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“Noi pensavamo la guerra”: le parole della poetessa ucraina Irina Šuvalova

Esattamente un anno fa, il 24 febbraio 2022, Vladimir Putin dichiarava guerra all'Ucraina. Lo ricordiamo attraverso le parole della poetessa Irina Šuvalova che ci forniscono la cronaca più esatta - e tragicamente poetica - del conflitto tuttora in atto.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 24-02-2023
“Noi pensavamo la guerra”: le parole della poetessa ucraina Irina Šuvalova

Esattamente un anno fa, nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 2022, le truppe russe iniziarono l’invasione dell’Ucraina.
Vladimir Putin avviava ufficialmente la sua “operazione militare speciale” auspicando in una guerra lampo che, a oggi, non si è ancora conclusa.
Sono passati trecentosessantacinque giorni da quell’assedio ingiustificato e l’Ucraina ancora non cede. Putin non aveva previsto di doversi battere anche contro il coraggio dei cittadini ucraini, determinati a difendere il proprio paese, i propri confini e la propria identità nazionale.

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Sono passati trecentosessantacinque giorni e ancora cadono le bombe nel cielo di Kiev: il conflitto non è terminato, la guerra lampo si è trasformata in una guerra d’attrito, logorante, sfinente, che sta mettendo a dura prova i civili.

Lo ricordiamo attraverso le parole della poetessa ucraina Irina Šuvalova, autrice di cinque libri di poesie, tra cui la raccolta Pray to the Empty Wells (2019) disponibile in versione inglese.
Una delle poesie di Irina Šuvalova, dal titolo Voi pensavate e noi pensavamo la guerra, è contenuta nell’antologia Poeti d’Ucraina, a cura di Alessandro Achilli e Yaryna Grusha Possamai edita da Mondadori nel 2022.

Si tratta di una poesia di denuncia, ma anche di profonda umanità, che ci ricorda il dolore del popolo ucraino e la terribile verità di una guerra ingiusta.
Le parole della poetessa “Voi pensavate e noi pensavano la guerra” ci includono, si appellano alle nostre coscienze con l’uso di quel pronome personale “voi” che ci arpiona senza via di scampo, ricordandoci che non possiamo sentirci assolti, ma dobbiamo fare i conti con gli eventi di questo nostro presente e anche con la tremenda constatazione della nostra impotenza.

I cittadini ucraini non si aspettavano la guerra, proprio come noi; l’avevano vista soltanto nei film, sullo schermo grande del cinema, e poi se la sono trovati improvvisamente in casa. Le parole di Šuvalova ricordano Shemà di Primo Levi, la poesia di apertura di Se questo è un uomo.

Proprio come le parole di Levi anche quelle di Šuvalova si rivolgono a noi - lettori - implorandoci di non dimenticare. Solo che non si tratta di avvenimenti lontani nel tempo, ma di una brutalità ancora in atto: i verbi sono coniugati tutti al tempo presente, il tempo in cui viviamo.

Scopriamo testo e commento.

Voi pensavate e noi pensavamo la guerra di Irina Šuvalova: testo

Voi pensavate e noi pensavamo la guerra
non è qui da noi non c’entra con noi non è qui
è un film che ti guardi la sera con birra e popcorn
salvare un eroe il soldato ryan buttarsi da un jet

ma viene fuori che no
ti alzi un mattino ed è lì e la guerra sei tu
prendi lo scotch e ti attacchi le croci sui vetri
scendi in cantina e ti sdrai come fosse la tomba
ma c’è tanta gente e ti giri irrequieta su un fianco
per strada c’è un telo le gambe le braccia e una mano

la morte è vicina
lo senti lo vedi lo vivi il suo grugno di sangue
ha la bava alla bocca

i giorni passano noi piano piano ci alziamo
siam stanchi siam vivi ancora non ci hanno finiti

i cugini di Mosca ci scrivono forza coraggio
da un numero nuovo son buoni ci vogliono bene
ma poi per un attimo ti fermi a pensare
ti chiedi signore perché
perché questo a me
e dio ti risponde stai giù se ti han detto di stare così

intanto la morte va in giro ma lei vuole te
ti parla e ti insulta ma tu la sua lingua non sai
ulula geme è un cane o forse è un bambino
si lagna poi strilla poi latra si sgola si sfiata
la guerra è la morte che più non fa finta di essere muta
arriva al tuo letto ti guarda ti tocca ti studia
e poi piano piano ti infila nel lobo la lingua

che è nera e non tace nemmeno per cinque minuti
il giorno e la notte la morte ti ulula addosso
di ogni dado del cuore e ogni dado del corpo
lei ha la sua chiave e ti smonta

e voi pensavate la guerra non viene
e voi pensavate ma no non mi trova
e voi pensavate non sa dove vivo
il suo grugno dentuto non infilerà
nei nostri cassetti sui nostri ripiani
nei nostri vasetti e nei nostri tegami
tra le vostre labbra sconvolte di orrore
pensate che no, qui non osa?

non vi strappi i capelli
non vi tiri per strada
non vi calci la bocca
che i morti abbandonati per giorni e settimane
non guardino voi vivi dal ciglio della strada?

pensate
che non dormirete e non vi sveglierete
tra bombe che scoppiano lì a pochi metri
tra il fuoco e la morte?

pensate.
anche noi fino a ieri
così pensavamo.

Voi pensavate e noi pensavamo la guerra di Irina Šuvalova: commento

È una poesia dolorosa e immersiva che ci fa toccare con mano una realtà che sembra sfumare nell’incubo. È una poesia dolorosa perché ci chiama in causa direttamente con l’uso degli imperativi: “Pensate”.
Proprio come Primo Levi nella sua Shemà, Irina Šuvalova punta a coinvolgere il lettore con un coinvolgimento preciso: “Pensate”, ribadisce. Un verbo diverso da “Meditate”: ci chiama in causa con maggiore convinzione, senza via di scampo, ci obbliga all’empatia, a metterci nei panni delle vittime. Noi, proprio noi, che crediamo di “vivere sicuri nelle nostre tiepide case”.
Questa poesia ci dice - senza alcuna allegoria o forma di retorica - che anche loro lo credevano: si credevano sicuri e poi il sogno si è infranto come una bolla. La guerra vista al cinema è diventata la guerra vera. Le bombe sono atterrate nelle loro case: la realtà ha assunto le sembianze di un incubo.

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Nelle parole di Irina Šuvalova c’è anche il coraggio e uno spiraglio di speranza: questi versi sembrano parlare a nome di tutti i cittadini ucraini, recitare il loro urlo sommerso.

i giorni passano noi piano piano ci alziamo
siam stanchi siam vivi ancora non ci hanno finiti.

Gli ucraini sono stanchi della guerra; ma sono ancora vivi, pronti a combattere, e a vincere.
Proprio come nella poesia di Primo Levi, Irina Šuvalova sembra accennare una maledizione velata nel finale della sua lirica. C’è un ribaltamento dei ruoli, la prefigurazione di uno scenario possibile.

pensate.
anche noi fino a ieri
così pensavamo.

In realtà quest’ultima terzina non vuole essere una minaccia, ma solo l’amara constatazione di un popolo offeso. Gente che ha smarrito la propria quotidianità ed è stata precipitata in uno scenario terribile, apocalittico, senza ragione e senza pietà.

È ancora possibile la poesia? ci si domanda, sbigottiti, al termine della lettura. Ma segue immediata la risposta: sì. Perché finché la poesia si fa testimonianza vuol dire che l’umanità non è morta, non ancora.

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