L’onda nera. Un caso siciliano per Libero Russo
- Autore: Davide Pappalardo
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Investigatore privato, un mestiere che sa tanto di film, di thriller, di narrativa poliziesca, si fa presto a immaginare un tipo con trench, Borsalino, due spalle così, l’aria vissuta e una sigaretta fumante all’angolo della bocca. Ma quello è il cliché del detective americano che non corrisponde affatto al protagonista del giallo L’onda nera. Un caso siciliano per Libero Russo (Pendragon edizioni, Bologna, marzo 2024, 278 pagine). Lo firma Davide Pappalardo, siciliano non ancora cinquantenne della provincia di Catania che vive e lavora a Bologna, autore di quattro romanzi e numerosi racconti.
Non potremmo mai confondere questo investigatore privato de noaltri con un Marlowe da antologia, commercial and private inquiry agent come li chiamano in Australia, ad esempio. Perché Russo non è affatto un detective da fiction, sebbene sostenga di conservare ancora gli attributi di uno tosto. Un duro, va bene, però con la schiena a pezzi, come non può non essere quella di un settantasettenne, per quanto ben messo, dopo decenni di professione investigativa tra Milano e l’Emilia, con l’aggiunta di una trentina d’anni di boxe in quel di Bologna.
Certo la Noble Art lo aiuta tuttora a superare momenti difficili, sfruttando il fattore sorpresa: chi potrebbe mai sospettare che l’anziano indifeso di cui sembra tanto facile avere ragione può metterti fuori gioco con qualche pugno ben diretto in men che non si dica? I prepotenti che non si aspettano i suoi ganci precisi sono condannati a subirli. Però sotto altri aspetti Libero Russo è vecchiotto, tanto da scambiare le cuffiette wireless dei giovani per apparecchi acustici. Amplificatori dell’udito nelle orecchie di ragazze e ragazzi? E poi sono troppo grandi rispetto ai mini auricolari per correggere la sordità. Si vede che quando hanno messo in commercio le cuffiette audio senza fili lui aveva altro da fare, seguire, pedinare, accertare.
A metà settembre, Libero porta a spasso per Bologna le settantasette e passa primavere, godendo una più o meno onorata pensione. Non si aspetta la calamità che gli cala addosso via telefono una volta rientrato nell’abitazione, al secondo piano di un vecchio stabile in via San Felice. È tutto quello che si può permettere pur di restare in centro: una camera con letto sfatto, un’Olivetti meccanica d’antiquariato sopra una scrivania anni Quaranta, un armadio a tre ante con qualche vestito alla rinfusa, cucinotto angusto, bagno ancora di più (lo sciacquone capriccioso funziona solo a botte). Freddo cane d’inverno, il riscaldamento è a singhiozzo. Caldo soffocante d’estate, il condizionatore manca. L’ascensore pure. In compenso, c’è tanta umidità.
Squilla il fisso di casa. “Pronto? Zio Libero?”. Non è zio, ma prozio, poi cosa vorrà mai Nab in ’sto tranquillo sabato sera di settembre? Non chiama da almeno un anno e l’ultima volta è stato per chiedere di procurargli non ricorda cosa in una biblioteca bolognese. Nab è Giuseppe, il secondo figlio del fratello. Sì, Giacomo ha voluto chiamare il primogenito Nabucco.
Scorrendo rapidissimamente l’albero genealogico dei Russo, Libero si lascia sfuggire qualche cenno sull’avvio della carriera da investigatore, povero di mezzi ma sorretto da grande inventiva. Aveva sgraffignato un distintivo al fratello Salvo e una pistola ad acqua a un bambino. La patacca l’aveva sventolata ogni tanto sotto il naso di qualche sprovveduto o brillo e l’arma giocattolo, appesantita con sabbia e verniciata di nero, l’esibiva qualche volta nel panciotto, quando serviva ostentare d’essere "accavallato".
Il nipote dice di avere bisogno del suo aiuto per risolvere un caso: è stata rubata la statua della Venere di Reitana, quella trovata per caso nel territorio tra Catania e Acireale negli anni Sessanta, custodita nell’area archeologica di Santa Venera al Pozzo, e gli è stata rubata sotto gli occhi, prelevata da un elicottero. Roba da film, da non crederci, ma è andata proprio così.
Nab, al secondo anno di archeologia, e la sorella teatrante Emma ritengono di poter fare affidamento sul mestiere del prozio, che in Sicilia c’è pure nato. Ma dall’altra parte della linea Libero fa di tutto per sottrarsi, dice di mancare da troppi decenni dall’isola, nega di conoscere qualcuno lì, contesta di avere qualcosa a che fare con quei posti, cerca di buttarla sul compassionevole e insiste d’essere tanto vecchio e malato. Tutto inutile: non demorde affatto un iper motivato Nab, pacifista fino al midollo, ma non tanto da tollerare supinamente un furto archeosacrilego. Assicura che gli faranno da guida lui ed Emma, sorella che paleserà più di una risorsa a cominciare dal praticare il Krav Maga, arte marziale israeliana di difesa personale. Per quanto si schernisca, Libero parte per la provincia di Catania. Alla fine dei conti questo investigatore resta un duro dal cuore tenero.
Abbiamo anticipato quanto possibile, è ora di andare a leggere.
Dimenticavo Nina, Maria, Paolo, Biagio, gli altri personaggi in cerca di una statua realizzata a suo tempo da un eccellente scultore. Formano una banda scalcinata insieme ai tre parenti investigatori, uno di professione, due improvvisati. Nina sta concludendo un dottorato di ricerca in produzione culturale. È gitana, fa presente Emma. Caminante, precisa l’autore. Una "zingarella", secondo Russo che è sempre sbrigativo. Poi c’è Maria, vedova settantenne, una vicina di casa affascinante e bomba sexy agli occhi di Libero. Non trascuriamo Paolo, “easy rider” che fa consegne per pizzerie e qualche negozio e Biagio, una specie di scemo del villaggio con la barba alla Fidel e una fissa per gli Abba. Lo mettono sotto tutti e non solo i Truzzi, la famiglia mafiosa con cui Libero e i lettori avranno tanto a che fare.
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