Latino offre in matrimonio Lavinia a Enea di Giambattista Tiepolo, presso il Statens Museum for Kunst di Copenaghen.
Chi è Lavinia? Un nome per sempre legato al mito. Si tratta di una figura chiave nell’Eneide di Virgilio: è lei, infatti, la sposa di Enea, la vergine figlia del re dei Latini che permetterà all’eroe di compiere il suo destino sancendo la gloria senza fine di Roma. Il ruolo di Lavinia è determinato dagli dei; questa giovane donna non è che una pedina giocata sulla scacchiera del fato. Figlia di Latino e Amata, la giovane è segnata da una profezia oracolare che la predice sposa di uno straniero.
L’iconografia più ricorrente su Lavinia - ciò che ci permette di darle un volto - è legata a un quadro del Tiepolo dal titolo Latino offre sua figlia Lavinia in matrimonio a Enea, risalente al 1752-1754. Lei appare altera, in primo piano, ma con lo sguardo abbassato su Enea, suo futuro sposo: noi non le vediamo gli occhi, presentandosi Lavinia si nasconde, è presente e assente al contempo.
Questa donna nella letteratura classica prima e nella raffigurazione pittorica successivamente ci viene presentata come un dono, un’offerta, una sorta di sacrificio votivo: la verginità di Lavinia viene venduta per certificare un patto, l’alleanza tra i troiani e i latini, suggellato col sangue.
A differenza di Didone - la vera eroina tragica dell’Eneide - Lavinia non agisce dotata di propria volontà, anzi, noi nemmeno conosciamo i suoi pensieri, in quanto lei è come creta modellata dalle mani altrui. Il mito e l’iconografia di Lavinia parlano al presente con l’urgenza delle cose che devono essere rivendicate: quando leggiamo la storia di Enea, dell’eroe di Troia, consideriamo mai il sacrificio di Lavinia?
Chi era davvero questa “donna muta”, che passa silenziosa attraverso le vicende della storia? Questa donna che scompare nell’ombra dell’eroe? Di lei ci narra anche lo storico Tito Livio in Ab Urbe Condita, ma è l’epica di Virgilio a fondare il suo mito.
Alla sua vicenda, esemplare nella narrazione virgiliana, oggi forse potremmo dare un significato diverso.
Lavinia: la vergine sposa narrata da Virgilio
Virgilio nell’Eneide ci presenta Lavinia attraverso quella che sarà la sua caratteristica distintiva: il rossore virginale.
Come quando si colora la rossa porpora con avorio indiano,
o come il rosseggiare di puri gigli, insieme
a tante rose, questi colori la vergine mostrava nel volto.
Il grande poeta latino ci presenta Lavinia come un “rossore senza parole”, esprimendo così il suo pudore, che è ciò che sin da subito la caratterizza. La vita della giovane figlia di Latino era proceduta senza scosse sino a quel momento: come tutte le ragazze di buona famiglia, Lavinia, aveva già un pretendente designato, nel suo caso si trattava di Turno, re dei Rutuli, il più nobile dei pretendenti. Ma l’arrivo di Enea, l’esule di Troia, sconvolge i piani e avvera la profezia dell’oracolo. Il matrimonio tra Enea e Lavinia, voluto dal Fato, stabilirà l’alleanza tra i popoli e spianerà il terreno alla futura gloria di Roma e all’eternità del suo impero: i troiani infatti fonderanno una città che avrà il nome di Lavinium, in onore della futura sposa di Enea.
Il fatto sorprendente, immagino soprattutto per le lettrici contemporanee, è che, sebbene questa sia la sua storia, Lavinia non agisce: il suo destino è determinato dalle parole di altri, la profezia del dio italico Fauno prima, la volontà del padre poi e, infine, dallo sposo. Lavinia incarna la profezia avverata: il suo arrivo ci viene preannunciato sin dal principio dell’Eneide attraverso le parole di Creusa, la prima moglie di Enea, che divenuta ombra nel regno degli Inferi dice al marito che avrà una moglie di “stirpe regia”.
Quando Lavinia finalmente compare come presenza, nel poema virgiliano, porta su di sé tutto il peso delle attese e delle precedenti profezie: lei è la moglie promessa, dunque deve essere degna del suo ruolo, per questo motivo Virgilio la presenta “pura e casta” con le gote infiammate da un rossore virginale. Dunque Lavinia non ha una vera identità, poiché il suo personaggio incarna una precisa funzione: sin dal suo primo apparire la donna è schiava - o, in un certo senso, subordinata - del suo futuro ruolo di moglie. La sua stessa fisicità è subordinata a quel ruolo, deve avere i requisiti necessari a essere una buona moglie secondo i canoni dell’antichità romana.
La sua apparizione è accompagnata da epiteti che ricalcano formule rituali incise sulle lapidi o le iscrizioni funerarie delle matrone romane:
Sola serbava la casa e simili sedi una figlia
per un marito matura, compiuta l’età per sposarsi.
Lavinia, la vergine (Virgilio subito la definisce secondo questo attributo necessario al compiersi del suo destino di sposa, Ndr) viene raffigurata al fianco del padre che è pronto a cederla al futuro marito. Ma è proprio qui che accade l’imprevisto: la seconda profezia. Lavinia sembra “prendere fuoco nei lunghi capelli”: quelle fiamme che la avvolgono sono metafora della guerra e della distruzione incombente. Ancora una volta Lavinia annuncia un destino: la grande guerra cui condannava il suo popolo.
In seguito, mentre la città sarà in fiamme e la tensione aumenta a causa della guerra con i Vulturi, Lavinia, che pure ne è la causa, continua a comportarsi come donna e figlia modello. Solo in un istante lascia intravedere i suoi sentimenti, venendo meno alla passività che denota il suo personaggio, Lavinia piange:
Lavinia accolse le parole della madre inondando di lacrime
le gote accese e un intenso rossore fuoco le aggiunse.
L’unica azione di Lavinia è data dal pianto, che sempre è connotato dal rossore che le infiamma le gote di pudore.
Il suo nome in seguito appare pronunciato da Enea, prima del duello contro Turno, sotto forma di preghiera:
E Lavinia alla città darà il nome.
Il destino di Lavinia è compiere la volontà degli altri: non apparirà mai più nell’Eneide come presenza che agisce, saranno sempre le parole altrui a determinare le sue azioni, nonostante il ruolo determinante del suo personaggio. È stato calcolato che, in tutta l’Eneide, Lavinia viene menzionata appena undici volte.
Lavinia nei “Fasti” di Ovidio
L’individualità di Lavinia sarà riscattata, in parte, nei Fasti di Ovidio, in cui per la prima volta emergono i sentimenti della giovane. Anche Ovidio non tradisce l’eredità virgiliana e raffigura Lavinia come un personaggio muto; la differenza, tuttavia, è che nei versi ovidiani il silenzio di Lavinia appare carico di significato.
Ovidio esprime la gelosia di Lavinia nei confronti di Anna, la sorella di Didone, con cui la donna sospetta che Enea intrecci una relazione adultera.
Nella parabola ovidiana, Lavinia sveste i panni della vergine per indossare quelli della moglie tradita che arde di passione e ira, un’iconografia del resto molto cara al poeta latino. La nuova versione del personaggio proposta da Ovidio fa di Lavinia una dissimulatrice “che promette ma tace”: e proprio nel silenzio si compie il suo maleficio.
Lavinia gliel promette, ma tace celando nel cuore
l’ingiusta gelosia e dissimula e freme.
Quando sotto i suoi occhi vede che pòrtanle molti
doni palesi, crede che molti sian nascosti.
Che debba fare, ancora non ha risolto, ma l’odia
follemente e l’insidia né vuol morire inulta.
Il silenzio di Lavinia appare carico di sentimenti - perlopiù negativi - e di conseguenze.
Lavinia nell’Inferno di Dante
Il suo personaggio ritorna, significativamente, nella Divina Commedia, il libro scritto da colui che vide in Virgilio il suo “maestro e il suo autore”. Nella Commedia, Dante pone Lavinia nel Limbo, insieme al padre Latino.
Siamo nel IV Canto dell’Inferno e Dante e il suo accompagnatore Virgilio fanno il loro ingresso nel Castello degli Spiriti Magni, un nobile maniero circondato da sette mura e cinto da un fiume. All’interno il Sommo Poeta può scorgere spiriti dall’aria autorevole e dallo sguardo fiero, tra di essi c’è anche Lavinia.
Dante, che considera Virgilio la massima autorità letteraria, rispetta il suo volere e riprende le descrizioni realizzate dal suo maestro nell’Eneide.
Dunque neppure nella Divina Commedia il personaggio di Lavinia viene riscattato dal suo destino di passività.
Non è colpevole né innocente; è presenza muta incarnata in un corpo, il suo eterno riposo non può che compiersi nel Limbo, l’ultimo estremo confine della voragine infernale dove risiedono i pagani virtuosi e i non battezzati.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Lavinia, la sposa di Enea narrata da Virgilio
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