

Le foglie cadute. 1915 Ficarolo e l’inutile strage
- Autore: Sandro Mantovanini, Alberto Burato
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
“Inutile strage”, bella frase ma abusata, pronunciata nel 1917 da papa Benedetto XV, che sollecitava la conclusione di un conflitto mai tanto feroce nella storia, come quello divampato in Europa ed esteso a tutti i continenti. È stata ripetuta da allora per condannare la guerra, ma se decontestualizzata finisce per uccidere un’altra volta le vittime di combattimenti o atti bellici. Nessuno è contento di morire, nemmeno i volontari e, se vogliamo, neppure fino in fondo i kamikaze giapponesi: dirgli che lo hanno fatto inutilmente li rende ancora più vittime.
Per questo, c’è qualcosa di troppo nel titolo di una pubblicazione per tanti versi pregevole, Le foglie cadute. 1915 Ficarolo e l’inutile strage, storie di vita e di morte dei nostri soldati, realizzato da Sandro Mantovanini e Alberto Burato e stampato con eccezionale cura grafica dall’Editoriale Sometti di Mantova (primavera 2015, 262 pagine), in occasione delle celebrazioni del Centenario del 15-18.
Passi l’inutile strage, comunque, in considerazione del valore del grande volume (formato 21x29,7), promosso dal Comune di Ficarolo (Rovigo) e sostenuto da numerosi sponsor privati, riccamente illustrato, pieno di fotografie e riproduzioni in bianconero nelle ampie pagine, con schede puntuali di approfondimento su temi storici, armi, materiali e protagonisti.
È dedicato alla memoria dei ficarolesi caduti nella Grande Guerra e dei vicini di Bagnolo di Po, Ceneselli, Costa di Rovigo, Frassinelle Polesine, Occhiobello, Salara, Stienta e Bondeno.
Cento anni dopo, annota il sindaco pro tempore, i loro eredi del Rovigino hanno voluto ricordarli con quest’opera, accreditata tra i progetti delle Commemorazioni del Centenario 1915-18 della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per la prima volta, rende omaggio in forma compiuta al tributo di sangue dei compaesani, ricordati invece in maniera “assai incompleta” dal Monumento ai Caduti nel giardino davanti alle ex scuole elementari. Sulle lapidi, i nomi di 44 militari, ma le ricerche dei due autori hanno permesso di individuare trenta altri morti in guerra o a causa della guerra, restituendo la dignità della memoria “a quegli sfortunati giovani”, indistinti a lungo nell’anonimato della morte di massa.
Il lavoro, grazie alle tavole tematiche, sintetizza l’intero corso del 1915-18. Sandro Mantovanini è uno studioso di storia, cittadino onorario, Alberto Burato un medico e ricercatore storico. Hanno ricostruito con ampi dettagli la vita civile e militare di ognuno dei caduti: “ed anche, non senza pena, le circostanze della morte”, restituendo spesso un volto, grazie a vecchie foto fornite dalle famiglie.
L’“inutile strage”, dunque, ricorre fino a essere abusata nella retorica del pacifismo che oggi sta cancellando il militarismo, considerato politicamente scorretto. È all’esatto opposto della “bella morte”, celebrata un secolo fa da nazionalisti e fascisti. Può mai essere stata “bella” la morte sul campo di battaglia, sotto i bombardamenti, tra gli spasimi in un ospedaletto o in mare e nell’aria? Però, non tutte le guerre sono “inutili” e nello stesso conflitto ricorrono fasi in cui l’espressione di Benedetto XV ha un significato e circostanze in cui risulta ingiusta, addirittura vile in cicca ad altri.
Prima di Caporetto, la nostra guerra era un’offensiva verso territori che solo i più colti consideravano irredenti, ma dopo la resistenza sul Piave non è stata affatto “inutile”, dovendo difendere il Paese da una sconfitta più disastrosa, economicamente e socialmente, di quanto non sia stata pesante perfino la vittoria, sotto tanti aspetti.
Di certo, non è sostenibile il “dulce et decorum est pro patria mori” (dolce e dignitoso morire per la patria), sebbene lo declamasse Orazio e prima ancora il poeta greco Tirteo. Ma non è “inutile” affrontare la morte per difendere oggi l’Ucraina dall’invasione di Putin e ieri l’Italia dai nazifascisti.
Non era “inutile” salire in montagna, impugnare le armi e battersi per la libertà, affrontando pericoli e disagi. Le stragi ci sono state, commesse dai tedeschi ai danni dei civili in tante località del Centro Nord e prima anche del Sud, in Puglia e Campania, finché le truppe germaniche non sono state respinte dagli Alleati verso la Linea Gustav abruzzese-laziale, il fronte di Cassino.
Tutte quelle stragi sono state dolorose, efferate, ma perché considerarle “inutili”? Nemmeno quelle di ostaggi e di donne e bambini, a Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e altrove. Erano civili inermi e sono stati massacrati dai nazisti, vogliamo anche dire ch’è stato superfluo? Perché questo è uno dei sinonimi del lemma “inutile” e se non si vuol correre il rischio d’essere fraintesi, meglio adottare un altro aggettivo.
Non è affatto “bella” la morte del povero fante martirizzato dal gas sul Monte San Michele e ripreso in una rara immagine riprodotta a pagina 94 di questo volume. Impietoso lo stato del cadavere sulla pietraia carsica, la didascalia non risparmia particolari crudi sull’agonia del caduto.
Nella pagina accanto, soldati austroungarici posano impugnando le infami mazze ferrate, con cui finivano i gassati nelle trincee italiane. I nostri, nel riprendere tutte le posizioni già nel pomeriggio del 29 giugno 1916, non risparmiarono chi veniva trovato con quelle armi barbariche.
A pagina 122 si parla del caporale dei Bersaglieri Antonio Occhi, nato in una frazione di Ficarolo e morto ventitreenne in combattimento a Doberdò, lo stesso giorno, 6 agosto 1916, in cui è caduto un altro celebre fante piumato, Enrico Toti.
Un altro ficarolese è il soldato Massimo Marca, più anziano, classe 1884, ferito in un bombardamento a Dosso Fajti il 3 novembre 1916 e spirato poche ore dopo da prigioniero. Riposa dal 1923 con altri commilitoni nell’emiciclo orientale del cimitero di Ficarolo.
“Queste pagine diventano il loro vero monumento ai caduti”, osserva lo storico Nicola Persegati.

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