

Giornalista, scrittore e traduttore italiano, nonché vicecaporedattore del Tg2000 e curatore delle rubriche culturali della testata giornalistica dell’emittente satellitare TV2000, all’interno della quale da anni conduce diversi format come Terza Pagina, Saverio Simonelli è recentemente tornato in libreria con il romanzo L’infinito non basta (Città Nuova Edizioni, 2025), sequel del magnetico romanzo d’esordio Cercando Beethoven (Fazi, 2020).
“L’infinito non basta”: trama del romanzo
Le suggestioni e le atmosfere che caratterizzano la coinvolgente narrativa di Simonelli, già assaporate nel precedente romanzo, possiamo riscoprirle in tutta la loro particolare essenza e valenza anche in questo meraviglioso libro, la cui poetica intimista e delicata, strettamente connessa alla cultura musicale, costituisce un’interessante e mai banale chiave di lettura per indagare in profondità l’animo umano.


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Se il suo primo romanzo ha sapientemente proposto una storia che merita di essere letta, incentrata sul potere salvifico della musica e sulla sua grande capacità di avvicinare e unire le persone, L’infinito non basta riprende gli stessi echi e rimandi, intesse le stesse atmosfere, sviscerando tematiche universali tanto care al lettore, portandolo a esplorare varie sfaccettature e similitudini, nonostante venga catapultato in un mondo apparentemente lontano e diverso, eppure così misterioso e affascinante.
Per cui, tanto il lettore neofita quanto l’amante di questo genere non potrà restarne deluso, una volta lette le pagine di una storia avvincente dal sapore agrodolce, che sa emozionare e suscitare profonde e inevitabili riflessioni.
In questa piacevole intervista, Simonelli si racconta da vicino, senza filtri, rivelando ancora una volta come la sua "penna" sia stata in grado di omaggiare al meglio il mondo della musica e l’indimenticabile sensibilità del Romanticismo tedesco, di cui è profondo e appassionato conoscitore.
[…] prima o poi lo capirete anche voi, Herman, accade nella realtà e non è solo prerogativa di una fiaba. Esiste una trama della vita e non c’è bisogno di farsi continuamente domande sul tessitore.
L’intervista a Saverio Simonelli
- Come nasce l’idea di avvalersi della “voce” del noto scrittore tedesco, Herman Grimm?
Herman Grimm è stato un grande scrittore, uno storico dell’arte, uno studioso appassionato di Roma e della Romanità. Oltre a quella di Goethe, ha scritto una biografia di Raffaello e una di Michelangelo, ambedue redatte durante i suoi frequenti soggiorni romani. Nel mio caso, mi attirava l’idea di farne un emulo di suo padre e suo zio nello scrivere una storia come fosse una fiaba.
- Quali aspetti e suggestioni incarna la figura del pianista ungherese Franz Liszt, altra figura-chiave del libro?
Lui è l’uomo di una creatività inesauribile, che nella vita vuole costantemente provare l’ebbrezza del nuovo e sorprendere chi gli è attorno. L’artista che cerca nell’infinito un suo spazio ma poi deve fare i conti con la realtà della sua vita, in cui spesso il desiderio non coincide con il conseguimento. E poi, la sua ricerca indefessa di segni, testimonianze di un Altrove e la domanda che c’è alla base: è la mia sensibilità artistica che li costruisce, questi segni, e intravvede coincidenze oppure sono davvero un dono di Grazia, qualcosa che viene da Dio?
- Quali messaggi ha cercato di veicolare intrecciando le vite di questi due uomini? Su cosa dovrebbe riflettere il lettore attraverso il racconto di Herman e il vissuto di Franz?
Herman emerge come un brillante e simpatico dilettante della vita, un uomo, però, che cerca di imparare da chi avvicina, convinto com’è di trovarsi al cospetto di autentici geni, persone che incarnano i suoi ideali. Franz Liszt, come dicevo, è l’uomo consapevole del proprio dono che cerca di trasmettere agli altri alla luce delle continue difficoltà di autorealizzazione che la vita gli propone, in perenne lotta con il suo Io ipertrofico ma generoso e che vorrebbe accordare le cose del mondo alle sue scelte. Una pretesa o un auspicio sincero?
L’infinito, la parola che faceva sempre sbocciare quel sorriso pudico sul volto del padre.
- Cosa la affascina del periodo “romantico”? Di quali chiaroscuri si rende portavoce l’Ottocento?
Il desiderio di trovare nel mondo tracce di un Altrove attraverso l’arte. Come scriveva Novalis, da sempre il mio autore di riferimento: "la poesia vede l’invisibile, sente il non sensibile, rappresenta l’irrappresentabile". Nell’artista romantico c’è una necessità: inseguire e realizzare una creatività “verticale” che non si accontenti di indugiare sulla dimensione orizzontale della vita, nei rapporti tra persone, nei temi sociali, ma che indaghi il profondo, i simboli, il destino dell’individuo e del mondo.
- Altro indiscusso protagonista del romanzo è Ludwig Werner. Quali rapporti aveva con Liszt?
I due sono legati dalla figura di Beethoven e da una musicalità che in Liszt è frutto di studio, lavoro, introspezione, disciplina artistica, in Ludwig è invece qualcosa di elementare, fisico, primordiale, forse perché quella benedizione di Beethoven ha creato in lui questa dimensione autentica che ha anche una forte caratura morale.
- Con quale approccio, inclinazione viene da lei rappresentata la tematica del legame genitore-figlio? Riscontra alcuni riflessi e dinamiche universali, che si ripetono nel tempo, una sorta di verosimiglianza con la nostra epoca?
C’è una bellissima frase contenuta in una lettera che Tolkien indirizza a suo figlio Christopher, all’epoca al fronte durante la Seconda Guerra mondiale: “Nel legame tra padre e figlio c’è come un’aeternitas”. Lui da filologo usa questo termine latino per evocare più di un sentimento, un legame appunto che va oltre, lo fa misteriosamente ma di cui padre e figlio sono responsabili per conservarlo e modularlo nelle diverse età della vita. Un legame che si sviluppa tra difficoltà, contraddizioni, aspettative ma che non si può annullare, perché resta un fondo di verità. La meschinità della nostra epoca forse non lo considera o lo disperde in psicologismi vari.
- L’amore costituisce un’altra tematica centrale del libro. Cosa sente di rivelarci mettendolo in rapporto con il vissuto dei vari personaggi?
Ho cercato di illustrarne varie declinazioni, ma tutte all’insegna dell’intensità che può essere sublime ma anche crudele, ma che anela sempre a un compimento, così difficile da realizzare eppure sempre a disposizione del cuore quando è limpido e si affida all’altro.
[…] lui appartiene alla musica, è come quella questione della verità, pensa, noi non possediamo la verità ma è lei che ci possiede e noi ne intravediamo qualche tratto e molto spesso non riusciamo a comprenderla, anzi la tradiamo. E lui la musica l’ha tradita?
- Quale valenza e significato assumono per lei le fiabe? Crede siano dai più sottovalutate o sopravvalutate? Qual è il senso che lei rintraccia personalmente, quando un lettore “adulto”, non più bambino, si approccia alla lettura di una fiaba?
L’idea della provvidenza, per cui i personaggi si muovono in un mondo a volte ostile, a volte indecifrabile, ma dove c’è all’opera un destino che misteriosamente li accompagna. Cercare di avvertirlo, di rintracciarlo è quello che i personaggi spesso non riescono a fare ma di cui il lettore si può inebriare.
- Sappiamo quanto siano determinanti il contesto e l’ambientazione all’interno di un’opera. Nell’intreccio narrativo da lei creato, quale funzione esercitano la descrizione dell’Irlanda, nello specifico della cittadina di Sligo, così come la rappresentazione di Roma?
Non c’è una funzione vera e propria, sono una quinta per la storia, ma per me una testimonianza, direi, dell’amore immenso per la mia città, unica tra gloria, miseria, entusiasmi e disincanto, e della passione per l’Irlanda e la contea di Sligo che Yeats definì “land of heart’s desire", "terra dei desideri del cuore".
- Come si rapporta il tema della musica con quello della verità? La prima rappresenta uno strumento di evasione, di straniamento da quest’ultima, oppure costituisce un mezzo per indagare, descrivere o sublimare la realtà circostante?
Mai evasione, ma uno spazio dove accumulare bellezza, dove risolvere le tensioni personali, dove reagire fisicamente a uno stimolo sonoro per poi tornare di qua nel mondo carichi di una nuova energia spirituale ma anche e soprattutto corporale. Dopo un ascolto profondo, è banale dirlo, ma si sta meglio, la musica è terapia dell’anima e del fisico.
Ma io volevo un segno, li ho cercati nella musica per tutta la vita i segni, ho aggredito l’infinito per trarne fuori qualcosa, ho estenuato il mio strumento fino all’inverosimile, alla mia testa ho continuato sempre a chiedere di andare oltre, […] è vero che l’infinito seduce, l’infinito appaga, ma non basta, andare e tornare da un altrove sfinisce, ma non si può neanche sostare solo nella vita, […]
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Saverio Simonelli, in libreria con “L’infinito non basta”
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