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Storia della letteratura

Marzo di Giorgio Caproni: la terra è un frutto appena sbocciato

Salutiamo l'inizio del mese di marzo con una breve poesia di Giorgio Caproni che parla di rinascita. La terra oggi è come un frutto appena sbocciato, ce lo dice il poeta nella lirica “Marzo” (1932).

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 01-03-2023
Marzo di Giorgio Caproni: la terra è un frutto appena sbocciato

Marzo è una poesia d’esordio: Giorgio Caproni la scrisse nel 1932, a soli vent’anni. In quel mese volubile e sbarazzino forse il poeta si riconosceva, vi rifletteva l’irruenza della sua giovinezza. Il breve componimento, contenuto nella raccolta Come un’allegoria (1936) sfrutta la metafora del mese portatore di primavera per parlarci di cambiamento, metamorfosi e rinascita.

È una poesia di apertura che sembra spalancarsi come un sipario pronto a mostrarci una nuova scena: ecco, l’inverno non c’è più, è scomparso, ora è subentrato un nuovo scenario. La lirica di Caproni si conclude, non a caso, con una giovane che apre le imposte di una finestra: sembra di sentir entrare negli spazi tra le parole una folata d’aria nuova e profumata di fiori appena sbocciati. Se fosse una melodia, non v’è dubbio, sarebbe l’ouverture.

Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.

Marzo di Giorgio Caproni: testo

Dopo la pioggia la terra
è un frutto appena sbucciato.

Il fiato del fieno bagnato
è più acre - ma ride il sole
bianco sui prati di marzo
a una fanciulla che apre la finestra.

Marzo di Giorgio Caproni: analisi e commento

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Il tono descrittivo della poesia Marzo di Caproni riecheggia il celebre canto leopardiano La quiete dopo la tempesta: la scena descritta è simile, uno squarcio di sereno, il dissiparsi delle nubi. Mentre Leopardi parla della fine di un temporale, Caproni racconta l’arrivo - improvviso e inatteso - della primavera: non si odono gli augelli far festa, ma si vede “il sole che ride” secondo una simbologia propriamente ermetica.

Nel primo distico, appositamente isolato dal resto del componimento, Caproni racchiude l’essenza stessa della primavera, stagione di rinascita:

Dopo la pioggia la terra
è un frutto appena sbucciato.

I versi in questione hanno un chiaro - e intenzionale - valore allegorico: il poeta sembra descrivere attraverso quel “frutto appena sbucciato” una nascita. Il frutto del ventre materno, dunque un bambino che viene al mondo ancora bagnato dal liquido amniotico che lo ha protetto e gli ha donato nutrimento durante i lunghi mesi di gestazione.
In seguito il “fiato del fieno bagnato” ricorda il respiro di una madre, ancora affaticata dallo sforzo del parto: il fiato è infatti definito “acre”, quindi pungente, penetrante. La fatica della terra che rinasce e germoglia al primo sole primaverile viene descritta come una partoriente, seguendo il percorso usuale di travaglio-parto-nascita. Quel frutto acquoso, ricoperto di brina, succoso e pronto per essere portato alle labbra, è il figlio della primavera.

Infine, si festeggia la vita. Il fieno ha “un fiato acre”, ci dice Caproni: ma il sole ride. In questo sole “che ride” troviamo l’immagine più perfetta e luminosa della primavera che ha una luce quasi virginale - al quale viene accostato il colore bianco delle spose - che inonda i prati. I prati di marzo si schiudono alla luce, vivono al sole e sembrano rispondere al suo sorriso.
In chiusura fa irruzione l’elemento umano che non può che essere una giovane donna, una fanciulla, che con le sue candide braccia spalanca la finestra all’aria nuova e profumata e sembra accogliere il futuro.

Il giovane Caproni in Marzo compone il suo idillio alla primavera come se fosse un brano d’orchestra in cui ogni strumento è perfettamente accordato al proprio scopo finale, nulla è fuori tempo. Prima ottavini e clarinetti, poi il suono scuro dell’oboe e del fagotto, infine, ecco arrivano con la fanciulla timpani, triangolo e la melodia dolce degli archi.

La poesia tuttavia non è immune da incrinature: la primavera di Giorgio Caproni sembra racchiudere in sé la vita e la morte, promessa di futuro e il peso di un’ineffabile maturità. Marzo appare come un mese transitorio, volubile, destinato a portare scompiglio. Emily Dickinson lo definirà come Il mese dell’attesa; mentre Caproni si limita ad avvertirne la vibrazione e a consegnarcela intatta attraverso l’immagine della fanciulla che apre la finestra e accoglie il cambiamento. Il poeta ci invita a ripetere il gesto e a cogliere l’attimo irripetibile del “sole che ride” dopo un lungo inverno.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Marzo di Giorgio Caproni: la terra è un frutto appena sbocciato

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