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Storia della letteratura

La patente: riassunto e analisi della novella di Pirandello

Apparsa per la prima volta sul "Corriere della Sera" nell'agosto 1911 e successivamente confluita nelle Novelle per un anno, La patente è incentrata su un tema cardine del pensiero pirandelliano: la riflessione sulle maschere che la società ci impone.

Eleonora Daniel
Eleonora Daniel Pubblicato il 08-06-2020
La patente: riassunto e analisi della novella di Pirandello

La patente è una novella di Luigi Pirandello, pubblicata per la prima volta sul "Corriere della Sera" il 9 agosto 1911 e in seguito confluita nelle Novelle per un anno.
Sei anni dopo Pirandello riadattò la novella nella commedia a un atto in dialetto siciliano dal titolo ’A patenti. Nel 1954, insieme a La giara, Il ventaglino e Marsina stretta, La patente ebbe una trasposizione cinematografica, interpretata da Totò, all’interno del film a episodi Questa è la vita.
La novella, caratterizzata da un umorismo dolente e pessimistico, è incentrata su un tema cardine del pensiero pirandelliano: la maschera che la società impone all’identità di ciascuno di noi.
Di cosa parla? Eccone riassunto e analisi.

La patente: riassunto della novella

La patente si apre con la descrizione di uno dei suoi due protagonisti: il giudice D’Andrea. È un uomo magro, un "ragnetto smarrito", sconvolto dalla vita, pronto a perdersi la notte in riflessioni; integerrimo sul lavoro, sempre puntuale.
Proprio questa sua nota e inscalfibile puntualità sul lavoro viene messa a rischio da un caso particolare, quello di Rosario Chiàrchiaro. L’uomo, ex impiegato al banco dei pegni licenziato perché ritenuto portar iella, ha denunciato per diffamazione due ragazzi che al suo passaggio hanno fatto le corna.

D’Andrea è preoccupato: come aiutare l’uomo a vincere il processo se persino tutti gli avvocati e tutti i giudici sono convinti del suo essere uno iettatore? Lui certo non crede all’esistenza della sfortuna e vorrebbe a tutti i costi aiutare il suo cliente, che non solo ha perso il lavoro, ma deve mantenere una moglie paralitica e due figlie ormai condannate al nubilato.
La soluzione migliore gli sembra parlare con Chiàrchiaro e fargli ritirare la denuncia: dal processo non potrebbe venire nulla di buono, se non una conferma esibita della sua condanna a portatore di iella.

Il caso, però, si rivela presto paradossale: Chiàrchiaro, raggiunto l’uomo nel suo studio, spiega che non ha citato in giudizio i due ragazzi per scrollarsi finalmente di dosso la stigma di iettatore, ma per poterla rivendicare legalmente con un riconoscimento ufficiale, una patente (il titolo della novella deriva proprio da questo).
Rosario Chiàrchiaro ha infatti capito che non c’è modo di disfarsi del ruolo che ormai gli ha imposto la società. Tutto ciò che può fare, piuttosto, è fare in modo di far fruttare quel ruolo, iniziando a esercitare ufficialmente la professione di iettatore.
D’Andrea, spaesato, non può che promettere di aiutarlo.

A questo primo finale la commedia del 1917 ne aggiunge un secondo, ancor più incisivo: non appena finito il dialogo tra i due, la finestra dell’ufficio si apre, urtando la gabbia con il cardellino e uccidendo il povero animale e l’episodio, subito attribuito alla presenza del Chiàrchiaro, spinge i giudici presenti a firmare ancora più in fretta la tanto attesa patente.

Analisi

La patente ruota attorno ad alcuni elementi fondamentali della poetica pirandelliana. In primo luogo, il tema cardine è la riflessione sul rapporto tra identità personale e maschera imposta dalla società, sul contrasto tra vita e forma. Anziché rendersi conto all’improvviso di essere stato costretto in una forma e di non aver mai vissuto realmente (come accade per esempio al protagonista della novella La carriola), però, Rosario Chiarchiaro sceglie di accettare la propria forma, impostagli dall’esterno, e di farla fruttare economicamente.

"Ma perché io voglio, signor giudice, un riconoscimento ufficiale della mia potenza, non capisce ancora? Voglio che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza spaventosa, che è ormai l’unico mio capitale!"

In questo l’uomo rivela uno spirito d’adattamento spietato, spinto da una sofferenza e da un odio indicibili.

"Perché, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo d’avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta una intera città!"

Entra qui in gioco un secondo elemento fondamentale della novella: l’umorismo pirandelliano nella Patente si manifesta nel suo aspetto più sofferente e pessimistico. Si avverte, come nel celebre esempio della "vecchia imbellettata", lo scarto tra avvertimento del contrario e sentimento del contrario, tra comico e umoristico. Il caso dello iettatore non è solo comicamente paradossale, ma apre infatti a una riflessione più profonda e dolorosa sia su cosa significhi essere condannato dalla società come portatore di sfortuna, sia su quanto ciascuno di noi sia condannato a ricoprire un ruolo impostogli.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La patente: riassunto e analisi della novella di Pirandello

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