Le cause della nostra disfatta
- Autore: Alfred Krauss
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2014
“Alla fine hanno vinto i “meridionali”, generale Krauss”
Tutte le ragioni della sconfitta militare austriaca sul fronte alpino - carnico - carsico, nella guerra 15-18, puntualizzate da un tecnico, il generale Alfred Krauss. Nato a Zara ma di etnia tedesca. Cresciuto in Dalmazia, con una fiera avversione per tutto ciò che era italiano. Non si aspetti perciò di trovare una sola espressione nei confronti delle truppe grigioverdi, nel suo “Le cause della nostra disfatta”(Itinera Progetti, 2014), apparso già nel primo dopoguerra.
Se mancò la vittoria per le armate austroungariche, se l’obiettivo del collasso del nemico non venne raggiunto, fu a suo argomentare esclusivamente per colpe da ascrivere alla parte austriaca e all’alleato germanico. Non certo, quindi, per la tenacia dopo il disastro del 1917 e la ritrovata capacità militare degli italiani, i welschen i meridionali, come li chiamava con disprezzo. Combattenti deboli, vili, incapaci, sono i giudizi che riserva ai nostri, soldati o generali. Esseri inferiori - sembra di sentire Hitler – indegni di trovarsi a confronto coi signori della guerra, il popolo germanico, di cui Krauss si riteneva rappresentante e da cui si sentiva rappresentato.
Non a caso, le sue simpatie politiche andranno a favore del nazismo, sostenne l’Anschluss, l’unione dei tedeschi d’Austria e Germania, realizzata in avvio del 1938, poco prima della sua morte, il 29 settembre di quell’anno (era nato nel 1862). Avrebbe certamente esecrato l’alleanza italo-tedesca, il Patto d’Acciaio sottoscritto nel 1939, fanno notare i curatore della nuova edizione, Paolo Pozzato ed Enrico Pino.
Un testo utile il suo, in questa fase del centenario della Grande Guerra, per contenere con la sua durezza nei nostri confronti qualche scivolata retorica e certe esagerazioni di parte italiana. La sua avversione aprioristica e radicata ha il pregio di riportare coi piedi per terra qualche apologia ingiustificata. Ma se gli italiani in quella guerra non furono i primi della classe per eroismo, nemmeno risultarono così inabili come il generale li descrive. Non si spiegherebbe altrimenti il miracolo della resistenza al Piave e poi della vittoria, a un anno esatto dalla rotta di Caporetto, conseguite da un Comando Supremo rinnovato in Diaz, che assistito dai sottocapi Badoglio e Giardino fece tesoro degli errori di Cadorna, uomo troppo solo al comando.
Alfred Krauss analizza peraltro l’intera campagna di guerra austriaca avendo, da alto ufficiale assunto il comando in Serbia, poi in Italia sul fronte carnico e in Ucraina nell’ultimo anno del conflitto. Tutti teatri di guerra ricostruiti nel saggio.
Colpisce, nella sua analisi, l’insistenza sul mancato concorso di una ferma voglia di vincere, come se una volontà superiore – concetto molto mussoliniano, se vogliamo – potesse cancellare il blocco commerciale che strangolava gli Imperi centrali, con le popolazioni alla fame e gli stessi eserciti costretti a ridurre l’apporto calorico ai combattenti. E come se l’intervento della potenza industriale americana nel conflitto non avrebbe comunque fatto pendere la bilancia dalla parte anglo-francese-italiana.
Il supremo concorso di una volontà di ferro, univoca, di politica, esercito e popolo avrebbe forse consentito di riportare qualche ulteriore successo e di prolungare la guerra – aggravando perdite e disastri per tutti i contendenti – ma senza cambiare l’esito finale: “Una guerra perduta!” La frase con la quale il generale apre il suo lavoro. “Quale tragedia in quelle tre parole”, scrive, inconsolabile.
Conclude:
“Il popolo tedesco è stato sconfitto nella lotta titanica. È caduto vittima della propria debolezza politica dopo una grande prova militare”
Osserva ironicamente:
“La guerra mondiale doveva esser assolutamente conclusa vittoriosamente dalle Potenze centrali. Solo l’abilità dei suoi leader è riuscita alla fine a far cadere in grembo all’Intesa la palma della vittoria.”
Peccato per lui che qualche milione di quei meridionali, in gran parte fanti contadini, sia pure spesso mal condotti, gli ha impartito una lezione di tenacia dei semplici, di ostinazione, che il prode generale non ha mai compreso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le cause della nostra disfatta
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