Polibio (206 a.C. circa - 18 a.C.) è il più importante storico greco d’età ellenistica. Nella sua opera più famosa, Storie, si concentrò sul percorso che portò la Repubblica romana da essere una potenza dell’Italia centro-meridionale a estendere il suo controllo sull’intero mondo mediterraneo. Particolarmente importanti, tra i testi giunti fino a noi, sono i resoconti delle guerre puniche - alla sconfitta di Cartagine del 146 a.C. Polibio assistette di persona.
Il suo modello ebbe grande influenza su Cicerone, sui padri fondatori degli Stati Uniti d’America e su Montesquieu.
Scopriamo insieme la vita e le caratteristiche del suo capolavoro, le Storie.
Polibio: vita
Polibio nacque a Megalopoli, capitale dell’Arcadia, nel 206 a.C. circa. Figlio di Licorta, stratego (comandante in capo) della Lega achea, lo stesso Polibio ricoprì un importante ruolo all’interno della Lega, di cui fu ipparco (capo della cavalleria).
Dichiaratamente neutrale durante la guerra tra la Macedonia di Perseo e Roma, fu tra i mille nobili achei inviati come ostaggi nella capitale nel 166 a.C. e vi rimase diciassette anni.
Una volta a Roma, Polibio fu subito ammesso nei salotti più rinomati a causa della sua vasta cultura. Grazie a essi, e in particolare grazie a quello di Paolo Emilio, Polibio entrò in contatto con la famiglia degli Scipioni e poté compiere numerosi viaggi in Italia, Gallia e Spagna. Sempre per intercessione di Scipione, Polibio ottenne la possibilità di ritornare in Grecia, ma fin dall’anno successivo riprese a seguire l’amico, assistendo alla caduta di Cartagine nel 146 a.C.
Lo stesso anno, dopo la battaglia di Corinto, tornò in Grecia e, forte delle conoscenze sviluppate nel corso della sua permanenza a Roma, si batté perché le condizioni della sua patria, ormai Provincia romana, fossero meno pesanti e ottenne il compito di riorganizzare le città sotto la nuova forma di governo.
Tornò poi a Roma per completare le sue opere, intraprendendo alcuni viaggi con l’obiettivo di recarsi in prima persona sui siti di cui scriveva.
Tornato in Grecia dopo la morte di Scipione, morì a 82 anni in seguito a una caduta da cavallo.
Le Storie
Sono l’opera più importante di Polibio, scritta con l’obiettivo di documentare la storia universale nel periodo tra il 220 a.C. e il 146 a.C, con un prologo che si estende fino al 264 a.C. dedicato alla storia di Roma. L’intera opera era incentrata su Roma e sul suo percorso verso l’egemonia del Mediterraneo. In soli 53 anni, infatti, Roma riuscì a eliminare Cartagine, estendendo così il suo dominio sulla costa africana dall’Egitto all’Algeria, e assoggettò Spagna, Provenza, Illiria, Grecia, Macedonia e Asia (Turchia e Siria attuali).
Nel giro di mezzo secolo, la città riuscì a passare da dominatrice dell’Italia centro-meridionale a dominatrice dell’ecumene, l’intero mondo abitato (o meglio, quello che Polibio da buon greco considerava mondo: il Mediterraneo).
L’opera, in origine composta da 40 libri e sconosciuta fino al XIV secolo, è giunta a noi solo in parte. Possediamo per intero i primi cinque libri, gran parte dei libri VI-XVIII tramite epitomi e i restanti grazie a frammenti di varia lunghezza.
I libri I-V, ancora disponibili per intero, costituiscono in parte l’introduzione e lo sfondo degli anni su cui Polibio vuole concentrarsi, trattando questioni riguardanti le nazioni più importanti dell’epoca (Egitto, Grecia e Spagna); in parte si concentrano con particolare attenzione su prima e seconda guerra punica.
A questo punto Polibio interrompe la narrazione per aprire una lunga digressione e soffermarsi su quello che pensa sia il motivo dei successi militari e politici romani: la costituzione mista del potere, suddiviso tra consoli, senato e popolo. Questa particolare giustificazione del dominio romano tiene conto del pubblico di riferimento dell’opera, scritta da un greco per dei lettori greci. La concezione politica di matrice aristotelica diffusa in ambiente ellenistico trovava appagamento in un potere in grado di combinare le tre possibili forme di governo, monarchia, aristocrazia e democrazia. A queste tre forme, nel corso dei secoli si sono contrapposte le rispettive deteriorazioni, ciclicamente pronte a sostituirle: tirannia, oligarchia e oclocrazia; ma proprio questo degenerare di una forma di governo nel suo equivalente negativo viene evitato da una costituzione mista come quella della Repubblica romana.
Tra i brani pervenuti dei libri restanti, di particolare interesse sono le parti dedicate ad Annibale e Scipione, nell’ambito della terza guerra punica.
Oltre al discorso che riguarda la costituzione mista della repubblica romana, è necessario soffermarsi sul discorso di Polibio riguardo la Tyche (Τύχη), la fortuna.
La Tyche per lo storico è anzitutto intesa come casualità, fortuna: la forza imperscrutabile per cui le cose accadono. Allo stesso tempo, però, e in linea con la convenzione ellenistica, lo storico individua in questa forza anche una componente divina, personificandola. In questo modo, la fortuna diventa responsabile anche dei fatti più insignificanti, sempre guidati da una mano divina: le decisioni legittime prese da qualsiasi persona coinvolta nella storia sono opera sua. Insomma, Tyche non è solo responsabile della casualità, dei grandi eventi che in qualche modo ostacolano il corso naturale o positivo della storia, ma è anche un modo di intendere il nesso di causalità che porta a qualsiasi evento storico.
Comprendere la sorte è per lo storico fondamentale per comprendere i fatti storici ed è dunque necessario riuscire a inquadrare ciascun episodio nel quadro complessivo in cui Tyche opera.
La concezione storiografica di Polibio è di storia pragmatica, cioè volta all’accertamento dei fatti: non è possibile indagare e riportare eventi politici senza conoscere tecniche militari, aspetti geografici e senza avere a disposizioni le giuste fonti. Interrogare le fonti è di fondamentale importanza, ma non è l’unica delle operazioni che un buono storico deve fare.
Le conoscenze militari e gli aspetti geografici del territorio trattato erano noti a Polibio grazie all’esperienza acquisita in Grecia e a seguito di Scipione. Anche come ostaggio, inoltre, lo storico poteva contare su ottime fonti (ed è stato usato a sua volta come fonte da Tito Livio). Faceva pur sempre parte di una classe sociale elevata e frequentava le più importanti famiglie dell’aristocrazia romana: accedere a informazioni di persona e addentrarsi in questioni politiche e militari non era troppo complesso.
Infine, Polibio è uno dei primi a presentare la storia come una sequenza di cause ed effetti. La visione della storia di Polibio, complessivamente, è una visione unificata e l’impressione finale che si trae dalle Storie non è quella di una cronologia, ma di una trattazione che si concentra sul comportamento umano, raccogliendone tutte le essenze: nazionalismi, brutalità, guerre e aspre battaglie, intelligenza, valore, razzismi, doppiezze politiche, lealtà estreme...
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Polibio: vita dell’autore e analisi delle Storie
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