Nichilismo è un termine ormai abusato per differenti ordini di ragioni: la parola è in parte entrata nel linguaggio comune, anche attraverso pubblicazioni di carattere più o meno divulgativo; per altri versi si parla troppo spesso e troppo facilmente di nichilismo come lo spirito del tempo, la temperie filosofica che più segnerebbe i nostri anni e, anche, i nostri atteggiamenti, la nostra mentalità, il sentire comune.
Per capire che cos’è il nichilismo occorre ripercorrere brevemente almeno alcuni passaggi del pensiero filosofico degli ultimi tre secoli, così da poter verificare anche se questa posizione filosofica è, ormai, davvero parte integrante del modo di pensare dell’uomo o, quanto meno, dell’uomo che popola le società occidentali.
Le origini del nichilismo
Il termine nichilismo (dal latino nihil = nulla) inizia a circolare in ambito filosofico alla fine del Settecento quando Jacobi utilizzò questo termine per connotare, negativamente, le filosofia trascendentale di Kant e la prosecuzione che questa ebbe nel pensiero di Fichte.
Jacobi reputò che questi sistemi filosofici, come anche l’idealismo, avessero delle conclusioni necessariamente distruttive e che annichilissero
“ogni cosa che sussista fuori di sé”
dal momento che (almeno seguendo l’interpretazione che ne dava Jacobi stesso) venivano intesi come il ritrarsi dell’uomo nel chiuso della sua coscienza (la rivoluzione copernicana di Kant che trova nel soggetto il suo centro), come il primato della ragione su tutto ciò che era altro da essa e come la distruzione di ogni oggettività del sapere, stante che gli usuali fondamenti del sapere (Dio e la natura) erano stati messi in questione (Kant reputa il noumeno inconoscibile anche se, in realtà, fonda l’oggettività del sapere su altre basi).
Questa prima accezione del nichilismo, teoretica piuttosto che etica, si propaga nei primi decenni dell’Ottocento, in scritti minori di Jean Paul e Madame de Staël, concordi nell’affermare che l’ateo è l’individuo più solo di tutti e che la realtà è caratterizzata da un’assoluta mancanza di senso (quest’ultimo è l’altro, importante, corollario che, sempre con un’interpretazione molto orientata, può essere individuato nei sistemi di matrice idealistica).
Altro pensatore che può essere ricondotto nell’alveo del nichilismo è Schopenhauer che, affrontando il problema della conoscibilità e dell’essenza del reale, descrisse la realtà fenomenica come l’apparenza fallace di una Volontà cieca e irrazionale, dalla quale tutto traeva la propria origine. Nel mondo dei fenomeni, per Schopenhauer, si dà l’eterno conflitto delle infinite manifestazioni (individuali) della Volontà (il noumeno, il vero essere) e ciò è causa di sofferenza; è solo non volendo, ossia abbracciando il Nulla (noluntas, negazione della volontà) che l’uomo, secondo Schopenhauer, può liberarsi dal dolore.
Il nichilismo in Russia
Nella seconda metà dell’Ottocento il nichilismo, inteso soprattutto come morte di Dio e come fine di valori tradizionalmente accettati si diffuse rapidamente in Russia dove, all’inizio, venne inteso non tanto come una dottrina filosofica quanto, piuttosto, come un modo di vivere e sentire, uno stato d’animo incarnato soprattutto dalle giovani generazioni che erano invischiate in grandi conflitti sociali e lottavano per un rinnovamento radicale della società.
Come dimostrano bene opere quali Padri e figli di Turgenev e I demoni di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, il nichilismo russo è caratterizzato da una grande fiducia nella scienza e dall’impiego del materialismo e del positivismo come strumenti polemici contro la cultura tradizionale: solo ciò che può essere verificato sperimentalmente ed espresso in termini di forza e materia va tenuto per vero mentre il resto ricadrebbe nel romanticismo più sterile. Il corrispettivo di questa posizione in ambito estetico è la critica dei difensori dell’arte fine a se stessa e la difesa della funzione pedagogica, politica e sociale dell’arte.
Da un lato, quindi, il nichilismo russo è affine a un realismo che contrappone i fatti ai valori o, piuttosto agli ideali, dall’altro l’ateismo, il cinismo e l’immoralismo teorizzati dai giovani russi si traducono in una un’azione politica rivoluzionaria, di stampo anarchico.
Non bisogna dimenticare, però, che, soprattutto con Dostoevskij, in Russia è riservata grande attenzione anche alle questioni morali e religiose: questo autore intende il nichilismo come la perdita dei tradizionali valori cristiani che caratterizza la modernità. Da un lato, in Dostoevskij troviamo la morte e la negazione di Dio portata alle estreme conseguenze, soprattutto ne I fratelli Karamazov, dove Ivan arriva a sostenere la celebre tesi secondo cui se Dio è morto, se Dio non c’è, tutto è lecito, tutto è permesso, compreso il delitto. D’altra parte, però, non bisogna dimenticare che Dostoevskij non è un ateo ma un credente che si pone domande scomode, per questo, nei suoi scritti, troviamo anche la fede nel Dio negato ovvero la fede in un Dio che, attraverso la sofferenza, salvata dall’insensatezza e dal nulla, perché presa in carico da lui stesso, redime l’umanità; in questa seconda argomentazione possiamo notare come il nichilismo diventi un viatico al rinnovamento del Cristianesimo.
Il nichilismo in Nietzsche
In Nietzsche il nichilismo trova una tematizzazione compiuta ed esaustiva non solo perché questo autore si definì come il primo vero nichilista ma anche, e soprattutto, perché tanti nuclei concettuali della sua filosofia coincidono con le principali definizioni che ancora oggi si danno del termine “nichilismo”. Ripercorriamo brevemente le principali.
- In una prima accezione, il nichilismo (negativo) è un carattere proprio a gran parte della cultura occidentale: è nella Grecia classica, con Euripide e Socrate, che inizia ad affermarsi, con l’affermazione stessa dell’impulso apollineo su quello dionisiaco, quando l’uomo anziché accettare la vita, con la sofferenza intrinseca ad essa, iniziò a preferirvi la razionalità, la dialettica, la morale, la fede in un mondo delle idee o in un mondo ultraterreno come vera realtà, al di là di quella sensibile. In tal modo tutti i sistemi che pongono “un mondo dietro al mondo” siano essi il platonismo, il cristianesimo, la dialettica hegeliana o il socialismo marxiano (anche se Nietzsche non aveva letto Marx) sarebbero manifestazioni di un atteggiamento che nullifica l’uomo e la vita, una perversione dello spirito, la malattia più profonda della civiltà occidentale (che secondo Nietzsche, a ragione, si sarebbe propagata anche nei secoli a venire).
- In una seconda accezione il nichilismo (passivo) va identificato con la morte di Dio, ossia con la condizione propria dell’uomo moderno che, dall’Illuminismo in poi, ha messo in crisi i valori tradizionali e crede sempre meno in essi. Dire che Dio (che qui simboleggia tutte le fedi e tutte le metafisiche, non solo quella ebraico-cristiana) è morto significa affermare che è venuta meno ogni certezza e che l’uomo è in balia di un forte senso di fallimento e di smarrimento; l’uomo, che non sa più in cosa credere, continua, quindi, a cercare, e a inventare, feticci nuovi che sostituiscano i vecchi, per questo sposta la fede religiosa sulle ideologie politiche, sulle credenze religiose, sulla magia e sul misticismo, animato dalla
“volontà di credere a ogni costo”.
- Esiste, infine, un nichilismo attivo, quello proprio dell’oltreuomo (e di Nietzsche stesso, almeno fin quando il lume della ragione gli tenne compagnia) che, partendo dall’annuncio stesso del nichilismo e della morte di Dio, si avvia già a un suo superamento. Giungere alla consapevolezza del nichilismo sarebbe già un segno di forza dello spirito, la cui energia, cresciuta al punto tale da far ritenere le precedenti convinzioni inadeguate, darebbe luogo a un contromovimento, opposto alla decadenza. A quest’ultima accezione del nichilismo vanno ricondotti i concetti di volontà di potenza, la filosofia del martello, la distruzione dei valori della civiltà occidentale, l’amor fati e la convinzione (che appare all’inizio e alla fine dell’opera di Nietzsche) che solo attraverso l’attività estetica e la creazione, in special modo artistica, sia possibile superare il nichilismo.
Il nichilismo nel Novecento
Sono molte le modalità in cui il nichilismo si è diffuso nella cultura contemporanea. Mentre alcune correnti, come l’espressionismo, hanno riconosciuto all’arte un valore quasi sacrale, ritenendola capace di farsi carico di tutti i possibili valori dell’uomo, il senso di decadenza e di crisi di una civiltà millenaria è stato spesso tematizzato, fino a divenire una costante, in tanta parte della letteratura contemporanea.
Mentre l’esistenzialismo, da Jaspers a Sartre, hanno approfondito la nozione di nulla, impiegandola nella critica delle tradizioni filosofiche precedenti, nell’opera di Heidegger può essere individuata la prosecuzione più sincera, e allo stesso tempo il tradimento più subdolo, dell’opera di Nietzsche e del concetto di nichilismo. Nella sua storia della metafisica, infatti, Heidegger formula un giudizio storico e filosofico sul destino millenario della civiltà occidentale, contrassegnata dall’oblio dell’essere e intesa, quindi, come una progressiva manifestazione del nichilismo (di cui Nietzsche sarebbe l’espressione ultima e più compiuta).
Al giorno d’oggi, sia guardando al relativismo dei valori e all’elevazione della libertà al di sopra di qualsiasi altro valore, sia guardando al dominio della razionalità strumentale e alla trasformazione della scienza e della tecnica nell’ennesima ideologia, il concetto di nichilismo rimane ancora un nodo concettuale essenziale per leggere la realtà e per porne in questione i suoi fondamenti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Nichilismo: che cos’è?
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