La casa di mio padre
- Autore: Joseph O’ Connor
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
- Anno di pubblicazione: 2024
Guanda pubblica nella Collana “Narratori della Fenice”, il romanzo La casa di mio padre (2024, titolo originale My Father’s House, traduzione di Elisa Banfi) di Joseph O’Connor, nato a Dublino nel 1963, i cui libri sono tradotti in quaranta lingue, ispirato a persone ed eventi reali e alla straordinaria storia vera di Mons Hugh O’Flaherty (Cahersiveen, 28 febbraio 1898 – 30 ottobre 1963), presbitero irlandese, sacerdote cattolico romano.
Il capolavoro neorealista di Roberto Rossellini “Roma città aperta” (1945), descrive alla perfezione l’atmosfera di terrore, paura e anche rabbia che si respirava nell’Urbe dopo l’8 settembre ‘43, quando fuggiti gli esponenti di casa Savoia e le autorità civili, la città era rimasta in balia della ferocia degli occupanti nazisti, periodo che è stato uno dei più tragici e oscuri della sua storia. Quell’atmosfera di panico ma anche di attesa, speranza e fiducia nell’arrivo dei “Liberatori”, cioè le forze angloamericane, rivive in questo splendido romanzo, pieno di suspense e ricco di emozione.
“Nella pulsazione irregolare dell’insegna al neon di un bar, balenano le parole MORTE AL FASCISMO, che imbrattano una saracinesca”.
Primi mesi dell’inverno 1943. le forze tedesche occupano Roma. Il comandante della Gestapo, Obersturmbannführer Paul Hauptmann, governa la città con il terrore.
La fame è onnipresente. Le indiscrezioni si inseguono. L’esito del conflitto è tutt’altro che scontato. Diplomatici, profughi e soldati alleati evasi dai campi di prigionia rischiano la vita pur di trovare asilo in Vaticano. La Santa Sede è il più piccolo stato del mondo, neanche mezzo chilometro quadrato, neutrale e indipendente, nel centro di Roma.
Un improbabile gruppetto di amici, tra cui una giovane contessa, un edicolante romano e Delia Murphy, moglie di Thomas J. Kiernan ambasciatore irlandese presso la Santa Sede dal 1941 al 1945, affronta pericoli mortali.
Il gruppo di ardimentosi, che hanno come stella polare la convinzione che nella vita, in alcuni momenti nodali, come quello che stanno vivendo, non si può sempre restare a guardare, è guidato da un sacerdote coraggioso. Il suo nome è Hugh O’Flaherty ed è nato nella Contea di Cork in terra d’Irlanda.
Questo sacerdote impavido, sulle cui gesta è caduta parecchia polvere e che invece merita di essere ricordato, fu artefice della salvezza di circa 6.500 tra civili, militari e perseguitati ebrei, che fece rifugiare presso le residenze extraterritoriali vaticane e gli istituti religiosi durante l’occupazione nazista nel corso della Seconda guerra mondiale.
“Le campane di San Pietro rintoccano dolenti il mezzogiorno. Voci femminili cantano l’Angelus”.
L’autore, che nel 2012 ha ricevuto l’Irish PEN Award per la letteratura, ha il grande merito di aver tolto la polvere dalla figura di O’Flaherty, grazie a documenti inediti del monsignore (lettere, diari, appunti, telegrammi, scritti vari) scrivendo un romanzo che si legge come un thriller, perché nel ‘43/’44 le strade di Roma erano insidiose, dense di pericoli mortali. Delazioni, spiate, tradimenti, si finiva in carcere solo per aver pronunciato una frase considerata dal tono disfattista. Nonostante ciò, ci fu chi in questa cupa atmosfera, osò sfidare i nazisti.
Tutto aveva avuto inizio durante i primi anni della II Guerra Mondiale, quando O’Flaherty, ordinato sacerdote a Roma il 20 dicembre del 1925, aveva effettuato numerose visite presso i campi di prigionia presso i quali erano reclusi i prigionieri di guerra in Italia, tentando tra l’altro di raccogliere notizie su quanti erano stati dichiarati dispersi dai propri comandi. Man mano che il sacerdote li rintracciava nei campi italiani, utilizzava la Radio Vaticana per comunicare il loro ritrovamento e così far giungere una notizia rassicurante alle loro famiglie. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, migliaia di soldati alleati prigionieri di guerra, soprattutto inglesi furono rilasciati.
Alcuni di essi, ricordando la figura del sacerdote, che prestava loro assistenza nei campi, si recarono a cercarlo a Roma per ottenere assistenza, mentre altri, raggiunta la capitale italiana, si rivolsero all’ambasciata irlandese, l’unica con personale di lingua inglese rimasta aperta dopo lo scoppio della guerra.
Per la sua meritoria attività, svolta beffando l’intelligence militare tedesca, Mons Hugh O’Flaherty si meritò l’appellativo di “Primula Rossa del Vaticano” (nell’originale The Scarlet Pimpernel of the Vatican).
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