La società esiste di Giorgia Serughetti

Il titolo apparentemente un po’ bizzarro del libro, La società esiste (Laterza, 2023), trova nel primo capitolo “La società è morta, viva la società” solo un inizio di contestazione.

Penso che la crisi del Coronavirus abbia già dimostrato una cosa, che la società esiste davvero.

È un Boris Johnson - ex primo ministro britannico- pallido, costretto in auto isolamento per l’infezione da Covid-19, quello che in un video del 29 marzo 2020 nel pieno della prima ondata della pandemia rovescia la celebre affermazione di Margaret Thatcher secondo cui “La società non esiste”.
Ma è tutto il libro di Giorgia Serughetti che costituisce una vivace contestazione di quell’assunto.
È opinione diffusa che la crisi del 2007-2008 è stata l’inizio della fase calante del neoliberismo e la politica di austerità degli anni Dieci di questo secolo sarebbe un sorta di canto del cigno dell’ideologia neoliberista.
Secondo l’autrice anche il fenomeno delle dimissioni di massa dal lavoro richiede di essere considerato come forma di resistenza allo sfruttamento.
Si può fare un accostamento tra il pensiero di Serughetti e quello di Hannah Harendt in Vita activa.
Non è qualcosa di episodico, come attestano le varie citazioni che si riscontrano.
Nell’economia dell’opera assumono un particolare rilievo i capitoli terzo “La politica senza società” e quarto “Insorgenze radicali”.

Secondo Serughetti i rischi di frammentazione del femminismo e dei movimenti di liberazione sessuale (LGBTQ) comportano:

La necessità di combinare battaglie caratteristiche delle donne con obbiettivi più vasti di trasformazione del sistema economico e sociale, in un movimento internazionale al tempo stesso femminista, anti-razzista, anti-imperialista, anti-eterosessista e anti-neoliberista.

Il concetto chiave intorno a cui si costruiscono le visioni e le piattaforme di attivismo dei nuovi movimenti femministi è la cosiddetta “intersezionalità”.
La parola nasce non solo dal bisogno di nominare l’intreccio tra molteplici “diversità”, ma soprattutto di trovare un nome alle condizioni di oppressione multipla dei soggetti che subiscono gli effetti simultanei di varie strutture di potere.
Le forze politiche di destra rispondono dunque al desiderio di cambiamento radicale che nasce dalla “policrisi” del presente.
Si parla di «policrisi» per indicare la situazione in cui numerose grandi crisi - sanitaria, economica, climatica, bellica, politica - si intrecciano e si amplificano l’una con l’altra. La nozione, già introdotta dal sociologo francese Edgar Morin, è stata rilanciata nel frangente della pandemia dallo storico Adam Tooze.
Ma la meta che indicano le forze politiche conservatrici non è nel futuro, è piuttosto in un sistema di simboli inteso ad evocare la radice, la tradizione da conservare. È nella triade valoriale “dio, patria e famiglia” che rompe con l’idea di progresso, con la forza che ha sostenuto nell’ultimo secolo i progetti di emancipazione dalla disuguaglianza e dall’oppressione.

Nella prospettiva della destra gli avanzamenti sul terreno dei diritti delle donne, delle persone LGBTQ, delle minoranze non sono conquiste ma eccessi da rimuovere per consentire la rifondazione di un ordine che ha radice in una presunta «natura», in ciò che è senza tempo: nella famiglia «naturale»; nella patria come grande famiglia (vedi pagina 162).

L’ultimo paragrafo, “Il futuro è adesso”, mappa, come del resto tutto il libro, le visioni che animano la speranza, intesa come capacità di agire, che diventa potenziale di trasformazione. E ciò richiede tre condizioni: l’idea che la società esiste come prodotto dell’agire umano; l’idea che il progresso sia possibile; e il rifiuto del fatalismo.
Ma occorre anche che ci siano attori/attrici capaci di fare della speranza un motore politico del cambiamento.