Pagine incalzanti e coinvolgenti, quelle che si sfogliano leggendo il romanzo di Joe R. Lansdale, In fondo alla palude (Einaudi, 2019, trad. di Andrea Mattacheo), che come per magia sanno catturare il lettore senza abbandonarlo mai, non solo grazie a uno stile scorrevole e diretto e a una prosa al contempo cruda e nostalgica, ma soprattutto attraverso una trama avvincente e significativa, capace di trasferire al meglio le forme e i colori, i suoni e i rumori, gli odori e i sapori, le luci e le ombre di un indimenticabile Texas orientale.
“In fondo alla palude”: trama e personaggi
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In fondo alla palude è un libro dove gli "umori" della natura - il clima umido, le tempeste di sabbia, le paludi, i boschi e i fiumi -, gli echi dell’intero creato fungono da sfondo, cornice e riflesso ai differenti umori e stati d’animo degli abitanti che vivono (e temono) un Texas inquietante, dalla feroce bellezza.
Una storia impregnata di dolore e sangue, quella che negli anni Trenta vede come protagonisti due fratellini, Harry e Thomasina - Tom -, alle prese con le prime, inaspettate e amare rivelazioni e delusioni ricevute dal mondo degli adulti. Sono tempi duri, complessi e terrificanti, che mettono al centro della storia tutte le difficoltà e le oppressioni derivanti dagli anni della Depressione e tutta l’oscurità e la morbosità insite nell’animo umano.
La forza di Lansdale risiede sempre nel saper donare tratteggi vividi e particolareggiati di personaggi indimenticabili - in questa storia, accanto ai due giovani protagonisti, anche il padre Jacob, barbiere in una piccola bottega, la nonna fiera e volitiva e ancora Mose, Miss Maggie e Miss Canerton, solo per citarne alcuni - e nel riuscire a instillare fra le righe piccole gocce di luce, brevi riflessioni sorrette da una fiducia e una speranza di fondo verso il Bene e il genere umano.
L’intervista a Joe R. Lansdale
Lansdale si racconta in questa mia intervista, come sempre senza filtri e con tutta l’umanità che lo contraddistingue.
Le notizie non viaggiavano come fanno adesso. Non allora. Non passavano per radio e sui giornali. Non nel Texas orientale. Le cose andavano diversamente. Quel che succedeva in un’altra contea restava in quella contea.
- Il suo romanzo è ambientato in un Texas suggestivo e rappresentativo. Ci racconti luci e ombre di questo contesto paesaggistico, cosa sente di salvare e cosa no.
Non so se la penso in questo modo. Elenco semplicemente luci e ombre perché i fondali dei fiumi sono pieni di ombre e luci, e questo è un modo sicuramente evocativo per raccontare una storia. È rappresentativo del Texas orientale, che è diverso dal resto del Texas a causa della presenza degli alberi e di molta acqua. Sono cresciuto vicino ai fondali di un fiume, quindi è anche perché è ciò che conosco in prima persona, almeno da quando ero più giovane.
- Ritiene che la Natura invii segnali diretti o messaggi subliminali all’essere umano, che esista un dialogo tra loro due, un linguaggio segreto ma in qualche modo rivelatore?
Non saprei, ma penso che rispondiamo alla natura, a come appare, a come si sente. Il caldo, il freddo, la pioggia e le tempeste di vento sono tutti parte di noi, nel senso che sentiamo queste cose dentro, metaforicamente e fisicamente. Ho un forte legame con il tempo e l’ambiente circostante. Penso che quest’ultimo ci formi e ci fornisca diversi punti di riferimento.
Nonna disse: - Mi piace l’odore che viene dal terreno. Mi piace soprattutto quando sa di pioggia che sta per cadere. C’è qualcosa nella pioggia che sta per arrivare che dà alla terra un odore meraviglioso. Ecco cos’altro non quadra nel Texas del Nord. Il terreno, umido o secco che sia, non odora mai di buono.
- La storia narrata si avvale di un contesto storico e socio-economico piuttosto complesso e delicato, quello degli anni della Depressione. Quale "retaggio" particolare ha lasciato agli americani? Quali effetti e riflessi, visioni e insegnamenti hanno permeato a quel tempo le loro coscienze e anime?
I miei genitori sono cresciuti durante la Grande Depressione degli anni Trenta, così come molti dei miei parenti e alcuni dei loro amici. Ho sentito raccontare storie su quel periodo per tutta la vita, oltre ad aver letto libri a riguardo. Steinbeck era il migliore, a mio avviso, anche se ce n’erano altri. In un certo senso, il Texas orientale non è cambiato molto fino agli anni Sessanta, non radicalmente fino alla fine degli anni Settanta. Mi nutrivo delle esperienze dei miei famigliari e di alcune vissute personalmente, tutte sulle quali fare affidamento per la storia. Il razzismo ha fatto parte della vita per molti anni.
- Con una forte presa di coscienza affronta temi importanti e delicati a lei tanto cari, quali il razzismo e la discriminazione, sempre così attuali. Quanto è importante per lei sviscerare ogni volta le dinamiche intrinseche, per dare voce all’eterno conflitto bianchi contro neri? Quali sentimenti prova quando sceglie di parlarne nei suoi libri?
Molto è cambiato negli ultimi anni e in meglio. Il razzismo esiste, ma non c’è niente di simile a quello di una volta. In effetti, è fortunatamente l’ombra di se stesso.
Quando ero piccolo, una persona di colore non poteva andare nei ristoranti o nei caffè di proprietà dei bianchi, aveva fontane d’acqua e bagni separati e se ne avevano uno c’erano tutti i tipi di restrizioni. Era come la schiavitù con l’etichetta di libertà, ma non la sua realtà. Ci è voluto molto tempo perché le cose cambiassero, ma adesso è comune vedere bianchi e neri insieme, persone di colore con un buon lavoro e una buona carriera. E di questo sono felice. Stiamo iniziando a superarlo più profondamente. È finita? No. Ma è notevolmente migliorato. Questo sì.
La scatenavano le cose più insignificanti. Mi bastava vedere una corda, o un tipo particolare di ramo di quercia o anche il sole che filtrava attraverso le foglie in un certo modo.
Ancora adesso ogni tanto mi si para all’improvviso davanti agli occhi, come se fosse successo ieri.
- La violenza sulle donne, rappresentata nel suo romanzo da una serie di omicidi perpetrati con le stesse modalità, è un’altra tematica purtroppo attuale, dal forte impatto emotivo. Perché secondo lei questa realtà attraversa il corso della Storia, plasmando e determinando i destini di molte persone? Ritiene sia un male insanabile, per il quale non c’è rimedio, una cura? Esistono mezzi, strumenti per prevenirlo?
Certi crimini e pregiudizi esisteranno sempre, ma è nostro compito e dovere sradicarli il più possibile. Slogan e striscioni non bastano. Le azioni lo faranno e la consapevolezza di come le persone si trattano vicendevolmente. Mi rendo conto quanto sia più idealistico che realistico, ma gradualmente attraverso la pratica possiamo migliorarlo. E l’abbiamo già fatto in parte. Ma non sono mai stata Pollyanna al riguardo...
Molte delle persone che conoscevo si erano rivelate inquietanti e feroci.
- Il rapporto genitore-figlio, rappresentato dal padre Jacob e dall’undicenne Harry - quest’ultimo voce narrante del libro, all’età di ottant’anni -, è un tema indubbiamente centrale su cui riversa i suoi pensieri e sentimenti più intimi, profondi. Ci racconti il loro legame, quali sono i punti di forza che lo contraddistinguono e quali messaggi ha voluto veicolare attraverso il tratteggio di questi due personaggi.
Siamo numerosi di famiglia, e anche molto uniti. Abbiamo le nostre differenze e i nostri litigi, questo è vero, ma sappiamo che siamo qui l’uno per l’altro. La famiglia è come l’acciaio saldato alla mia vita di tutti i giorni e penso che questo valga anche per i nostri figli. È ciò che ci ha reso felici, ben disposti e produttivi.
- Cosa le ha insegnato e regalato la scrittura nel corso della vita? Sente di aver riversato su carta tutto il suo mondo interiore oppure esiste ancora qualche aspetto o tema che vorrebbe esplorare meglio, magari a lei sconosciuto o comunque poco conosciuto?
Ho avuto molto più successo di quanto mi aspettassi. Volevo farlo solo per vivere, per guadagnarmi da vivere, ma mi piaceva così tanto che in un certo senso tutto ciò ha avuto il sopravvento. Le mie ambizioni sono cambiate e il mio successo è stato molto più grande di quanto mi aspettassi. Mi ha portato in giro per il mondo, permettendomi di incontrare molte persone, davvero uniche, oltre a concedermi molta libertà personale giorno per giorno.
- Crede che la cultura possa essere sempre e comunque un baluardo, un mezzo per conoscere, interpretare e migliorare il mondo? Ritiene che la letteratura al giorno d’oggi presenti, mi conceda il termine, "difetti di fabbrica", una sorta di lacune, di zone d’ombra?
Penso che la cultura sia importante, ma non dovrebbe prevalere sul buon senso. Solo perché qualcosa è culturale non significa che sia buono. Chiedete loro quali sono le mogli e le figlie dei talebani. È una buona esistenza? Fa parte della loro cultura, ma non è una dimensione felice per le donne. Non vedo perché nemmeno gli uomini dovrebbero apprezzarlo.
Provo la stessa cosa riguardo alla nostra cultura in altri modi. Solo perché la sua consuetudine non lo rende buono o cattivo. È ciò che l’usanza fa alle persone. Se si tratta solo di mangiare tacchino il giorno del Ringraziamento, quella è una cosa; essere costretti a vestirsi e a comportarsi in un certo modo per paura di ritorsioni, allora è un’altra cosa.
- Ci sveli il libro dove ha riscontrato maggiori perplessità, difficoltà durante la scrittura, e se esiste un personaggio specifico a cui è più legato, affezionato e perché.
Il libro appena uscito, che è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Mi piace quando ciò succede, e ammetto che accade la maggior parte delle volte. Ho sempre in serbo storie da raccontare e di getto le racconto. Di tanto in tanto, c’è sicuramente qualcosa di difficile. Affrontare quell’epoca, il modo in cui le persone pensavano e agivano al loro peggio è stata la parte più difficoltosa. Avere a che fare con persone di quell’epoca, che sono state in grado di uscire dagli aspetti negativi del loro tempo e della loro cultura, è stata la parte più soddisfacente della scrittura.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Joe R. Lansdale, in libreria con “In fondo alla palude”
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