialettica hegeliana, 1913) e il suo ultimo libro, una sorta di testamento spirituale, scritto di getto nel 1943 (ma pubblicato postumo nel 1946), nella certezza di una morte imminente: Genesi e struttura della società.
Giovanni Gentile in politica
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Abbracciato il Fascismo, che intendeva come la prosecuzione degli ideali liberali che avevano animato la Destra Storica durante e dopo il Risorgimento, Giovanni Gentile ruppe l’amicizia con Croce e fu ministro della Pubblica Istruzione (dall’ottobre 1922 al luglio 1924) e senatore del Regno (dal novembre 1922 al 1943). Durante il suo ministero varò la riforma della scuola che porta il suo nome e che accoglieva innovazioni già in parte definite dallo stesso Croce.
Dopo questa esperienza, pur ancora organico al regime, si ritirò dalla politica attiva e praticò un fascismo sui generis, per alcuni di facciata, di certo anomalo e contraddittorio: di fronte alla firma dei Patti Lateranensi (1929) difese la necessità di uno stato laico, prese le distanze soprattutto dagli atteggiamenti più intransigenti e intolleranti del fascismo verso gli oppositori politici, che accolse anche all’interno dell’Istituto Treccani, quando divenne direttore scientifico dell’Enciclopedia Italiana, e verso gli ebrei che aiutò.
Dopo l’8 settembre aderì alla Repubblica Sociale come estremo gesto di fedeltà al Duce che lo nominò presidente dell’Accademia d’Italia, per questo si trasferì a Firenze dove venne ucciso pochi mesi dopo da un gruppo di giovani gappisti.
Il pensiero di Giovanni Gentile
di Gianluigi Chiaserotti
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Il pensiero di Giovanni Gentile è noto con il nome di idealismo attuale o di attualismo. Con questa formula egli intese difendere una concezione della filosofia come pensare vivente, capace di risolvere in sé dialetticamente ogni contenuto.
La critica da lui mossa a tutte le filosofie precedenti, e soprattutto alla filosofia di Hegel, è quella di essere delle dottrine del “pensiero pensato”, ossia di una concettualità astratta e priva di vita, perché separata dall’attualità del “pensiero pensante” o dall’“atto in atto”. Solo il pensiero pensante è dialettico, perché produttore dell’oggetto, che è propriamente il soggetto stesso in quanto diventa altro da sé.
Ora, il pensiero, quando si autoproduce (autoconcetto o autoctisi), sulle prime tratta il prodotto come assolutamente opposto a sé, come alcunché di estraneo, poi riconosce che l’oggetto, nella sua alterità, è il soggetto stesso oggettivato e lo risolve in sé, cioè lo fa identico a sé.
Il risultato dell’identificazione di soggetto e oggetto, però, rende di nuovo il soggetto privo dell’oggetto, cioè lo rende astratto.
Allora il soggetto, dovendo superare la sua condizione astratta, fuoriesce nuovamente da sé.
Ricomincia però una situazione oppositiva di natura dialettica, la quale stimola il trapasso in un altro momento sintetico, e così via all’infinito.
Tre sono dunque i momenti della vita del pensare:
- a) il soggetto nella sua iniziale separazione o astrazione dall’oggetto;
- b) l’oggetto nella sua opposizione al soggetto;
- c) la sintesi di soggetto e oggetto come finale identificazione o risoluzione nel soggetto dell’estraneità dell’oggetto.
Per Gentile codesti tre momenti della dialettica dell’atto sono anche i tre atteggiamenti fondamentali o le tre “forme” dello Spirito, cui corrispondono, rispettivamente, l’arte, come estetica, la religione e la filosofia.
Collocazione incerta finisce per avere nel nostro la scienza, a volte assimilata all’arte, a volte alla religione.
Il pensiero di Giovanni Gentile ha avuto un influsso straordinario su tutta la filosofia italiana del primo ‘900.
Si può dire che non ci sia filosofo italiano del Secolo XX, che non abbia fatto i conti con lui. Nel dopoguerra l’attualismo, però, è stato ostracizzato per via delle connivenze del filosofo col Fascismo.
Negli anni ‘90 si è assistito ad un rinnovato interesse per alcune tesi del Gentile, in particolare per la dottrina rigorosa e feconda, sul piano metodologico che nell’orizzonte del pensare e nei suoi modi strutturali coglie la condizione ultima e intrascendibile – in questo senso trascendentale - di ogni assetto d’essere.
L’attualismo di Giovanni Gentile
di Simone Casavecchia
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La riflessione di Giovanni Gentile prende le mosse dal pensiero di Hegel, che sottopone a una fondamentale critica: egli avrebbe, infatti, erroneamente applicato la sua dialettica anche alla realtà e non solo al pensiero: lo dimostra la celebre affermazione in base al quale “tutto il reale è razionale” ma anche l’attenzione dedicata alla logica (intesa come scienza del concetto, ossia dell’oggetto del pensiero) e alla natura nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche.
Per Gentile, invece, può darsi dialettica, ossia sviluppo e divenire, soltanto nel soggetto che pensa (egli lo definisce pensante), nel momento, ossia nell’atto, in cui pensa. In altri termini l’unica vera realtà per Gentile è il pensiero e ciò è ben dimostrato dal fatto che anche la natura (o qualsiasi altro oggetto, potrebbe essere anche Dio) ha una qualche realtà solo in quanto la pensiamo mentre al di fuori dell’atto del pensiero non è nulla.
Il pensiero o, meglio, il pensiero in atto (o più semplicemente Atto, da cui il termine Attualismo ) è, allora, la prima, unica e più fondamentale realtà del sistema di Gentile, al di fuori del quale non si dà nulla che possa sussistere autonomamente. È il soggetto pensante, nell’atto del pensare, a porre gli oggetti pensati (oltre alla natura e a Dio potremmo pensare anche al passato, alla verità, al bene e al male, all’errore) e in quanto tale è creatore e infinito perché non ha nulla al di fuori di sé che possa limitarlo.
Se tutta la realtà, per come la intendiamo nel linguaggio comune, si risolve nel pensiero è facile ammettere che ci troviamo di fronte a:
- un monismo (il pensiero come unico principio);
- un immanentismo (tutta la realtà si dà solo nel pensiero);
- un soggettivismo (è il soggetto che pensa, a lui pertiene l’Atto del pensare).
Ora, è opportuno chiarire che quando parliamo di soggetto non dobbiamo pensare a Mario, Augusto o Luca, ossia a un soggetto empirico, ma a un soggetto trascendentale, a una realtà metafisica assimilabile all’Io penso di Fichte, a un io universale, assoluto, che Gentile definisce anche come autoconcetto, dal momento che nell’atto del pensiero concepisce sé stesso e anche tutto il resto, ogni altra realtà.
Il nostro io individuale (il soggetto empirico), così come la natura, sono da intendere come realtà poste, quindi create, dall’Atto del pensiero di questo soggetto assoluto, che proprio nel momento in cui le pone nella loro individualità, le supera anche.
A questo Atto, chiamato a volte Spirito, Gentile attribuisce una libertà assoluta che si manifesta nella sua attività creatrice che è, allo stesso tempo anche autocreazione, per questo il filosofo parla di autòctisi.
Di contro tutte le altre realtà come la natura, l’idea, Dio, il fatto (ossia la realtà storica) sono da considerare necessari perché sono “posti” dal pensiero e, in quanto tali, non possono essere diversi da ciò che sono.
Giovanni Gentile e la dialettica
Se l’Atto del pensare è l’unica dimensione ad avere una consistenza propria, la dialettica, in Gentile, dovrà essere intesa come la legge di sviluppo del pensiero (e non, come voleva Hegel, anche della realtà e della storia). Anche Gentile prevede in essa tre momenti:
- la coscienza di sé (soggetto);
- la coscienza di qualche cosa (oggetto);
- la coscienza di sé come coscienza di qualche cosa (unità di soggetto e oggetto);
Questi tre momenti si chiariscono considerando l’attività conoscitiva: innanzitutto consideriamo noi stessi (è la tesi, il soggetto, la coscienza di sé), poi ci rivolgiamo al mondo, a ciò che è altro da noi (è l’antitesi, l’oggetto, la coscienza di qualche cosa), infine ci rendiamo conto che noi e il mondo non siamo due attività distinte ma un’unica attività, l’Atto del pensare, appunto nel quale soggetto e oggetto si fondono (è la sintesi, la coscienza di sé come coscienza di qualche cosa).
Questi tre momenti corrispondono a, ossia si concretizzano, in tre discipline che illustrano la vita e lo sviluppo dello Spirito: arte, religione e filosofia.
L’arte per Gentile crea “mondi fantasticati” dal momento che esprime il sentimento del soggetto: qualsiasi opera, sia essa un dipinto o un racconto, non è una rappresentazione oggettiva di ciò che ci circonda ma pura soggettività;
La religione, di contro alla grande libertà dell’arte, ci rende del tutto dipendenti da Dio, ossia da un oggetto che è altro (totalmente diverso) da noi, ci sovrasta e, in qualche modo, ci coarta e ci limita, per questo è pura oggettività dove l’individualità si dissolve nell’oggetto, Gentile parla a tal proposito di “misticismo”;
La filosofia è la disciplina che supera arte e religione e le riassume in sé: non va intesa come l’ultima tappa di un percorso cronologico perché la filosofia, a differenza dell’arte e della religione, è sempre presente, perché il pensiero è sempre in atto e il pensare è connaturato all’uomo. Mentre la filosofia è, per questo, attuale, l’arte e la religione sono, per Gentile, inattuali perché sono tali solo astrattamente: in realtà quando l’uomo compone un’opera d’arte o adora un dio sta già esercitando il proprio pensiero, perché pensa a come esprimere il proprio sentimento o pensa al suo dio, che quindi esiste solo come oggetto di quel pensiero. Proprio nel momento in cui si fa arte o si pratica una religione, l’arte e la religione muoiono perché si annullano nella filosofia, ovvero nell’atto del pensare, senza il quale non sarebbero possibili.
La visione politica di Giovanni Gentile
Semplificando molto il pensiero politico di Gentile, che riflette le posizioni teoriche presentate sopra, egli recupera la distinzione tra liberalismo individualistico (il liberalismo di matrice illuminista che pone l’accento sulle libertà individuali e, quindi, sulla libertà dallo Stato) e liberalismo organicistico (quello di matrice hegeliana che sottolinea, invece, la libertà dello Stato) e valorizza quest’ultimo.
Giovanni Gentile arriva a teorizzare uno stato di ascendenza hegeliana, dove confluiscono il diritto e la morale, uno Stato etico quindi, che unifica le diverse istanze sociali e che, come volontà spirituale che si concretizza, deve guidare verso un bene collettivo.
Lo Stato, in definitiva, è un’entità superiore, quasi divina, chiamata ad armonizzare i contrastanti interessi individuali e, in Gentile assume una chiara struttura corporativa perché, memore della civiltà medievale, crede che le corporazioni possano ricomporre i conflitti sociali e ricondurre gli interessi delle masse popolari, rappresentate dai sindacati, nell’alveo dell’interesse nazionale. La realtà storica in cui viveva Gentile – si pensi al Biennio Rosso – era scosso da forti tensioni sociali: le corporazioni dovevano configurarsi come un corpo intermedio tra il popolo e le classi dirigenti, e avrebbero dovuto avere il delicato compito di accogliere le istanze di gruppi sociali particolari riallineandole, però, nel superiore interesse economico dello Stato. Ciò portò, da un lato, al plauso di Gentile verso Mussolini, visto come l’uomo che avrebbe potuto ristabilire uno stato forte, mentre, dall’altro, al tentativo fascista di attuare le idee corporative di Gentile che, però, lungi dal riformare profondamente la società, si concretizzarono soprattutto in una serie di proclami.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giovanni Gentile: vita e pensiero dell’ideologo del Fascismo
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