Enrico Fovanna è nato a Premosello (VB), in Piemonte nel 1961. Vive a Milano dove si occupa di temi sociali, immigrazione e diritti umani. Il 9 novembre del 1989, quando è caduto il muro di Berlino, è stato assunto dal quotidiano “Il Giorno”, dove tuttora lavora alla redazione web.
Per Giunti, nel 2019, è uscita una nuova edizione del suo libro di esordio Il pesce elettrico (Premio Stresa, Premio Festival del primo Romanzo al Salone del libro di Torino nel 1997) e nel 2020 L’arte sconosciuta del volo, sempre per Giunti. Ha pubblicato anche per E/L e UTET e realizzato all’estero reportage dai Paesi in guerra, fra cui Iraq e Afghanistan.
Il suo ultimo romanzo Lunedì mi innamoro (Giunti, 2023) racconta la storia di un’amicizia, nata nei primi anni Ottanta, che negli anni duemila si tinge inaspettatamente di giallo portandoci nel cuore di un mistero capace di tenere il lettore in sospeso sino all’ultima pagina.
Enrico Fovanna ne ha parlato con il nostro collaboratore Vincenzo Mazzaccaro in questa intervista.
- Dall’uscita del libro Lunedì mi innamoro, il 25 gennaio, come ha vissuto le interviste, le recensioni? È soddisfatto?
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Sì, molto soddisfatto. Chi ha letto il romanzo è stato generoso e, direi sempre, ha colto aspetti diversi e sempre stimolanti nella storia. Ma devo confessare una debolezza: per mia postura mentale, se così si può dire, cerco sempre di non aspettarmi niente. Così quando arriva qualcosa di buono è una sorpresa. Ammetto, una palese forma di paura preventiva. Ma come ansiolitico funziona.
- C’è un elemento del romanzo che secondo lei in pochi hanno messo in luce, tra le cose scritte?
Fatico a trovarlo, sono abbastanza convinto che alla fine ognuno legga un romanzo diverso. Le corde interiori sollecitate dipendono anche dal proprio vissuto, da qui l’impressione che ogni lettura sia soggettiva. Se posso, però, azzardare una tesi, forse a volte ci si concentra sull’elemento giallo nella trama, il mistero insomma, più che sull’atmosfera. Ma non è una critica: la suspense è importante ma non vorrei che si leggesse un libro solo per sapere come va a finire. Penso a un vecchio motto a me caro: “non esiste una strada in fondo alla quale c’è la felicità, la felicità è la strada stessa”.
- Questo romanzo molto bello, a mio parere, è giunto dopo una pausa molto lunga, circa ventisette anni dal suo esordio, Il pesce elettrico, e tre anni dopo L’arte sconosciuta del volo. Ha un’idea in merito?
Nebbia. Me lo sono chiesto spesso. Temo che il giornalismo mi abbia assorbito oltremisura, ed è stato un errore. Poi la nascita di mia figlia, nel 2011, mi ha risvegliato e da allora in otto anni ho scritto i miei due ultimi romanzi. È stato come se una sensibilità e un’emotività, troppo a lungo sopite, o forse rimosse, si fossero risvegliate con forza, per risonanza.
- Giorgio, il protagonista, è evidentemente lei (anche se in letteratura c’è della finzione, se no si scriverebbe un diario). Nel romanzo non è triste di trovarsi nel collegio Fraccaro di Pavia. Non avverte malinconia di casa. È così?
È così. Per Giorgio il collegio è gioia, è il laboratorio del suo futuro, un luogo senza malinconia. Un mondo in cui tutto è possibile, basta costruirlo. La malinconia di Giorgio è rimasta nella sua infanzia, nel passato remoto in cui ha perso i genitori. A Pavia, da studente, assapora invece una giovinezza in cui, come spesso dice, tutto sembra ricominciare ogni giorno, rinnovarsi, tendere al futuro. È il luogo dello stupore”.
- Il libro, che è ambientato nel 2010, è la storia di un grande amico morto per droga, che si faceva di eroina, di nome Febo che, nonostante sia morto da anni, si palesa sul social Facebook e chiede l’amicizia al protagonista. Perché ha pensato a questa soluzione un po’ da giallo?
L’escamotage che innesca l’enigma è nato in modo casuale. Come un sogno. Anzi, potrebbe essermi venuto proprio di notte, perché spesso negli ultimi anni avevo sognato il collegio e la mia camera. Poi l’idea è risultata molto funzionale al viaggio a ritroso nel tempo, in cui il protagonista torna sui luoghi della giovinezza, e dai compagni di università, per cercare le tracce del mistero, le sue possibili soluzioni. Ma anche per riconnettersi a una parte di sé che credeva perduta.
- Il 2010 è stata una data voluta da subito, o ha evitato i giorni nostri, gli anni che l’avrebbero portato a scrivere della pandemia da Covid-19?
No, il Covid non c’entra. Ho scelto quel periodo perché la stagione dei social era appena iniziata. Quando li conoscevamo appena e cominciavamo a familiarizzare col web, senza troppa dimestichezza né malizia. Con quell’ingenuità che in fondo è una caratteristica chiave di Giorgio. Il focus sui social era funzionale a dimostrare proprio la differenza tra gli anni ‘80, quando non esistevano i computer e ci si incontrava per strada, e l’era in cui invece ci si cerca su uno schermo video, ma di fatto poi non ci si incontra davvero quasi mai.
- Avendo vissuto la parte finale degli anni Ottanta da adolescente, tutte le sue incursioni in quel periodo mi piacciono molto. Effetto nostalgia. Invece scrivere di quegli anni lontani come è stato per lei?
È stato struggente. Come le dicevo, quando ho cominciato a elaborare questa storia mi si è attivata una frenetica attività onirica, in cui rivivevo le amicizie e i luoghi di quegli anni, soprattutto la camera del collegio in cui avevo vissuto. Ho rivisto anche Alberto, il fratello di “Febo”, e ci siamo abbracciati con affetto immenso. Poi quando ho presentato il romanzo al collegio Fraccaro di Pavia, il 18 febbraio, qualcuno mi ha aperto la camera 27 e ci sono rientrato dopo quarant’anni, con un’emozione davvero difficile da descrivere.
- Il libro è dedicato a Paolo Molinari. È la realtà che entra nella finzione narrativa?
Esatto. Paolo era Febo, una figura straordinaria. Un ragazzo colto, intelligente, elegante, dotato di un carisma innato, che nonostante le sue possibilità e i suoi talenti, non è riuscito a sottrarsi alla spirale dell’eroina. Per anni mi è mancato, fino a quando non ho percepito con chiarezza che avrei dovuto scriverne. Un gesto di amicizia e di riconoscenza, per tutto quello che mi aveva insegnato. Musica, letteratura, introspezione. E per avermi tenuto lontano dal suo abisso.
- Come molti miei amici e amiche, anche lei si è sposato e ha messo su famiglia. Che cosa scatta? E perché siete in tanti in ritardo?
Mea culpa, credo. O forse non avevo mai incontrato prima una donna del valore di mia moglie Roberta, un faro nel buio per me. Non solo non mi ero mai sentito tanto amato, ma è come se prima fossi sempre stato terrorizzato o quasi all’idea di legarmi a una donna per tutta la vita. Con lei non è successo, è scattata l’armonia. Poi è venuta a trovarci nostra figlia Viola e io sono tornato un bambino.
- Lei ha detto che le amicizie maschili sono necessarie, o almeno utili per capire meglio la propria identità, ma ci sono imbarazzi e ritrosie ad ammetterlo. È così?
Beh, questo dipende certamente dall’indole di ognuno di noi, non esistono forse regole oggettive. Noto che spesso si fa fatica a dire a un amico “ti voglio bene”, forse più per disabitudine o imbarazzo che per paura di essere fraintesi, magari da un punto di vista sessuale, come sostiene qualcuno. Io credo di no. Siamo tutti semplicemente un po’ rozzi, un po’ ruvidi, meno empatici di quanto potremmo.
- Lei, pur restandone fuori, ha avuto un amico eroinomane. Oggi molti ragazzi si calano pasticche e antidolorifici alla morfina? Perché è così difficile restare “puliti”?
Diciamo che in gioventù, anche oggi, per fragilità spesso si tende alla trasgressione. La si cerca o per sentirsi uguali agli altri, magari ai leader del gruppo, o per dimostrarsi diversi, e quindi originali. Ci si guarda insomma troppo dall’esterno, come in uno specchio e in una prospettiva narcisistica, anziché guardarsi dentro.
Cosa che invece accade talora più avanti, in età matura, quando si apprezzano i silenzi e l’osservazione, l’ascolto e il sorriso. Tutta roba che non ha bisogno di droghe. Solo di attenzione.
Recensione del libro
Lunedì mi innamoro
di Enrico Fovanna
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Enrico Fovanna, in libreria con “Lunedì mi innamoro”
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