Ognissanti è l’ultimo Inno sacro di Alessandro Manzoni. Come sappiamo il progetto degli Inni Sacri di Manzoni rimase incompleto.
L’autore ne compose cinque per intero (tra i più celebri La Risurrezione, La passione) e ne lasciò un sesto incompiuto, dedicato proprio alla festività di Ognissanti.
Il progetto della scrittura di Ognissanti era già presente nel piano preventivo generale degli Inni Sacri, redatto da Manzoni nel 1830 (che ci perviene oggi nell’autografo Braidense). L’autore lavorò più volte alla composizione dell’opera, a più riprese dal 1830 sino al 1847, tuttavia senza mai ultimarla. Secondo le analisi recenti dei filologi del testo, vi lavorò alacremente in particolare nell’autunno del 1847; ma non la concluse mai.
In una lettera alla poetessa francese Louise Colet, Manzoni affermava di aver tentato “un inno sulla santità”, ma di averlo interrotto e di ritenere ormai conclusa la sua esperienza creativa.
L’inno Ognissanti ci è giunto quindi in forma incompiuta, divisa secondo una logica tripartita. Nella prima parte Manzoni si rivolge ai santi contemplativi che, dopo una vita dedicata alla preghiera, ora in cielo possono contemplare l’immagine di Dio. Il poema si conclude con una lode alla Vergine Maria, “Tu sola” così la introduce, colei che è senza macchia e senza peccato, che ha sconfitto persino il peccato originale.
Viene definito “l’inno senile” di Alessandro Manzoni, perché fu composto più di un decennio dopo La Pentecoste (1817-1822), quando ormai l’autore era in età avanzata.
Scopriamo testo, analisi e commento dell’ultimo Inno Sacro Manzoniano.
“Ognissanti” di Alessandro Manzoni: testo
Cercando col cupido sguardo,
Tra il vel della nebbia terrena,
Quel sol che in sua limpida piena
V’avvolge or beati lassù;Il secol vi sdegna, e superbo
Domanda qual merto agli altari
V’addusse; che giovin gli avari
Tesor di solinghe virtù.A Lui che nell’erba del campo
La spiga vitale ripose,
Il fil di tue vesti compose,
Del farmaco i succhi temprò;Che il pino inflessibile agli austri,
Che docile il salcio alla mano,
Che il larice ai verni, e l’ontano
Durevole all’acque creò;A Quello domanda, o sdegnoso,
Perché sull’inospite piagge,
All’alito d’aure selvagge,
Fa sorgere il tremulo fior,Che spiega dinanzi a Lui solo
La pompa del candido velo,
Che spande ai deserti del cielo
Gli olezzi del calice, e muor.E voi che, gran tempo, per ciechi
Sentier di lusinghe funeste
Correndo all’abisso, cadeste
In grembo a un’immensa pietà;E come l’umor, che nel limo
Errava sotterra smarrito,
Da subita vena rapito,
Che al giorno la strada gli fa,Si lancia, e seguendo l’amiche
Angustie con ratto gorgoglio,
Si vede d’in cima allo scoglio
In lucido sgorgo apparir;Sorgeste già puri, e la vetta,
Sorgendo, toccaste, dolenti
E forti, a magnanimi intenti
Nutrendo nel pianto l’ardir;Un timido ossequio non veli
Le piaghe che il fallo v’impresse:
Un segno divino sovr’esse
La man, che le chiuse, lasciò.Tu sola a Lui festi ritorno
Ornata del primo suo dono;
Te sola più su del perdono
L’Amor che può tutto locò;Te sola dall’angue nemico
Non tocca né prima né poi;
Dall’angue, che appena su noi
L’indegna vittoria compiè,Traendo l’oblique rivolte,
Rigonfio e tremante, tra l’erba,
Sentì sulla testa superba
Il peso del puro tuo piè.
“Ognissanti” di Alessandro Manzoni: analisi e commento
Troviamo dunque quattordici quartine in versi novenari precedute dai puntini di sospensione; ma questo ultimo inno si distacca dagli altri Inni Sacri perché non ha più il tono militante della poesia giovanile, sia sacra che civile, ma presenta il profondo conflitto teologico-dottrinale dell’autore. Motivo per cui i critici hanno definito l’incompiuto Ognissanti, l’ultimo degli Inni Sacri, come la prova della piena maturità poetica di Manzoni. Addirittura Giorgio Petrocchi, nel 1971, parlò di un vero e proprio “risorgimento poetico dell’autore”.
Nell’incipit troviamo l’immagine del sole, come metafora che annuncia il tema chiave dell’Inno: la simbologia della luce che attraversa tutto il testo, intesa sia come baluginio della santità sia come opaco sentire umano “la nebbia terrena”.
Nel testo troviamo un riferimento particolare al secol superbo, in cui Manzoni allude agli uomini comuni che sdegnano la santità e non pregano agli altari. Viene apostrofato l’uomo sdegnoso e il “tacito fior” diviene metafora della santità contemplativa: il critico Franco Fortini ha voluto vedere in quel fiore, simbolo dell’asceta, un richiamo alla Ginestra leopardiana che sta sulle pendici dello “sterminator vesevo”.
Nei versi finali l’autore risemantizza il topos dello “sguardo amoroso del sole” in senso mistico, rivolgendosi alla luce emanata dalla Vergine Maria. Solo lei è la più santa di tutti i santi, perché l’amore di Dio la collocò al di sopra del perdono. Maria con la sua purezza, “lei sola” ribadisce Manzoni, riesce ad annullare la distanza tra cielo e terra. L’anafora ripetuta “te sola”, rimanda a un’analogia petrartesca: solo che Manzoni qui la trasfigura in chiave mistica e religiosa. La presenza femminile della Vergine ha la funzione di sublimare il desiderio.
Nel finale tuttavia Manzoni inserisce un rimando al serpente tentatore, simbolo del peccato originale, che si nasconde tra l’erba e che solo la Vergine Maria riesce a schiacciare con il suo puro piede. Tuttavia è significativo che Alessandro Manzoni concluda il suo, pur incompiuto, inno sulla santità con un’allusione non all’alto dei cieli, ma al basso della terra, dove rigonfio e tremante agonizza il serpente calpestato.
I critici negli anni Settanta hanno descritto questo finale imprevisto con un aggettivo calzante: “concitato”.
Forse Manzoni vi inserì volutamente un rimando all’episodio biblico della Caduta descritto nella Genesi e qui narrato attraverso una rilettura cristiana: in cui la figura di Eva peccatrice, viene sostituita dalla purezza della Vergine Maria che con la sua santità cancella, letteralmente calpestandolo, il demone del peccato originale.
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