La vita davanti a sé
- Autore: Romain Gary
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
Lo scrittore Massimo Vitali partecipa alla nostra iniziativa "Uno scrittore ci racconta un libro", presentandoci quest’opera di Romain Gary.
Quando passi la tua vita di lettore ad incrociarla, capita spesso di ignorare quella frase abusata da ogni editore, per ogni libro, di ogni epoca - ovvero quel tormentone che parte da “un romanzo”, fa scalo a “toccato dalla grazia”, e termina in “un capolavoro”.
Eppure qui la grazia da capolavoro è davvero reale, ed è quella toccata da Romain Gary, scrittore lituano vissuto in Francia, vincitore nel 1956 del premio Goncourt con "Le radici del cielo", replicato nel 1975 con l’oggetto di questa recensione. Per La vita davanti a sé, però, non ritirò alcun premio poiché lo aveva scritto sotto lo pseudonimo di Émile Ajar, un giovane definito dalla critica “il più promettente romanziere degli anni settanta”, mentre Romain Gary veniva già additato come uno scrittore senza più nulla da dire: i paradossi della critica.
I paradossi della vita: cinque anni dopo quel premio goduto in solitaria, Romain Gary indossa una vestaglia di seta rossa e si spara un colpo in testa.
Accanto a lui lascia una chiazza dello stesso colore della vestaglia e un biglietto: Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove. Jean Seberg era l’attrice americana che aveva sposato nel 1962, divorziato nel 1979, e che un anno prima lo aveva anticipato decidendo di farsi trovare in macchina ubriaca, nuda, senza neanche una vestaglia e meno ancora fiato in corpo.
Lo stesso fiato che si perde a leggere La vita davanti a sé, il romanzo narrato in prima persona da Momò, un ragazzino algerino di dieci anni che negli anni ’40 abita a Belleville, al sesto piano di un caseggiato senza ascensore ma con altri piccoli arabi, ebrei, neri che come Momò condividono lo stesso tratto di scale da fare a piedi, oltre al destino di essere “nati di traverso”, ovvero nati da madri, come Madame Rosa, che fanno il mestiere più antico del mondo. Madame Rosa, un’ebrea polacca scampata al terrore di Auschwitz, il mestiere più antico del mondo non lo faceva più perché oltre che grassa era antica anche lei, ma gestiva quella pensione clandestina con passione e protezione, la maggior parte dedicata, ricambiata, al piccolo Momò: un legame ancora più forte di quello materno, un affetto profondo vissuto nel reciproco e continuo timore di perdersi a causa delle leggi della natura o quelle di Francia, fino a quando… fino a quando ve lo andate a leggere da soli perché non è che vi possa dire tutto io.
A volte si dice che un romanzo è “tirato via”. In questo caso il romanzo è tirato via nel senso che mentre lo leggi succede che te lo mangi, te lo bevi, te lo abbracci, a un certo punto provi anche a dargli un bacino, ma poi lo devi tirare via, altrimenti è capace che piangi.
Piangi perché quando trovi uno scrittore con addosso la rara capacità di mettersi nei panni dei suoi personaggi fino a creare un’identità propria, tangibile, fatta di un linguaggio unico e sovversivo – quello stile orale usato da Momò, preso e raccolto dai margini delle strade popolate da travestiti, venditori di tappeti, baristi, protettori, dottori che lui assorbe come una spugna, dimostrando a seconda dei casi di avere trentadue, quattordici, novantasei anni – proprio come se a parlare ci fosse uno davanti a noi che le parole te le fa respirare fino a sentirne l’odore, fino ad aprire uno squarcio di realtà tra le pagine scritte, succede che se uno non si commuove subito è perché ha letto la versione originale e non sa il francese, oppure perché non ha più vita davanti a sé (e allora se è già morto cosa legge a fare?)...
Io dico che è bene cercare, prima che sia troppo tardi, di leggere questo romanzo toccato dalla grazia e da chiunque lo vorrà toccare senza il timore di restare fulminato al primo colpo.
L’autore di questa recensione
A Massimo Vitali tagliano l’ombelico a Bologna nel 1978. Lavora come pungiball all’ufficio reclami di una multinazionale svedese che non è l’Ikea. Come diversivo insegna nuoto in una piscina dove è possibile coltivare i funghi. Nel 2009 vince il premio Subway Letteratura e nel 2010 pubblica con Fernandel il romanzo "L’amore non si dice". È presente con un racconto nell’antologia “30 secondi di universo” (Marcos y Marcos editore). Sebbene passi gran parte del suo tempo fra le nuvole, questo non vuol dire che sia sceso con l’ultima pioggia.
La vita davanti a sé
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LA VITA DAVANTI A SE
Ci sono libri che vorresti non finissero mai,libri al termine dei quali ti ritrovi a fare delle riflessioni su cio’ che hai letto, sui concetti che ti hanno emozionato,colpito e soprattutto arricchito. Questo romanzo finito gia da qualche giorno mi è rimasto dentro come pochi fin’ora.Penso a Momo’,alle sue congetture,alla sua saggezza,alla sua spontaneita’ e profondita’.Alla sua bonta d’animo e al contempo alla sua astuzia nel sapersi difendere dalla crudezza della vita.Momo’ è un giovane arabo allevato da un ex prostituta in un quartiere di Parigi,Belville,nel dopoguerra.Periferia piena di razze colori,lingue e religioni,ma in cui regna degrado e miseria. il linguaggio disarmante del bambino,il suo buonsenso,il suo atteggiamento sempre positivo ed ottimista del mondo nonostante il disagio e gli stenti in cui vive,non possono lasciare indifferente il lettore che trovera’ in questo bambino la delicatezza e la trasparenza tipici dell’infanzia. I suoi pensieri faranno sorridere,commuovere,emozionare perche’ raccontati in modo semplice e senza pregiudizi.Il punto di vista di un bambino è sempre interessante,soprattutto un bambino che vive in condizioni terribili;un bambino che non si compiange e cerca di salvarsi aggrappandosi disperatamente a quanto di buono la vita gli offre. Un romanzo delizioso,drammatico,ironico,ricco,indimenticabile!Lo sguardo di un bambino sull’umanita’che lo circonda,la sua fame d’amore e il suo grande interrogativo che rivolge spesso al suo amico venditore di tappeti:”si puo vivere senza amore?”naturalmente la risposta e’ no. Questo libro è un capolavoro ,struggente e trascinante fino all’ultima parola.“Ho aperto per il signor Charmette la scatola di cioccolatini che ci aveva regato Madame Lola,ma lui non ne ha presi perché aveva degli organi che gli proibivano lo zucchero.alla fine se ne è sceso al secondo piano e la sua visita non ha sistemato assolutamente niente.Madame Rosa vedeva che la gente diventava sempre più gentile con lei e non è mai un buon segno."LA VITA DAVANTI A SE.”
.. .. a volte capita d’imbatterti in un romanzo che ti si infila dentro come una spina, e comincia a circolare come il midollo che già sai di averci dentro dentro, come il sogno che non ti abbandona al risveglio, come la fragilità dei sentimenti, quelli forti che spesso appartengono alla strada.. e allora cerchi di confrontarti con chi lo ha letto già, come per trovare la forza del distacco, altrimenti ci stai lì che fa quasi male, che è vita, che è amore, e ti innamori di Momò, che è esistenza .. dieci anni nella Belleville degli anni 60 e di tutti quelli che in qualche modo lo amano, a modo loro.. e allora a modo tuo trovi una recensione così, e non sei l’unica no .. e una volta ancora la letteratura, quella ’toccata dalla grazia’ ti tocca, e lo fa con una grazia che proprio non è roba da tutti i giorni, no, e .. e .. allora è come se.. è .. Momò ..