Il giorno di Natale del 1833 accadde un evento tragico nella vita di Alessandro Manzoni: dopo mesi di malattie e sofferenze morì la sua amatissima moglie Enrichetta Blondel.
A lungo Manzoni aveva pregato Dio perché l’inevitabile non avvenisse, perché Enrichetta si salvasse, e la perdita terribile mise a dura prova la fede integerrima dell’autore de I Promessi Sposi. Dov’era la divina Provvidenza? Perché Enrichetta non si era salvata?
La moglie di Manzoni, che sin dalla giovinezza aveva sofferto di varie crisi nervose, morì quasi cieca sfiancata dalla tisi e dalle numerose gravidanze. Il 1833 fu un anno terribile per Alessandro Manzoni, ma sarebbe stato solo l’inizio di una serie di lutti che l’avrebbero colpito: appena nove mesi dopo, il 20 settembre 1834, sarebbe morta la sua adorata primogenita Giulia Claudia che si era da poco sposata con l’intellettuale e patriota Massimo d’Azeglio.
In una lettera a Costanza Arconati in cui rievocava la tristezza provata in quel periodo, Manzoni scrisse:
Mi pareva che dal sentimento dell’amore fosse agevole immaginare il sentimento della perdita; ma veggo ora che la sventura è una rivelazione tanto più nuova quanto è più grave e terribile.
I colpi inferti da questi lutti fecero duramente vacillare la fede di Alessandro Manzoni. D’improvviso lui, il cantore della Provvidenza, si trovava a riflettere sull’evidenza del dolore e sull’esistenza di un Dio terribile che infligge sofferenze insopportabili agli uomini. Ancora una volta, Manzoni cercò risposta nella scrittura. Un anno dopo la morte dell’amata Enrichetta iniziò a scrivere un testo intitolato proprio Natale 1833, che spesso viene inserito negli Inni Sacri, pur non facendo parte del progetto degli argomenti da includere negli Inni.
In questo poemetto l’autore de I Promessi sposi sembrava capovolgere la scena idilliaca della Natività mostrando per la prima volta ai lettori il volto terribile di Gesù Bambino. Nella Natività rovesciata narrata da Manzoni scopriamo il grande mistero del dolore, ma anche la forza di una preghiera laica, che è costretta a scontrarsi contro l’assurdo di leggi imperscrutabili che governano il mondo.
In Natale 1833, Alessandro Manzoni non racconta una verità evangelica, ma una verità umana che si manifesta nella visione assoluta dell’amore sperimentato attraverso il dolore. Ne risulta l’immagine di un Presepio svuotato dall’idillio e da qualsiasi visione gioiosa: nel bambino “terribile” avvolto nei panni di lino si scorge già il presagio nefasto della croce. E la madre, Maria, l’esemplare Madonna è condannata al pianto. Tutto era già scritto, sembra affermare Manzoni nel suo struggente poema: nel Vangelo c’è l’amore e il dolore, la vita e la morte intrinsecamente uniti come due facce di una stessa medaglia che è l’esistenza.
Da questi versi non emerge solo l’ennesima grande prova poetica di uno dei maggiori scrittori italiani, ma anche l’ineludibile domanda senza risposta che attanaglia l’umanità dal principio dei tempi: “Perché esiste il dolore nel mondo nonostante Dio?” A questo interrogativo infine pure il cattolicissimo Alessandro Manzoni scelse di rispondere con il silenzio.
Scopriamo testo, parafrasi e commento di Natale 1833.
Il Natale 1833 di Alessandro Manzoni: testo
Sì che tu sei terribile!
Sì che in quei lini ascoso,
in braccio a quella vergine,
sovra quel sen pietoso,
come da sopra i turbini
regni, o fanciul severo!É fato il tuo pensiero,
è legge il tuo vagir.
Vedi le nostre lagrime,
intendi i nostri gridi,
il voler nostro interroghi
e a tuo voler decidi;
mentre a stornare il fulmine
trepido il prego ascende,
sorda la folgor scende
dove tu vuoi ferir.Ma tu pur nasci a piangere;
ma da quel cor ferito
sorgerà pure un gemito,
un prego inesaudito;
e questa tua fra gli uomini
unicamente amata,Vezzi or ti fa: ti supplica
suo pargolo, suo Dio;
ti stringe al cor, che attonito
va ripetendo: è mio!
Un dì con altro palpito,
un dì con altra fronte
ti seguirà sul monte
e ti vedrà morir.
Onnipotente!
Cecidere manus.
Il Natale 1833 di Alessandro Manzoni: parafrasi
Tu, bambino, sei terribile! Nascosto tra quei morbidi panni di lino, in braccio a quella Vergine, sopra quel seno pietoso come da sopra le tempeste del cielo tu regni, o fanciullo severo! Il tuo pensiero diventa destino, il tuo vagito è legge.
Vedi le nostre lacrime, capisci quel che noi gridiamo, interroghi le nostre necessità e intendi i nostri bisogni poi, però, decidi secondo la tua volontà. Mentre la preghiera sale tremante per far allontanare il fulmine dal nostro capo, il tuo fulmine scende sordo laddove Tu vuoi ferire.
Ma anche tu nasci per piangere; ma dal quel cuore ferito si alzerà anche un gemito, una preghiera inesaudita.
E questa donna, da te amata in modo unico ed esclusivo tra gli altri uomini, che ora ti coccola, ti vezzeggia, ti culla, ti supplica come suo figlio e suo Dio. Ti stringe al cuore che ancora sbigottito continua ripetere “È mio!”.
Un giorno lei, con un viso diverso, con un cuore palpitante di dolore, ti seguirà lungo la Via del Calvario e ti vedrà morire.
Tu, Onnipotente!
Caddero le mani.
Natale 1833: analisi e commento
Sin dalla prima riga del poema Alessandro Manzoni sembra decostruire l’immagine classica del Presepe. Il Gesù Bambino nella mangiatoia, avvolto (ma Manzoni utilizza un verbo ancor più oscuro “ascoso”, ovvero nascosto) da morbidi panni di lino, in realtà ha un volto terribile. Manzoni lo definisce “il fanciul severo”, poiché non può essere un bambino sereno, un bambino beato questo Dio dei cieli che osserva con plateale indifferenza il dolore umano.
In un breve distico Manzoni ne racchiude l’assoluto e ineffabile potere, l’onnipotente e al contempo imperscrutabile volontà: “Il suo pensiero è destino e il suo volere è legge”.
Lo stesso mistero è evocato da una frase posta come un chiasmo: “il voler nostro interroghi e a tuo voler decidi” in cui le due proposizioni sono poste come a specchio, a riflesso speculare, sembrano contraddirsi a vicenda ma non sono divise da un’avversativa. Tra le righe sembra levarsi una domanda accorata: “perché Dio non ascolta le preghiere umane?” E come risposta Manzoni ci restituisce l’immagine antica, di retaggio pagana, di un Dio che ferisce gli esseri mortali con la folgore. “Tu ferisci”, dice lo scrittore come ponendo sotto accusa l’oscura volontà divina.
La terza strofa sembra in parte rispondere ai quesiti posti in precedenza, perché si apre con un verso struggente:
Ma tu pur nasci a piangere
Il dolore, sembra dire Manzoni, è insito nella condizione stessa di Cristo e nel suo stesso mistero. Ecco che sul bambino appena nato nella mangiatoia di Betlemme si riflette il presagio della croce. Dio infligge il dolore agli uomini, ma lui stesso non è riuscito a salvarsi dal dolore. Quel pianto, quella preghiera inesaudita sembra sgorgare dall’inizio dei secoli. Manzoni ricorda che anche Gesù vede soffrire, suo malgrado, la donna che ama più di tutte: sua madre. Neppure Dio sembra essere immune dal dolore riservato ai mortali.
Infine Alessandro Manzoni si concentra su un altro personaggio fondamentale della Natività: Maria, la Madonna, la madre dolorosa. La mamma amorevole che ora culla e vezzeggia il bambino divino un giorno dovrà accompagnarlo ai piedi della croce. Manzoni ne ritrae con struggente veridicità il cambiamento: il suo volto acceso dalla gioia trascolorerà nel dolore, il suo cuore palpitante d’amore sarà devastato dal singulto del pianto.
Manzoni definisce Dio come “Onnipotente”, una parola che, alla luce dei fatti, appare quasi come una contraddizione in termini. Come può essere Onnipotente se non ha potuto salvare se stesso, né chi amava, dal dolore e dalla morte? Morirai tu Onnipotente, scrive l’autore, stabilendo che neppure Gesù Cristo si salverà dal martirio della croce emblema di ogni sofferenza mortale.
Per chiudere il suo magnifico Inno Sacro Manzoni sceglie un verso emblematico, tratto dall’Eneide di Virgilio:
Cecidere manus
Letteralmente significa “caddero le mani” e fa riferimento a una scena peculiare del poema Virgiliano: quando l’eroe Enea cerca di stringere in un abbraccio il fantasma della moglie morta, Creusa. L’incontro dei corpi è impossibile e quindi le mani cadono nel vuoto.
L’espressione è fortemente incisiva e fornisce la chiusa più struggente all’intero componimento. Anche Alessandro Manzoni scrivendo tentò l’impossibile abbraccio a Enrichetta Blondel e forse all’adorata figlia, Giulia. Le sue mani umane tuttavia non potevano ghermire gli spettri e caddero nel vuoto, manifestando l’impotenza suprema dei mortali L’uso del latino nella chiusa rievoca la solennità di una preghiera. Dinnanzi a dolori così devastanti - come quello patito dalla Madonna, il dolore della perdita di un figlio - l’unica risposta opportuna è il silenzio e Manzoni, questo silenzio assordante, lo evoca attraverso un poetico gesto di resa.
Quel “caddero le mani” sembra anche dire: lascio la penna, abbandono il calamaio, non sono in grado di scrivere oltre. L’inno sacro Natale 1833 rimase incompiuto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il Natale del 1833 che cambiò la vita di Alessandro Manzoni
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Quanta "santità" opportunista nascosta nei grandi del nostro paese.