Santa Lucia di Francesco De Gregori è una canzone che può essere letta come una preghiera laica o una poesia in musica.
Si tratta, senza dubbio, di uno dei pezzi più belli della storia della musica italiana: se la ascolti una volta non la dimentichi più e sei inevitabilmente condannato a riascoltarla ancora e ancora, trovandovi ogni volta un significato diverso. Densa di metafore, è una canzone prisma che sembra riflettere la luce ogni volta in modo differente a seconda di come la si ascolta, dello stato d’animo e della convinzione con cui vi si approccia.
La ascolti da bambino e ha un significato preciso, poi adulto ne trovi un altro ancora e pian piano scopri che è uno scrigno prezioso dai significati inesauribili. Eppure c’è un fattore che rimane immutato: la commozione che questo canto suscita sin dalla prima nota, sin dal primo accordo. Ogni volta sembra toccare il cuore pulsante di umanità che è in ognuno di noi, la parte più intima, il nocciolo dell’umano che è “la nostra paura del buio e della fantasia”.
Si tratta del brano conclusivo dell’album Bufalo Bill (1976) e, all’epoca, De Gregori fu tacciato di blasfemia poiché scelse di dedicare una delle sue canzoni a una santa. I critici non capirono che il Principe, in realtà, aveva composto a suo modo una preghiera in nome degli umili e degli emarginati, di tutti coloro che la brillante società dell’apparenza “non vede”.
Per riuscire nel proprio scopo De Gregori si servì di una metafora potente dal punto di vista simbolico, ovvero di Santa Lucia, la protettrice della vista che si celebra il 13 dicembre, il giorno del suo martirio.
Scopriamo il testo e il significato della canzone.
Santa Lucia di Francesco De Gregori: testo
Santa Lucia,
per tutti quelli che hanno gli occhi
e un cuore, che non basta agli occhi.
E per la tranquillità di chi va per mare,
e per ogni lacrima sul tuo vestito,
per chi non ha capito.Santa Lucia,
per chi beve di notte e di notte muore e di notte legge
e cade sul suo ultimo metro.
Per gli amici che vanno e ritornano indietro,
e hanno perduto l’anima e le ali.
Per chi vive all’incrocio dei venti
ed è bruciato vivo.
Per le persone facili, che non hanno dubbi mai,
per la nostra corona di stelle e di spine.
Per la nostra paura del buio e della fantasia.Santa Lucia,
il violino dei poveri è una barca sfondata,
è un ragazzino al secondo piano,
che canta, ride e stona,
perché vada lontano, fa che gli sia dolce,
anche la pioggia nelle scarpe,
anche la solitudine.
Santa Lucia di Francesco De Gregori: significato
Santa Lucia è un testo criptico denso di metafore spesso oscure a cui il cantautorato di De Gregori ci ha ormai abituato. Il testo è scandito come una preghiera e non a caso si apre con un’invocazione, quella a santa, che viene ripetuta in ciascuna delle tre strofe.
Il primo riferimento è proprio alla santa in quanto protettrice della vista: De Gregori la invoca non per curare coloro che non vedono ma per curare coloro che vedono soltanto la superficie delle cose, la spoglia e nuda realtà, l’apparenza. Sono loro i veri ciechi, i veri malati, sembra affermare il cantautore tra le righe. È un canto pieno di cose taciute, non dette o appena accennate: e sono proprio questi vuoti ad accrescerne la poesia, sono le verità appena intuite che De Gregori dissemina nelle varie strofe invitandoci a coglierle e a farne tesoro.
L’incipit è già di per sé folgorante: De Gregori si rivolge alla santa protettrice della vista per curare coloro che vedono. È un appello fortissimo, dal potente significato simbolico, oggi più che mai necessario. Viviamo nella società delle luci, dell’efficienza a tutti i costi, dell’apparenza che trionfa sopra tutto: siamo abili nel correggere tutti i difetti, fisici e morali, tutti tranne uno “la trave che sta nel nostro occhio”, la nostra incapacità di vedere e saper cogliere le cose essenziali della vita “il cuore che non basta agli occhi”. Per capire davvero bisogna guardare con il cuore, sembra affermare De Gregori nella prima parte della lirica.
La seconda strofa invece è un elogio agli umili, agli emarginati, ai falliti, agli sconfitti, a coloro che cadono proprio lungo “l’ultimo metro”. In queste righe possiamo cogliere una forte critica alla nostra società della performance che elogia solo i successi e disprezza le sconfitte, come se il mondo fosse composto solo di persone belle, ricche e vincenti. De Gregori invece pone l’accento sui sognatori che vagando perdono l“’anima e le ali”, sui perdenti che bevono nel cuore della notte e per consolarsi leggono, e soprattutto, su coloro che pensano e, pensando, dubitano.
Possiamo intuire la nota di disprezzo nell’affermazione che De Gregori pronuncia con una dolcezza dolente:
Per le persone facili che non hanno dubbi mai
Questa frase si rivolge a una porzione dell’umanità ben pasciuta di sé stessa, intrisa di superficialità, che vive ben arroccata nelle proprie convinzioni senza mai allargare i propri orizzonti di pensiero.
Essere umani invece, afferma il cantautore romano, significa conoscere il peso del dubbio e della sofferenza: portare sul proprio capo una “corona di stelle e di spine”. Al riferimento cristologico De Gregori abbina, in una specie di chiasmo, un riferimento poetico: le stelle trovano il parallelismo nella fantasia sconfinata dell’uomo, mentre le spine sono il corrispettivo del buio dato dal dolore e dalla morte. Essere umani significa dubitare e, soprattutto, avere paura perché nell’umanità è insita anche la coscienza profonda della propria mortalità.
I messaggi di De Gregori dunque sono ermetici solo in apparenza: ogni parola ha un senso preciso e si lega all’altra in un significato, pure simbolico, perfetto.
Nella conclusione il cantautore lancia un messaggio importante che si rivolge alla nostra società, in cui la povertà è un fenomeno sociale importante che però spesso viene relegato ai margini. La forbice sociale si allarga con il risultato che spesso ad avere successo sono solo i ricchi o figli dei ricchi, mentre tutti gli altri sono chiamati a lottare come in una giungla con il coltello tra i denti nella marmaglia di chi non altro strumento, se non le proprie mani e la propria testa, per elevarsi.
Questo De Gregori lo spiega attraverso una metafora potente che pone in relazione di oggetti distanti solo in apparenza:
Il violino dei poveri è una barca sfondata
Il canto della povera gente è come una nave che imbarca acqua da tutte le parti e lentamente affonda. Tuttavia è un canto dolce e struggente come le note di un violino: un canto fine a sé stesso, senza alcuna speranza di redenzione, che non attende applausi in risposta. Come un ragazzino che canta e cantando stona e, però, non ha alcuna paura di vivere.
De Gregori sembra dedicare la canzone proprio a quel bambino non ancora cresciuto, una specie di Gesù bambino che rappresenta il futuro stesso del mondo. Per andare lontano dovrà affrontare tutte le difficoltà della vita, tutti gli ostacoli che l’esistenza pone dinnanzi ai poveri, agli umili, a coloro che la società considera dei reietti.
Il cantante è consapevole che la sua strada sarà difficile, per questo motivo nella sua “preghiera laica” a Santa Lucia gli augura dolcezza e serenità nell’affrontare la tempesta. Che sappia sopportare anche la pioggia nelle scarpe (da intendersi come un ostacolo fisico e materiale) e persino i problemi morali, interiori che più di tutto minano l’inconscio e la dignità di ciascuno, come la solitudine.
La canzone di De Gregori si chiude proprio su questa parola, così fondamentale e così necessaria, “solitudine” nella quale sembra essere racchiusa tutta l’individualità di ciascun essere umano, il nocciolo stesso della coscienza, tutta la fatica e il gusto dolceamaro del vivere.
È proprio questo che ci commuove: il fatto che Santa Lucia parli a tutti, al nostro intimo sentire di esseri umani con il canto triste e melanconico del violino dei poveri che il più delle volte rimane inascoltato e suona nel buio silenzioso - e senza tempo - della fantasia che diventa più viva e reale proprio quando chiudiamo gli occhi.
L’invocazione a Santa Lucia è una preghiera che anche i non credenti possono proferire a mezza voce. Sembra avere il potere curativo di risanare questa società corrotta dal denaro e dal pregiudizio verso l’altro.
Ascoltare la canzone di Francesco De Gregori equivale a porre un balsamo su una ferita sanguinante ancora aperta: nel ragazzino con la pioggia nelle scarpe possiamo vedere tante vittime di questo, i poveri, i figli dei migranti che faticano a integrarsi e persino noi stessi con i nostri smarrimenti, i nostri legittimi attimi di smarrimento dinnanzi alle avversità.
Ogni volta che queste note risuonano il mondo sembra tornare a essere un posto un poco più giusto, un poco più bello; siamo in grado di vedere davvero con il cuore traboccante di sensibilità e un senso profondo di pace si fa strada nell’anima.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Santa Lucia: testo e significato della canzone di Francesco De Gregori
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