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Storia della letteratura

Chi era Massimo d’Azeglio, il politico amante di arte e scrittura

Massimo Taparelli dei marchesi d'Azeglio: chi è? Rivediamo il profilo di un uomo eclettico. Politico, patriota, statista, pittore, scrittore e genero di Alessandro Manzoni.

Isabella Fantin
Isabella Fantin Pubblicato il 01-02-2022
Chi era Massimo d'Azeglio, il politico amante di arte e scrittura

Primo Levi, Giulio Einaudi, Cesare Pavese, Leone Ginzburg e Fernanda Pivano non condividono solo la passione per la scrittura, ma il fatto di aver frequentato il prestigioso Liceo Classico Statale "Massimo d’Azeglio" di Torino, istituito nel 1831. Facciamo un breve ripasso di questa illustre personalità cui l’istituto venne intitolato nel 1882.

Massimo d’Azeglio: il leader moderato

Massimo d’Azeglio, insieme a Vincenzo Gioberti e al cugino Cesare Balbo, è un esponente dei moderati liberali il cui dibattito verte sull’unificazione del nostro Paese. Il suo pensiero politico è contenuto nel trattato Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana del 1847.

È sua la paternità del detto "fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani" contenuta nell’autobiografia I miei ricordi, pubblicata postuma.

Criticando le iniziative insurrezionali, giudicate inutili, il pensatore indica la via delle riforme graduali "senza escludere in prospettiva una soluzione militare affidata alle armi del Regno Sabaudo" (Giardina). La sua proposta è fare dell’Italia una monarchia sotto i Savoia. A corredo un pacchetto di riforme interne, parallele all’unificazione. La distanza da Giuseppe Mazzini emerge dal rifiuto della violenza e dell’ipotesi repubblicana.

Un esponente del romanzo storico: Ettore Fieramosca

Massimo d’Azeglio è uno dei maggiori esponenti del romanzo storico in Italia. Vediamo in breve perché, facendo un passo indietro.

Lo scozzese Walter Scott codifica il romanzo storico — il più famoso è Ivanhoe del 1820 —, che viene esportato anche in Italia, animata da istanze patriottico-risorgimentali.

È così che nel nostro Paese romanzo storico e risorgimento si incontrano. Questi i topoi del romanzo storico:

  • ambientazione di maniera, preferibilmente medievale;
  • trama complessa ricca di colpi di scena, non sempre verosimili;
  • pallida caratterizzazione psicologica;
  • dualismo tra bene e male.

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Le origini del romanzo storico

Ettore Fieramosca di d’Azeglio del 1833 contiene tutte queste caratteristiche, arricchite come abbiamo visto dall’impegno risorgimentale, ovvero dal taglio politico. Questo non deve essere inteso in senso celebrativo, ma come spinta all’azione. Lo stesso d’Azeglio patì non poco prima di trovare un soggetto adatto per il futuro romanzo, che avrebbe potuto "mettere un po’ di foco in corpo agl’Italiani".

Non è difficile scorgere in filigrana il messaggio patriottico del romanzo che legge la storia in chiave di attualità. Chi è Ettore Fieramosca? È il leader di un gruppo di 13 cavalieri italiani che sfida un gruppo di altrettanti francesi, guidati da La Motte, nella cosiddetta disfida di Barletta del 1503.

Questo motivo si intreccia con una storia d’amore piena di avversità tra il condottiero del titolo e la bella Ginevra, moglie di un italiano traditore. Un appello all’orgoglio politico e all’identità nazionale, questo l’intento dell’autore e la percezione che i lettori ne ebbero.

Il romanzo di d’Azeglio, pertanto, merita di essere ricordato per la sua ricaduta patriottica, per l’impressione che suscitò tra i giovani contemporanei come già osservò con acume il De Sanctis.

Il pittore e l’uomo di mondo

Massimo D’Azeglio fu anche un pittore di successo. Un paesaggista romantico che imparò nella capitale la tecnica en plein air. Fu lui a presentare il Gonin a Manzoni, suo ex suocero, con il quale mantenne rapporti di amicizia anche dopo la morte della moglie, primogenita dell’autore dei Promessi Sposi.

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