

Con la celebre poesia In riva alla vita, Antonia Pozzi descrive un’esperienza che tutti noi, almeno in alcuni rari istanti, abbiamo vissuto: la percezione della distanza, l’estraniamento, lo sguardo rivolto a un mondo che sentiamo lontano e che non ci appartiene.
È questa una delle cifre di tutta l’esperienza terrena di Antonia Pozzi: non a caso In riva alla vita è uno dei suoi componimenti poetici più noti che, negli ultimi decenni, quelli della sua riscoperta, ha dato anche il titolo a uno studio critico dedicatole da una delle sue principali studiose italiane.
Ciò si comprende meglio se consideriamo che la sua fu una vita oppressa da vicissitudini sia personali che storiche: all’atmosfera sociale, resa sempre più opprimente dall’affermarsi dei totalitarismi – le leggi razziali colpirono alcuni dei suoi amici più cari -, si associava, nella sua vicenda, il tormentato amore vissuto con Antonio Maria Cervi, il suo professore di Latino e Greco al liceo, censurato dalla famiglia e, poi, non corrisposto.
Nonostante l’ambiente agiato e aristocratico in cui Antonia Pozzi condusse la sua breve esistenza, nonostante le tante passioni e i tanti stimoli che toccarono il suo intelletto vivace, la vita sembrò più volte negargli la possibilità di realizzare compiutamente sé stessa e le sue aspirazioni. La soverchiante figura paterna, la religiosità conservatrice e opprimente dell’ambiente familiare, quell’amore solo sognato, sono solo alcuni dei fattori che la misero, in qualche modo, all’angolo, portandola a ricercare il conforto di un’alterità molto anelata ma mai compiutamente abbracciata in vita.
L’eccezionale sensibilità di Antonia Pozzi, l’angoscia che accompagnava ogni suo atto creativo, sono ben testimoniate da un’immagine della grande studiosa Maria Corti che la conobbe personalmente e osservò che
“il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi”
Prima che cedesse all’inevitabile abisso Antonia Pozzi trovò nella poesia una forma alta di consolazione: la scrittura era la catarsi dell’anima, quest’arte sublime aveva per lei il potere di placare il dolore che gli scuoteva l’anima perché riusciva a trasfigurarlo in una superiore calma, come il mare dove trova pace la frenesia dei fiumi.
Ce ne rendiamo conto bene leggendo In riva alla vita, poesia di cui scopriamo insieme il significato e l’analisi.
In riva alla vita di Antonia Pozzi: il testo della poesia
Ritorno per la strada consueta,
alla solita ora,
sotto un cielo invernale senza rondini,
un cielo d’oro ancora senza stelle.
Grava sopra le palpebre l’ombra
come una lunga mano velata
e i passi in lento abbandono s’attardano,
tanto nota è la via
e deserta
e silente.
Scattano due bambini
da un buio andito
agitando le braccia:
l’ombra sobbalza
striata da un tremulo volo
di chiare stelle filanti.
Gridano le campane,
gridano tutte
per improvviso risveglio,
gridano per arcana meraviglia,
come a un annuncio divino:
l’anima si spalanca
con le pupille
in un balzo di vita.
Sostano i bimbi
con le mani unite
ed io sosto
per non calpestare
le pallide stelle filanti
abbandonate in mezzo alla via.
Sostano i bimbi cantando
con la gracile voce
il canto alto delle campane: ed io sosto
pensandomi ferma stasera
in riva alla vita
come un cespo di giunchi
che tremi
presso un’acqua in cammino.(Milano, 12 febbraio 1931)
Analisi e significato della poesia In riva alla vita di Antonia Pozzi
Scritta nel 1931, quando Antonia Pozzi frequentava da poco tempo l’Università Statale di Milano e si era innamorata, di un amore non corrisposto, del compagno di studi Remo Cantoni, In riva alla vita si apre con il tema del ritorno (v. 1), frequentato dalla poetessa, specie al tramonto e alla sera, in molti suoi altri componimenti. Ci parla di un luogo, o di un cammino, familiare, già praticato spesso in altre occasioni (“consueta”, “solita ora”) che però è contraddistinto dall’assenza (“senza” ripetuto nel vv. 3 e 4): una condizione, questa, che Antonia Pozzi tematizzerà compiutamente solo alcuni anni dopo, in un’altra sua poesia intitolata Assenza. Mancano le rondini e le stelle nel firmamento – dal momento che, come capiremo nel prosieguo della lirica, il “cielo d’oro” è quello del tramonto – soprattutto mancano le persone e i rumori: il percorso, pur abituale, è deserto e silente (vv. 9 e 10). Lo sguardo della poetessa è come velato da un’ombra, trasportato altrove, incurante di ciò che la circonda e tutta la situazione è connotata dalla lentezza di passi stanchi (v. 7), che esprimono grande ritrosia nel procedere (“attardano”).
L’immobilità quasi totale della scena è, poi, improvvisamente rotta dal prorompere due bambini che sbucano dal buio agitando le braccia (vv. 11-13), lanciano stelle filanti che fanno sobbalzare la giovane donna, scossa da un fremito di paura.
A questa sorprendente presenza fanno eco le campane, che cantano un’epifania piuttosto che una melodia, “gridano per arcana meraviglia” (v. 20), come se fosse il divino stesso ad annunciarsi e a calcare la scena, anche l’io lirico torna a vedere dopo aver sperimentato una sorta di cecità iniziale, "l’anima si spalanca […] in un balzo di vita" (vv. 21-23).
Uno squarcio si è aperto nella realtà, una presenza inconsueta si è, per un momento, concretizzata: è un evento che riporta alla calma, a una stasi quasi religiosa, ben raffigurata dalle mani dei bambini, ora unite come in preghiera, dal pallore che ora colora le stelle filanti, prima sfavillanti di festa (vv. 25-30).
Ora il timore e la circospezione avvolgono anche i piccoli, che si associano nel canto alle campane, per l’io lirico si dischiude il tempo della riflessione (“pensandomi ferma” v. 34): Antonia Pozzi si affaccia alla vita, che però osserva negli altri, nei bambini, nei suoni che nascono dal punto più alto della chiesa anche, ne avverte la vicinanza pur senza esserne completamente coinvolta. La poetessa permane su una soglia, è scossa da un tremore come i giunchi in riva all’acqua, un elemento naturale consueto nella poesia di Pozzi, ma anche un’immagine, totalmente aliena dal resto del componimento, che richiama il Purgatorio dantesco:
"Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte l’onda,
porta di giunchi sovra ‘l molle limo;null’altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch’a le percosse non seconda".(Dante, Divina Commedia, Purgatorio, Canto I, vv. 100-105)
È quest’immagine finale che ci consegna tutto il significato della lirica: la condizione terrena, per Antonia Pozzi, è il luogo dove la vita viene contemplata piuttosto che pienamente partecipata; è il luogo dell’attesa, dove l’anima, come i giunchi dell’isola del Purgatorio, deve assecondare il movimento delle onde che la flettono, conformarsi al volere divino vestita di umiltà, interrogante.
Analisi metrica e stilistica del componimento
In riva alla vita si compone di un’unica strofa di 38 versi liberi, alcuni dei quali, brevi o brevissimi, constano di un unico sintagma. Pur non essendo presente uno schema rimico vero e proprio il testo poetico è caratterizzato da una particolare musicalità, donatagli da frequenti ripetizioni, allitterazioni e rime interne agli stessi versi.
Soprattutto nella prima e nell’ultima parte del testo prevale la costruzione in polisindeto che contribuisce a rendere sintatticamente l’atmosfera calma, lenta e meditativa descritta nei versi.
Nonostante il lessico poco ricercato e una sintassi abbastanza lineare la poesia è ricca di figure retoriche:
- la similitudine (vv. 5 e 6) che associando l’ombra a una lunga mano velata richiama un immaginario orrorifico;
- l’ipallage (vv. 14-16 e vv. 22-24) con la quale si riferisce a un termine un attributo o un’azione che, solitamente, è proprio di un altro termine presente nella stessa frase;
- le metonimie (v. 14 e v. 22) con le quali con una parte (l’ombra o l’anima) si allude all’essere umano nella sua interezza;
- la metafora finale, “in riva alla vita” (v. 35), seguita da un’altra similitudine, che sottolinea il senso di estraneità dell’io lirico, spettatore di una vita non vissuta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “In riva alla vita” di Antonia Pozzi: analisi e significato della poesia
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