Monster, psycho, killer. La vera storia di Ed Gein, il «macellaio di Plainfield»
- Autore: Harold Schechter
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: TEA
- Anno di pubblicazione: 2025
Ed Gein, il macellaio di Plainfield. Nome che cristallizza l’orrore che diventa archetipo del mostro. Ma dietro il mostro c’è la cronaca. Una cronaca che racconta il tessuto di un’America rurale, soffocata dall’isolamento e da un bigottismo che ha generato un mostro. Harold Schechter, con Monster, psycho, killer. La vera storia di Ed Gein, il «macellaio di Plainfield» (TEA, 2025, trad. di Elena Ravera), ricostruisce quella vicenda con rigore documentario e intensità narrativa. Una storia che ha cambiato per sempre la rappresentazione del male nella cultura di massa.
Ma quale vita e quali esperineza possono aver generato un tale "mostro". Harold Schechter lo descrive così.
Wisconsin. Stato-giardino. Maestosi fienili, ricchi pascoli. Ma anche un cuore arido, sterile. Il grande cuore morto del Wisconsin.
Qui nasce e cresce Ed Gein. È da questo paesaggio – squallido, isolato – che emerge Plainfield: ottocento anime, destinate a entrare nella storia per l’orrore di Gein. Philip Roth ha una certezza: "la famiglia è dove inizia il danno". Anche per Ed Gein è così. Quel danno ha il volto della madre Augusta: tirannica, fanatica, moralista. Per lei il sesso è "dovere ripugnante, tollerabile solo per la procreazione". Ed la descriverà sempre in modo duale: "pura bontà" e “fonte delle sue più profonde angosce”. Il padre George, alcolizzato e violento, incarna la debolezza. Ed è tra questi due genitori che il giovane Ed cresce: tra paura del mondo e devozione assoluta per la madre. Il ritratto familiare è nodo centrale della vicenda: senza Augusta, probabilmente, non ci sarebbe stato il mostro.
Dopo la morte della madre, Ed sprofonda nell’isolamento. La fattoria diventa discarica. Non solo di cose, ma anche del suo essere. Persona "non adatta al mondo". Le stanze si trasformano in laboratorio dove fa le prove generali di quella che diventerà la sua follia. Schechter descrive la sua stanza piena di riviste pulp, dove Ed si esaltava leggendo delle atrocità naziste o delle profanazioni di tombe.
Leggeva avidamente dei cannibali e dei cacciatori di teste [...] era rapito dalle storie di donne scuoiate e di tamburi fatti con la pelle.
E sono queste letture il punto di non ritorno. Le fantasie diventano pratica macabra: tombe violate, oggetti creati con pelle umana. L’orrore passa dalla pagina "letta" alla realtà "creata". Una realtà fatta di omicidi. Mary Hogan e Bernice Worden sono le prime vittime accertate. Due donne che ricordano, per tratti fisici o ruolo, la madre Augusta.
È la scomparsa e l’assassinio di Bernice Worden, il 16 novembre 1957, a "far scoprire" la "casa degli orrori" di Ed Gein. La polizia trova nella casa di Ed un corpo "macellato come un quarto di bue", teschi usati come ciotole, una cintura di capezzoli, maschere di pelle umana. Un vicesceriffo dichiarerà: "Terribile, terribile oltre ogni immaginazione". Parole che non bastano, non possono bastare a descrivere uno spettacolo macabro che non ha precedenti. Ma Gein, malgrado l’ovvietà del suo crimine, non sarà mai giudicato come criminale comune. Dopo gli interrogatori, viene riconosciuto infermo di mente e non omicida seriale. Il verdetto psichiatrico riporta: schizofrenia cronica indifferenziata. Una formula clinica che tenta di contenere l’incontrollabile follia di Gein.
Lui stesso, interrogato su come e il perché dei suoi atti, risponde dicendo di agire in "trance", di non ricordare. Non sarà processato. Sarà decretato l’internamento in ospedale psichiatrico, in quell’oblio manicomiale che nasconde e non punisce o giustifica. Ma il caso Gein segna una svolta nella identificazione dei serial killer.
Lo psichiatra Robert Simon in una sua pubblicazione sottolineerà che "i serial killer più inquietanti non sono mostri venuti da fuori, ma vicini di casa". Robert Bloch, invece, scrittore e sceneggiatore statunitense autore di libri gialli, noir e fantastici, leggendo la cronaca ne rimarrà turbato a tal punto da farne una sceneggiatura. È dalla storia di Ed Gein che immagina Norman Bates. "Una storia densa di suspense, carica di tensione quella di Ed Gein", sottolinea Schechter, ma comunque: "Rispetto alla realtà accaduta in Wisconsin, Psycho risulta rassicurante come una favola della buonanotte".
Da lì in poi, Gein diventerà archetipo del mostro moderno, l’uomo comune che nasconde un abisso dell’animo umano. Un abisso che si fa orrore diventando cultura di massa che ci impone il continuo interrogarci. Da lui nascono Leatherface di Non aprite quella porta, Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti. E oggi Netflix confeziona la serie Monster, in streaming dal 3 ottobre 2025.
Schechter, in ogni pagina della sua ricostruzione, restituisce la percezione di questa sfumatura densa che permea la figura di Ed Gein, che dall’uomo è passata alla cultura di massa. E da qui a racconto che non è una sequenza di atti macabri, ma vera storia di un orrore nata da un contesto vero. Gein non è fenomeno da baraccone, ma è il prodotto di un ambiente claustrofobico, di una madre oppressiva, di una comunità che non ha saputo (o voluto) riconoscere i segnali della follia. E tra le righe lancia e arricchisce la certezza di Roth che si fa verità inquietante: “il mostro non arriva da fuori. Nasce tra noi. Si nutre del nostro silenzio, della nostra indifferenza, del nostro bisogno di voltare lo sguardo”. Ed Gein è il vicino di casa che diventa incubo. L’uomo comune che nasconde un abisso.
Il libro di Schechter è certamente disturbante, ma non va "alla ricerca" del brivido macabro "da consumo". È un atto di cronaca che diventa riflessione. Sul male ma anche su di noi. Ed Gein non era un mostro calato dal cielo. Era il vicino di casa. Quello che abbiamo scelto di accettare, di non vedere, voltandoci dall’altra parte.
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