Il 16 febbraio 1907 si spegneva nella sua casa di Bologna Giosuè Carducci, il primo autore italiano onorato dal premio Nobel per la Letteratura.
Negli ultimi anni Carducci, ormai anziano e stanco, aveva scritto diverse poesie di carattere più intimo e autobiografico in cui ricordava la sua terra d’infanzia, la luminosa Maremma. Erano canti struggenti, intrisi di nostalgia. Tra tutte ricordiamo la celeberrima ode Davanti San Guido che appare come una visione dei paesaggi spensierati della sua fanciullezza, cui contrappone l’amara disillusione dell’età adulta.
La Toscana ritorna spesso nelle poesie delle Rime Nuove, autentico compendio dell’opera carducciana, come l’immagine allegorica di una vita perduta e felice in cui rivivono i gesti semplici, lenti e autentici di un’umanità contadina, cui fa da sfondo uno scenario bucolico.
C’è una poesia, in particolare, che unisce l’incanto della giovinezza perduta a un sentimento preciso e meravigliosamente evocato: la nostalgia. Il primo abbozzo della lirica non aveva titolo, o meglio, prendeva il titolo dal primo verso originario: Colà verso l’Appennino ed era datata aprile 1871. Tre anni dopo Carducci la riprese e la integrò dandole il titolo - di fatto più opportuno - che ora le riconosciamo.
Nostalgia fu composta nel settembre 1974 ed è contenuta nella seconda sezione della raccolta Rime Nuove (Bologna, Zanichelli, 1906). La poesia fa il paio con Visione, la lirica antecedente, nel quale il poeta scorgeva in una sorta di reverie il paesaggio della sua luminosa Toscana “come un’isola verde, lontana, in una perduta luce” attraverso le nebbie del Po.
Un sentire analogo potrebbe aver evocato la Nostalgia che Carducci declama rendendola così concreta, pesante e dolorosa in questa lirica in cui il sentimento si trasfigura nell’allegoria cupa di un temporale incombente.
Nostalgia è una poesia dell’ultimo Carducci: è composta di versi in rima che intrecciano una trama di molteplici colori e sfumature che rimandano a un sentimento che forse non muove dall’infanzia o dalla giovinezza perduta, ma proprio dalla vecchiaia, dal cosiddetto “autunno della vita”.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Nostalgia” di Giosuè Carducci: testo
Tra le nubi ecco il turchino
Cupo e umido prevale:
Sale verso l’Apennino
Brontolando il temporale.
Oh se il turbine cortese
Sovra l’ala aquilonar
Mi volesse al bel paese
Di Toscana trasportar!Non d’amici o di parenti
Là m’invita il cuore e il volto:
Chi m’arrise a i dí ridenti
Ora è savio od è sepolto.
Né di viti né d’ulivi
Bel desio mi chiama là:
Fuggirei da’ lieti clivi
Benedetti d’ubertà.De le mie cittadi i vanti
E le solite canzoni
Fuggirei: vecchie ciancianti
A marmorei balconi!
Dove raro ombreggia il bosco
Le maligne crete, e al pian
Di rei sugheri irto e fosco
I cavalli errando van.Là in maremma ove fiorío
La mia triste primavera,
Là rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
Là nel ciel nero librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co ’l tuon vo’ sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar.8-9 Settembre 1874
“Nostalgia” di Giosuè Carducci: parafrasi
Tra le nuvole ecco farsi strada a tratti uno spiraglio d’azzurro, ma l’umidità e l’oscurità prevalgono mentre si avvicina un temporale che avanza tuonando lungo le vette degli Appennini. Oh, se questa tempesta gentile volesse trasportarmi come un aquilone nel mio bel paese toscano.
Non è il richiamo di amici o di parenti che là mi invita, ormai coloro che mi sorrisero nei giorni della giovinezza sono ormai anziani oppure sepolti da tempo.
Non è neppure il desiderio di rivedere le viti e gli ulivi a richiamarmi là, infatti fuggirei da quei lieti colli fertili e benedetti d’abbondanza.
Fuggirei i soliti discorsi, le glorie e i vanti del popolino, le antiche canzoni della mia città, così come le vecchie ciarliere sempre affacciate ai balconi di marmo. Fuggirei là dove nell’ombra del bosco, nella selva oscura dove ci sono le rocce sedimentarie e il cammino si infittisce tra le piante di sughero sino ad arrivare alle pianure dove vanno errando i cavalli selvatici.
È là in Maremma che vola il mio pensiero, là dove un tempo fiorì la mia triste primavera. Ci ritorna adesso il mio pensiero accompagnato dai tuoni e dalla bufera. Mi sembra di librarmi nel cielo e guardare la mia patria perduta, per poi sprofondare con il rombo del tuono in quei colli e in quel lontano mare.
“Nostalgia” di Giosuè Carducci: analisi e commento
Sembra di vederlo Carducci, mentre ormai canuto e stanco, si abbandona ai ricordi della sua giovinezza. Nel mese di settembre, colto alla sprovvista da un temporale ormai imminente, sente quel tuono cupo risuonare nel suo animo come un richiamo. Allora prega il vento della tempesta di riportarlo lontano, di condurlo indietro nei suoi anni passati.
La lirica, come suggerisce il titolo Nostalgia, è intessuta di rimpianto e si muove in bilico tra il presente - in cui il poeta osserva l’incombere del temporale - e la visione immaginifica di una terra inondata dal sole, la Maremma, dove tutto è rimasto immutato come un tempo.
Tutto sembra essere pervaso di una luce plumbea, oscura come una coltre che d’improvviso scatena il turbine inarrestabile dei ricordi. Il temporale stesso sembra, infine, non essere altro che l’allegoria di un sentimento preciso: la nostalgia.
Il poeta si sente trasportare dal vento come da un aquilone turchino in un sogno infantile suggerito dalla vecchiezza. Ma riconosce che la sua nostalgia non è rivolta a volti cari e amati, ormai lontani, né ai paesaggi verdi d’ulivi.
La sua nostalgia non richiama un ricordo preciso, né un legame umano, sembra essere fine a sé stessa. Non è che, a ben vedere, un rimpianto acuto delle cose perdute, della giovinezza lontana, di un tempo che non può più ritornare.
Nella sua visione sogna di raggiungere paesaggi isolati, i boschi della Maremma toscana dove corrono liberi i cavalli selvatici. Forse vorrebbe essere come loro, agile, libero ed errabondo, nel suo rimpianto di giovinezza. La volontà di recarsi lontano dall’abitato può anche essere letta, di riflesso, come il rifiuto della società e del consorzio umano che ormai lo ha da tempo deluso.
Il temporale imminente che rimbomba in lontananza lo conduce a guardare il mondo dall’alto e lui, Giosuè Carducci, vorrebbe solo ritrovarsi lì, nell’ombra inquieta dei boschi toscani, lontano dalla inutile vanità del mondo e dai pettegolezzi delle vecchie comari ciancianti.
La visione infine si annega nel temporale che diventa bufera e fa precipitare il poeta nella terra tra le colline e il mare, facendolo abbandonare al ricordo, cadere - anzi sprofondare - nell’infinità della sua nostalgia. Carducci confonde l’impeto del suo desiderio con il turbine della tempesta in un’allegoria efficace e spiazzante.
In quel suo tuffo finale possiamo anche percepire l’esistenza di una condizione precisa - la vecchiaia - al quale il poeta si abbandona con uno struggimento lieto: “voglio sprofondarmi” dice, come se volesse lasciarsi trasportare dall’onda lieta del passato che è quanto gli rimane, mentre intesse nella mente la promessa di un Paradiso, che è luminoso e selvaggio come la sua Maremma.
Il termine nostalgia non a caso deriva dal greco, nóstos (ritorno) e àlgos (dolore) e indica quindi il “dolore del ritorno”. Si tratta di un sentimento bello e lacerante insieme, un abbandono totale e tutto sommato piacevole, a cui Carducci stesso sembra far riferimento dicendo “co ’l tuon vo’ sprofondarmi”: in cuor suo sa che ciò che è perduto non può essere ritrovato, ma è bello potersi ingannare con l’eterno ritorno del passato scombinando le carte cronologiche del tempo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Nostalgia” di Giosuè Carducci: la poesia delle cose perdute
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