

Giambattista Vico © Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons / CC-BY 2.5
Il 23 gennaio 1744 moriva a Napoli il filosofo, giurista e storico italiano Giambattista Vico. La filosofia di Giambattista Vico si staglia nel panorama filosofico della fine del Seicento come una stella solitaria intorno a tante costellazioni con legami ben saldi: egli, infatti, si interessò di questioni poco frequentate dal dibattito filosofico e aprì la strada a riflessioni inedite.
Nonostante l’originalità del suo messaggio, Giambattista Vico è anche figlio del suo tempo: le sue tesi riprendono quelle di molti autori classici e la forza rischiaratrice della ragione lo rende un anticipatore, sui generis, dell’Illuminismo che di lì a poco si sarebbe diffuso in tutta Europa.
Poco apprezzato dai contemporanei, Vico è il padre della filosofia della storia, di cui indaga il significato complessivo e la sua destinazione, rivaluta i miti e assegna alla fantasia e all’arte una valenza conoscitiva che troverà adeguati riscontri solo nel Novecento.
A 281 anni dalla morte ripercorriamo vita, opere e pensiero filosofico di Giambattista Vico.
La vita e le opere di Giambattista Vico
Nato da una famiglia umile e figlio di un libraio, Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 – Napoli, 23 gennaio 1744) studia prima grammatica e filosofia, poi, all’università, si dedica al diritto civile.
Iniziata la sua carriera come precettore dei nipoti di un porporato, Vico riprende gli studi in autonomia, dedicandosi soprattutto al mondo classico, mentre negli anni successivi riesce a ottenere la cattedra di Eloquenza e Retorica all’università di Napoli.


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Concorse anche per la prima cattedra di diritto dell’università partenopea, senza mai riuscire a ottenerla, e visse una vita sempre abbastanza frustrante e misera: a ciò contribuirono non solo lo scarso apprezzamento che ebbe dai contemporanei ma anche una moglie scapestrata, una figlia di salute cagionevole e un figlio delinquente.
Tra le opere pubblicate, che approfondiscono varie questioni filosofiche ma anche letterarie, storiche e giuridiche, è opportuno ricordare:
- il De antiquissima Italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda (Sull’antichissima sapienza degli Italici da trarre dalle origini della lingua latina, 1710);
- la Scienza Nuova (pubblicata per la prima volta nel 1725 e poi in altre due edizioni successive, con corpose aggiunte, integrazioni e revisioni).
Giambattista Vico e le conoscenze dell’uomo
Fin dall’inizio della sua riflessione, Giambattista Vico è profondamente critico nei confronti di Cartesio, il cui metodo riduce tutto all’uniformità, alla matematica e agli aspetti quantificabili della realtà.


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Attraverso lo studio dell’etimologia dei vocaboli latini, Vico si rende conto che anche i popoli italici erano titolari di una sapienza oscura, che avevano riposto nelle parole, piuttosto che nei trattati, come i più limpidi predecessori greci. Egli si concentra, ad esempio, su alcuni termini chiave:
- Verum e factum avevano, nell’antichità, lo stesso significato perché si può conoscere compiutamente ed esaustivamente solo ciò che si fa; solo ciò che l’uomo crea da sé, in altri termini, può essere completamente noto;
- Prudentia, per i latini, non è la cautela ma la saggezza riguardo ai casi particolari; il significato di questo termine, coincide con quello che Aristotele assegnava alla parola greca phronesis, la saggezza pratica, quella che si utilizza nelle cose della vita e non sui libri;
Da ciò derivano alcune importanti conseguenze: per Vico solo Dio, che ha creato la natura, può intenderla, ovvero può avere di essa una conoscenza piena di tutti i suoi meccanismi. L’uomo, invece, che non intende ma cogita (pensa), non avrà mai una conoscenza esaustiva della natura, che non ha creato, per questo la fisica rimane una scienza imperfetta.
In altri casi, però, l’uomo ha migliore fortuna: come Hobbes, Vico ha una concezione convenzionalista della matematica, crede cioè che il significato dei suoi simboli sia stato assegnato dall’uomo in modo arbitrario (il punto o il numero, ad esempio, non esistono in natura), per questo ritiene che la matematica sia una creazione tutta umana, di questa scienza quindi l’uomo può avere una conoscenza piena e perfetta.
Lo stesso, e a maggior ragione, vale per la storia: è l’uomo che crea le istituzioni, gli ordinamenti giuridici, i partiti politici, le convinzioni religiose. La storia è una creazione tutta umana e di essa si può avere una scienza, nuova perché tutta diversa da quella galileiana e newtoniana, che aveva rivoluzionato il sapere europeo.
Vico e la nascita della filosofia della storia
Ispirato da Platone, Tacito, Bacone e Grozio, Giambattista Vico si approssima alla storia guidato dalla convinzione che esista un parallelismo tra la storia individuale (ontogenesi) e la Storia, propriamente detta (filogenesi). Egli inoltre ritiene che la storia vada studiata e affrontata con l’ausilio di altre due discipline:
- La filologia, ossia la disciplina che, attraverso la comparazione dei testi, studia la veridicità di questi ultimi e verifica se effettivamente possono essere attribuiti al loro autore e ad una precisa epoca storica. La filologia, per Vico è la conoscenza del certo, ossia di quel che la tradizione ci ha lasciato;
- La filosofia, d’altra parte, è conoscenza del vero, perché essa non si rivolge al passato ma di ogni fenomeno ricerca le cause e gli effetti;
Poste queste premesse Vico individua una vera e propria legge della storia: ogni civiltà, ogni popolo, nel suo decorso temporale attraverserebbe tre distinte fasi – Vico le chiama Età – a ciascuna delle quali corrisponde una specifica facoltà conoscitiva. A differenza di Platone, che riteneva che la storia descrivesse un regresso, ossia un passaggio dal meglio al peggio, Giambattista Vico è uno dei primi filosofi ad affermare che le tre età della storia segnano un progresso e portano l’uomo al meglio. Vediamo quali sono:
- L’età degli dei è l’epoca ideale in cui gli esseri umani, più bestioni che uomini, si servono solo della loro sensibilità, sono impressionati dai fenomeni esterni, li subiscono ma non li comprendono e ricorrono agli dei per giustificarli, per questo creano delle istituzioni teocratiche;
- L’età degli eroi è l’epoca in cui gli uomini si affidano alla fantasia, qui iniziano a coltivare virtù come l’onore o il coraggio e tendono a spiegare i fenomeni con miti e leggende; in questa fase si affermano delle istituzioni aristocratiche;
- L’età degli uomini è il momento in cui trionfa la ragione, qui gli uomini formulano leggi che gli permettono di spiegare la natura scientificamente e di dominare il mondo; in questa epoca sono le istituzioni democratiche ad andare per la maggiore perché ogni uomo esercita la ragione e vuole partecipare alla vita politica.
Gli universali fantastici e il mito per Vico
A proposito delle facoltà conoscitive Vico parla spesso anche di fantasia sensibile, come ad indicare che la cesura tra le prime due età della storia è meno netta rispetto a quella con la terza. Se la ragione conduce alla conoscenza razionale, Vico però non svaluta la fantasia sensibile, tutt’altro: anche nei miti e nelle leggende c’è una sapienza nascosta.
Nelle prime due età, infatti, gli uomini, che non dispongono ancora della ragione e non possono ancora formulare leggi universali, creano degli universali fantastici di cui si sostanziano i miti, questi ultimi, a loro volta non sono rappresentazioni distorte di un mondo immaginario, ma l’espressione più naturale di concezioni metafisiche non ancora tematizzabili. Facciamo qualche esempio: gli uomini delle prime due età non potevano definire concettualmente la curiosità umana, l’anelito infinito alla ricerca, il gusto della scoperta e allora hanno creato Ulisse, questo universale fantastico riassume in sé tutti quei valori. Lo stesso vale per il Minotauro simbolo, del primo conflitto tra razze perché figlio di due creature diverse.
Per Vico la poesia, i miti, le favole intuiscono verità che, poi, i filosofi comprendono razionalmente; i poeti hanno una loro sapienza riposta e i miti hanno valore di per sé stessi, a prescindere dalla loro eventuale comprensione razionale successiva, e il loro studio è essenziale per la comprensione dell’umanità stessa. L’universale fantastico assume così un’importanza fondamentale sul piano estetico: con questo concetto Vico porta acqua al mulino di quelle posizioni che rivendicano l’autonomia del bello rispetto alla verità filosofica poiché anche la creazione artistica riesce a cogliere la verità.
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La storia ideale eterna e i ricorsi storici
La storia reale dei popoli e delle nazioni realizza un progresso perché, secondo Vico, è guidata da una Provvidenza divina. Con questo termine Vico intende l’artefice della storia ideale eterna ossia di quell’insieme di idee come la giustizia, bontà, la sacralità della vita, verso le quali gli uomini, fin dalla notte dei tempi, hanno orientato la loro condotta.
Il progresso, tuttavia, è un cammino accidentato: quando, nell’età degli uomini, gli esseri umani utilizzano la ragione tendono a un eccessivo esercizio critico che razionalizza, cioè disgrega, i miti, le leggende, gli usi, i costumi e le tradizioni ossia tutto quel che costituisce il collante di una nazione. Le democrazie, poi, soddisfano bisogni ma, di conseguenza, portano al lusso e finiscono così nella decadenza. Vico parla di ricorsi storici proprio perché in questo modo c’è il rischio sempre possibile di un ritorno alla barbarie.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Giambattista Vico, il padre della filosofia della storia
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