Il 7 marzo 1785 nasceva a Milano Alessandro Manzoni, illustre scrittore, poeta e drammaturgo, considerato un caposaldo della letteratura italiana.
Per l’occasione ricordiamo una delle sue odi più celebri, Marzo 1821, un poema civile che intende rimarcare il diritto inalienabile di ogni popolo alla libertà.
Scopriamone origine, testo e significato.
Marzo 1821: origine dell’ode di Manzoni
Marzo 1821 è un componimento che rientra nella fase poetica manzoniana civile e patriottica in seguito raggruppata ne Le Odi Civili. Il testo fu ispirato a Manzoni dall’ardore dei primi moti rivoluzionari italiani.
Nel 1821 sembrava che fosse imminente la liberazione della
Lombardia dagli austriaci grazie all’intervento dell’erede al trono sabaudo, Carlo Alberto, che aveva guardato con favore ai moti carbonari. Le speranze furono tuttavia deluse e soffocate dalla dura repressione austriaca.
Nell’ode Manzoni immagina che l’esercito piemontese, una volta varcato il fiume Ticino, stia raggiungendo la Lombardia.
Si narra l’autore che scrisse il lungo poema in soli tre giorni, tra il 15 e il 17 marzo 1821, trasportato dall’entusiasmo per la liberazione auspicata.
Le parole di Manzoni risuonano con ancora maggior fragore oggi, in queste giornate drammatiche in cui l’incubo della guerra si riaffaccia oscuro e spettrale in Europa. Lo scrittore nell’Ottocento dedicò la sua ode a Teodoro Koerner, un poeta e soldato tedesco che combatté per l’indipendenza della sua nazione, morto combattendo contro Napoleone. Tramite la dedica significativa Manzoni trasformò così l’ode in un inno per la libertà di tutti i popoli soffocati dalla prepotenza di un invasore più forte e violento.
Marzo 1821: testo
Soffermàti sull’arida sponda,
vòlti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel nuovo destino,
certi in cor dell’antica virtù,
han giurato: Non fia che quest’ondascorra più tra due rive straniere;
non fia loco ove sorgan barriere
tra l’Italia e l’Italia, mai più!
L’han giurato: altri forti a quel giuro
rispondean da fraterne contradeaffilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
già le sacre parole son porte:
o compagni sul letto di morte,o fratelli su libero suol.
Chi potrà della gemina Dora,
della Bormida al Tanaro sposa,
del Ticino e dell’Orba selvosa
scerner l’onde confuse nel Po;chi stornargli del rapido Mella
e dell’Oglio le miste correnti,
chi ritogliergli i mille torrenti
che la foce dell’Adda versò,
quello ancora una gente risortapotrà scindere in volghi spregiati,
e a ritroso degli anni e dei fati,
risospingerla ai prischi dolor:
una gente che libera tutta,
o fia serva tra l’Alpe ed il mare;una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
con quel guardo atterrato ed incerto,
con che stassi un mendico sofferto
per mercede nel suolo stranier,star doveva in sua terra il Lombardo;
l’altrui voglia era legge per lui;
il suo fato, un segreto d’altrui;
la sua parte servire e tacer.O stranieri, nel proprio retaggio
torna Italia, e il suo suolo riprende;
o stranieri, strappate le tende
da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
sotto il peso de’ barbari piè?
O stranieri! sui vostri stendardi
sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;un giudizio da voi proferito
v’accompagna all’iniqua tenzon;
voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
ogni gente sia libera, e pèradella spada l’iniqua ragion.
Se la terra ove oppressi gemeste
preme i corpi de’ vostri oppressori,
se la faccia d’estranei signori
tanto amara vi parve in quei dì;chi v’ha detto che sterile, eterno
saria il lutto dell’itale genti?
Chi v’ha detto che ai nostri lamenti
saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì, quel Dio che nell’onda vermigliachiuse il rio che inseguiva Israele,
quel che in pugno alla maschia Giaele
pose il maglio, ed il colpo guidò;
quel che è Padre di tutte le genti,
che non disse al Germano giammai:va, raccogli ove arato non hai;
spiega l’ugne; l’Italia ti do.
Cara Italia! dovunque il dolente
grido uscì del tuo lungo servaggio;
dove ancor dell’umano lignaggio,ogni speme deserta non è:
dove già libertade è fiorita,
dove ancor nel segreto matura,
dove ha lacrime un’alta sventura
non c’è cor che non batta per te.Quante volte sull’Alpe spïasti
l’apparir d’un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
ne’ deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sboccati,stretti intorno a’ tuoi santi colori,
forti, armati de’ propri dolori,
i tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni
il furor delle menti segrete:per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
al convito de’ popoli assisa,
o più serva, più vil, più derisa,sotto l’orrida verga starà.
Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
che da lunge, dal labbro d’altrui,
come un uomo straniero, le udrà!Che a’ suoi figli narrandole un giorno
dovrà dir sospirando: io non c’era;
che la santa vittrice bandiera
salutata quel dì non avrà.
Marzo 1821: analisi e significato
L’ode Marzo 1821 si compone di 13 strofe di 8 decasillabi piani (tranne il quarto e l’ottavo che sono tronchi, Ndr) ciascuna e ha un ritmo martellante, che rievoca il passo di una marcia, rimarcato dalla ripetizione anaforica.
Le continue esortazioni (“O stranieri! Cara Italia!” Ndr) sembrano voler risvegliare la coscienza civile e l’ardore patriottico nel cuore degli italiani.
La lirica fonde l’impegno patriottico degli insorti con la prospettiva religiosa: tramite frequenti metafore bibliche infatti Manzoni rimarca una sorta di disegno divino, una provvidenza, che è alla base dei moti risorgimentali.
Dio è dalla parte degli oppressi e a favore della ribellione da ogni forma di tirannide. L’ode si conclude non a caso in una forma di preghiera che i soldati rivolgono allo Spirito Santo affinché rinnovi la sua discesa sulla terra.
Le ultime strofe sono anche un accorato canto d’amore all’Italia che si concludono con un appello finale patriottico. I soldati sanno di combattere per la libertà e di essere disposti a morire per il coronamento di questo ideale.
Si combatte per l’Italia dunque, per una vittoria definitiva contro il dominatore straniero, perché diventi un’unica nazione e possa finalmente risorgere e sedersi accanto alle altre nazioni del mondo in una trattativa fraterna e solidale.
Gli ultimi versi sono infine una speranza di poter raccontare alle generazioni future l’atto di eroismo compiuto per la liberazione nazionale. Manzoni sembra incitare il popolo tutto alla ribellione dagli invasori e in quel “Io non c’era” pronunciato con abbattimento sembra riferirsi a chi, in futuro, dovrà ammettere di non aver preso parte a quei solenni avvenimenti che hanno fatto la storia.
Marzo 1821: commento
Marzo 1821 può essere letta come un elogio alla libertà umana. La lirica divenne specchio dei valori che avrebbero acceso il risorgimento italiano, invitando gli uomini a combattere per il riscatto della patria dallo straniero ma anche, e soprattutto, per la creazione di un mondo più equo e giusto dove avrebbero predominato ideali di fratellanza e solidarietà.
Quel verso fondamentale “più serva, più vil, più derisa / sotto l’orrida verga starà” indica la speranza in un futuro migliore che guidava la lotta dei soldati patrioti. L’Italia unita nel 1821 non era che un vago sogno, un ideale quasi illusorio come dimostrò la dura repressione che sarebbe avvenuta di lì a pochi giorni per mano degli austriaci, tuttavia è grazie al quel sogno - coltivato nel cuore di uomini temerari - che oggi possiamo vivere sotto un’unica bandiera, il tricolore.
Rileggere oggi Marzo 1821 è più che mai necessario perché, nonostante il passaggio dei secoli, il diritto alla libertà di tutti i popoli della terra rimane fermo e inalienabile. La lirica ci ricorda che la condanna degli invasori e oppressori deve essere unanime per tutelare un’unità nazionale costantemente minacciata da assurdi e scellerati ideali di potere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Marzo 1821: l’elogio alla libertà umana nell’ode di Alessandro Manzoni
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