

Con il suo Manomissione, edito nel 2025 dalle edizioni Il ramo e la foglia, Domenico Conoscenti ha composto una trasfigurazione del G8 di Genova con le sue tragedie, cambiando location e lasciando solo i ricordi più dolorosi, ma senza dimenticare il potere della trasgressione sessuale, delle ambizioni in questura e dell’assenza quasi assoluta del fascino femminile.
Lo abbiamo incontrato per porgli alcune domande sulla sua opera.
L’intervista a Domenico Conoscenti
- Di solito è l’editore che sceglie titolo e copertina; capita però che l’autore scelga da solo. Come è andata nel suo caso?


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Nel caso di Manomissione si è arrivati alla scelta dell’uno e dell’altra attraverso un duplice accordo.
Il titolo da me proposto fin dall’invio del manoscritto-dattiloscritto, Prove tecniche di manomissione, è stato condensato nell’attuale forma all’avvicinarsi del momento della stampa, su iniziativa (condivisa) degli editori.
Per la copertina non volevo un’immagine (dipinto, fotografia, disegno che fosse) illustrativa o comunque realistica, così ho proposto agli editori alcune foto astratte e ne hanno scelta una fra quelle scattate da Angelo Di Garbo.
- Non riesco a vedere questo libro come un thriller. Invece lo è con tanto di morto, indagini e questura, incluso il commissario fino al questore. Forse perché ha inserito cose accadute realmente come il G8 a Genova, più di venti anni fa?
In effetti le due indagini parallele sull’omicidio, condotte dal commissario da un lato e dal questore dall’altro, si incrociano a quelle su una fantomatica setta eversiva e inducono il lettore a pensare a Manomissione come a un giallo-noir, col suo sviluppo di scoperte, ipotesi, depistaggi. Nel momento tuttavia in cui ammette come possibile più di uno scioglimento finale, il romanzo abdica a una delle caratteristiche fondamentali della letteratura di genere.
Il fatto infine che le due indagini appaiano legate a quella che i personaggi chiamano “la Manifestazione” accaduta un anno prima, congiunge elementi di invenzione ed episodi storicamente avvenuti, per quanto adattati alla narrazione, il che lo avvicina a un bizzarro romanzo storico.
- Il suo è anche un libro triste. Come si può parlare di letteratura di genere? Lei è in una casella, aspettando altri scrittori e scrittrici nauseati da violenza fittizia, perché il realismo vi supera; eppure più sono noir lontani dall’attualità, più piacciono ai lettori. Come se lo spiega?
Quanto scritto sul rispetto del genere giallo-noir e storico vale anche a proposito dell’aspetto distopico che qualche lettore ha intravisto nel romanzo. Il paese descritto e raccontato è in realtà una trasfigurazione fantasiosa dell’Italia di inizio Millennio, che tuttavia include riferimenti agli anni Settanta, restringendo e condensando in un unico arco narrativo ciò che invece storicamente riguarderebbe un intero, esteso trentennio. Per questa ragione il romanzo si avvicina a una forma – negativa e imperfetta - di ucronia. Il genere distopico qui manca peraltro della connotazione di irreversibilità e di compiutezza dell’assetto socio-politico (evidente invece nel titolo originario) e quindi in generale, no, neppure in questo caso è corretto parlare di letteratura di genere.
Non ho avuto con questo romanzo l’intenzione di inseguire la realtà o di anticiparla - tanto da avere scelto una chiave di rappresentazione fantastica -; malauguratamente, in questo momento si direbbe il contrario.
- Il mondo di cui scrive è abitato quasi esclusivamente da maschi e da pochissime donne in carriera, una o forse due. Perché ha tolto pure il mistero femminile? Neanche un ricordo di una balia, una zia, una madre distratta? In realtà, leggendo non mi importava del sesso dei personaggi.
Scaturisce dall’omosessualità di Leonardo Lascari, uno dei protagonisti, la preminenza maschile dei personaggi, oltre che dall’ambito, peraltro maschilista e misogino, delle forze dell’ordine. La commissaria Rosaria Petrotta riveste tuttavia un ruolo importante nella trama, tanto più in opposizione al suo ambiente lavorativo; le fa da contraltare psicologico Cristina Favaloro, la fidanzata dell’agente ucciso, mentre restano nell’ordine delle comparse Sandra Rinelli e ancora di più la moglie del sovrintendente Lojacono. Discorso a sé stante andrebbe fatto per la libraia.
Omofobia e misoginia, come il disprezzo per le categorie senza tutele (lavoratori, immigrati…), sono espressioni della società raccontata nel romanzo, non convinzioni o “valori” dell’autore.
- Eppure il potere finanziario sembra essere sempre nelle mani grosse degli uomini.
È certamente così; per quanto il potere finanziario-politico resti nell’ombra, lo si intuisce dall’organizzazione sociale che emerge nel romanzo.
- Il bisogno di scrivere sembra una malattia che contagia tutti, maschi e femmine. Molti la sentono come un’urgenza. Lei perché scrive?
Distinguerei un bisogno di scrivere per sé stessi (la classica scrittura diaristica, più o meno quotidiana, ma anche quella “artistica” in prosa e in versi) o per un preciso interlocutore (la scrittura epistolare) da quello di scrivere invece per un pubblico indeterminato e ampio; e mi sembra di intuire che la sua domanda si riferisca a quest’ultima accezione.
Per quel che riguarda la mia storia personale, ho scritto un diario del mio primo anno di insegnamento, all’interno di un carcere per adulti, per distaccarmi da un’esperienza quotidiana inedita, in un certo senso subìta e per la quale non mi sentivo preparato; un modo per controllare attraverso la scrittura quello che andavo facendo. Alcuni amici cui lo avevo fatto leggere avevano pensato che sarebbe potuto risultare interessante per fare conoscere un frammento di realtà esterna, per quanto isolato e specifico, spesso rimosso. Da qui l’invio ad alcuni editori e una risposta infine positiva.
Le scritture successive, di narrazione (il primo romanzo e vari racconti), di saggistica (storico-letteraria, su un testo ottocentesco) e in versi (su alcune foto proposte da un amico fotografo) intendevano invece rivolgersi a un pubblico sconosciuto. Perché? Direi per dare una forma a paure, curiosità, inquietudini, desideri… ma soprattutto per aggiungere un po’ di bellezza al mondo, nel tentativo, come scriveva Orazio, di non morire per intero.
- Ho trascurato la figura del sovraintendente di polizia Lojacono e di altri personaggi, come la libraia, perché sarebbe venuto fuori per l’ennesima volta che questo è un giallo noir e che chi scrive lo ha trovato bello e irresistibile. Ne farà altri con la stessa squadra, a parte Diego?
La ringrazio per le parole di apprezzamento.
Andando alla domanda: fino ad ora non ho mai pensato di scrivere sequel o prequel di miei testi, né ho riutilizzato personaggi e contesti narrativi in opere successive. Mi pare quindi un’ipotesi molto improbabile mantenere “la stessa squadra” in un prossimo romanzo (ma, certo, mai dire mai).

Recensione del libro
Manomissione
di Domenico Conoscenti
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Domenico Conoscenti, autore di “Manomissione”
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